Accademia di Fitomedicina e Scienze Naturali - Associazione No Profit Fondata nel 1996 - Save Plants that Save Life

 

 

 

Le piante simboliche tra terapie, alterazioni, danze.

Massimo Canevacci

 

-         a) Il pajé

 

Nelle culture indigene brasiliane, ogni aldeia (villaggio) ha il suo cacique – che è come sindaco che decide insieme a tutti gli anziani  - e il suo pajé, che era l’autorità più prestigiosa: lo shamano. È lui che si ascolta su ogni cosa, anche su tutto quello che riguarda la salute. Non si tratta di scegliere di fare il pajé: lui è chiamato. Comincia a manifestare  particolari caratteristiche, la più importante delle quali è l’avere visioni che anticipano il futuro. Nessuno può decidere di essere pajé: si è chiamati dallo spirito, per cui anche se un bororo lo volesse, non potrebbe esserlo per sua volontà. Ora spesso a molte culture indigene manca il pajé per diversi motivi e allora si chiama da un’altra aldeia.

Il pajé acquisisce una grande autorità, specie quando il futuro concorda con la pre-visione: insomma,  è un medicine-man che cura i rapporti tra i vivi e i morti, per cui sta dentro una molteplicità di dimensioni che hanno tutte a che vedere con il sacro, piuttosto che con quella che noi chiamiamo religione. Egli è quindi anche  custode di molte tradizioni, specie di canti rituali che per i Bororo sono fondamentali. Questo complesso rapporto che essi hanno tra la vita e la morte, che non si può tradurre nei concetti occidentali senza snaturarlo profondamente, definisce il loro conflitto con i salesiani: e cioè con un corpus dottrinario scritto, con i rituali prescritti, con ruoli sacerdotali ascritti, con luoghi inscritti per tutto questo.

            La forza del pajé non sta tanto nel ristabilire la tradizione: bensì nel costruire autonomamente il rapporto tra passato, presente, futuro. Essere bororo significa avere un pajé: cioè come essere bororo oggi. Il pajé, infatti, non è solo lo sciamano che accompagna con i rituali tradizionali il morto nel suo funerale così complesso, non è solo il prescelto che riesce ad andare oltre la condizione “materiale” per attraversare il regno “spirituale” dove vita e morte si intrecciano, mettendo a rischio la vita stessa di chi è stato scelto per attraversare tutto questo e salvare sia la vita del singolo che la sopravvivenza dell’intero villaggio dalla presenza della morte. Vi è un complicato rapporto che lega il pajé con i saperi delle malattie e di come curarle utilizzando le erbe, i cui poteri non hanno niente a che vedere con lo stereotipo eurocentrico dello “stregone” che  compie rituali apotropaici per scacciare il  male con il male. Qui c’è la tradizione di un sapere medico e curativo che fa gola alle multinazionali farmaceutiche, che da tempo stanno intervenendo pesantemente in Brasile in quel campo che è la etno-botanica. Nulla di meno “esoterico” o “selvaggio” si possa immaginare. Questo è un sapere che è messo in discussione da una medicina come quella occidentale che ha enormi poteri e capacità ad intervenire su specifiche patologie, specie quelle che lo stesso bianco ha portato “spontaneamente” con sé: raffreddore, morbillo, vaiolo, cui i nativi non hanno anticorpi e per cui specie in passato sono morti a migliaia di migliaia e che hanno trovato impreparati i saperi degli sciamani. Insomma sono state queste nuove malattie “bianche” che hanno sconfitto il potere del pajé, molto più della forza delle armi o dell’evangelizzazione. Malattie nuove, incomprensibili e invincibili dai saperi shamanici.

            Come se la natura si rivelasse improvvisamente troppo incontrollabile per sconfiggere ogni tentativo shamanico di curarla. Dall’invisible vaiolo nasce la sconfitta shamanica e la spiegazione di numerosi eccessi che si sono verificati per tentare disperatamente di ricollocare la natura al suo posto: come ad es. le note stragi dei bisonti senza  motivazione da parte degli indiani delle pianure verso la fine dell’800.  Ma non era la nautura a rivelarsi improvvisamente troppo forte per il potere shamanico: era la cultura, quella che non si poteva fronteggiare coi saperi della tradizione fito-terapeutica perché bianca… Da tutto questo nascono le difficoltà a trovare vocazioni. In quanto si “è  chiamati” non solo per favorire le cosmogonie autonome con i relativi rituali, quanto anche per affrontare quello che è ineludibile per ogni essere vivente: la malattia e la morte. Ma se malattia e morte in gran parte derivano da un morbo invisibile e imbattibile portato da “loro”, la forza terapeutica e simbolica shamaica vacilla. A nulla servono danze o piante contro il vaiolo.

            Queste mutazioni culturali e bilogiche  assumono un’importanza particolare per i Bororo, il cui funerale è uno dei più complessi e grandiosi siano mai inventati nelle diverse culture umane.

 

 

-         b) piante  simboliche

 

            Ora presenterò un breve excursus sulla forza simbolica di alcune piante o colori estratti da piante per la cultura bororo:

 

- 1. camalote

            Ho incontrato il camalote lungo il fiume Paraguay, pieno di questi cespugli grondanti acqua, da cui – aiutato da un amico nippo-brasiliano – ne ho estratto un esemplare: il camalote è una pianta dalle radici intatte, che si allungano con foglie sottili e spesse, non più larghe di una calla. La sua caratteristica che per me ha un forte valore simbolico sta nel fatto che è una pianta dalle radici viaggianti e non fissate sulla terra. Sono cioè roots che viaggiano lungo routes. Nell’usare le due parole inglesi, il suono è identico ma il significato totalmente differente e attesta il transito da una antropologia (ma anche da una tradizione politico-culturale ampiamente diffusa) basata sullo studiare e difendere le radici (che bloccano l’identità del soggetto in un luogo determinato e la fanno sprofondare dentro la terra), agli itinerari che attestano una processualità viaggiante nella costruzione della propria identità, soggettività, cultura. Identità itineranti e non fisse, plurali e non singolari, ibride e non pure.

 

- 2. urucum

            La cultura bororo – come molte altre di matrice linguistica “Gé” – usa una pianta che ha una serie di proprietà naturali e nello stesso tempo potenti significati simbolici. L’urucum (bixa orellana) ha un seme dall’odore gradevole con una serie di proprietà: difende dal sole e dagli insetti; come bevanda  è una  medicina contro l’indigestione; serve anche per espettorare e per alcune malattie cardiache. Ma soprattutto ha una potente funzione simbolica: trasformato in una massa tipo patata, su cui si sputa per scioglierne il colore, si spalma con reciprocità sul corpo specie durante i rituali. Il rosso acceso e lucente dell’urucum stailisce una relazione con il sole, il sesso, la vita. Spalmato sul cranio di una persona morta e scarnificato durante la prima parte di un complesso funerale,  ha una funzione cosmetica e  cosmologica, che immette elementi simbolici vitali sopra le ossa che da morte si trasfigurano in esseri viventi, in antenati totemici, in interconnessioni tra specie e ordini diversi: umano, animale, vegetale, divino. Urucum come sangue mitico e simbolico che trasforma il morto in arara.

 

- 3. genipapo

            È un bell’albero medio dai fiori gialli che fiorisce a novembre. Il frutto sembra un’arancia verde (genipa americana). Da essa si estrae una tinta blu-nera che serve per le pitture corporali dai complessi grafismi simbolici spesso connessa a qualcosa di inquietante, ma in genere per la capacità di pratricare minuziosi disegni sul viso o sul corpo che durano una ventina di giorni. Il genipapo come radice ha un valore purgativa, è usata anche contro ulcera e cancro; come frutta ha un valore diuretico, come seme favorisce il vomito. L’anzidetto colore scuro ha anche la funzione  apotropaica di allontanare le forze oscure assimilandosi ad esse

 

- 4. tabacco

            In molte culture indigene, il tabacco inspirato attraverso il cachimbo stabilisce connessioni tra uomini e divinità. La dimensione sacrale del tabacco – che si inspira e espira, si diluisce nell’aria innalzandosi verso il cielo, produce un alterazione del corpo – si è andata progressivamente trasformando nella cultura occidentale come una semplice quanto de-simbolizzata  funzione di calmante che favorisce una eccitazione dipendente. Il tabacco serve anche come pesticida, è usato contro il prurito causato dalle punture di insetti, parassiti, zecche. Lo shamano lo usa in particolari momenti del suo ruolo, rispetto a malattie o rituali, che apprende molte delle capacità terapeutiche delle piante dalla onça (giaguaro) che – dopo averlo ucciso – diventa il suo maestro che favorisce l’iniziazione mistica connettendo “mondi” tra loro diversi attraverso l’alterazione del corpo.

 

- 5)  carõn

            Le piante si fanno bollire perché lasciano un succo che è  carõn, che si può grossolanamente tradurre con lo “spirito della pianta”. O meglio con un grappolo di concetti più adatti a darne il senso: immagine, anima, spirito, doppio, ombra, fotografia. Durante la terapia, lo shamano si assismila allo “spirito” (doppio, ombra, immagine)  della pianta da cui ha estratto il succo (carõn) individuato come adatto per quella determinata malattia. Spesso tutto questo è legao al movimento: l’essenza delle medicina indigena si basa proprio su questo: il movimento. Il carõn circola nel sangue perché è movimento e quando si dorme esce dalla bocca e viaggia come sogno. Quando viaggia molto rischia di non tornare più, per questo si muore. Quando un corpo dorme molto, sta troppo immobile e tende verso la morte. Per questo il corpo deve muoversi come il sangue e per questo ci sono molte corse rituali anche estenuanti che favoriscono la corsa: insomma, correre tutti i giorni favorisce la salute. O  si deve danzare, perché anche la danza è movimento, la danza come movimento è cosmologia, la danza è vita che connete. I semi delle maracas hanno questo potere simbolico di interconnessione cosmica: essi danzano dentro la zucca-contenitore, sono smossi dalla mano, anzi dall’intero corpo del musicista-cantante-danzante. I semi delle maracas sono piante che hanno anche questa funzione terapeutica oltre a tutto il resto: essi sono scelti con cura e la loro qualità e quantità deve essere sperimentata diverse volte prima che si riesca ad ottenere il suono giusto. Il suono movimentato e cosmologico che trasfigura i corpi.

 

 

 

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Prof. Massimo Canevacci

Università di Roma “La Sapienza”

Facoltà di Scienze della Comunicazione

Cattedra di Antropologia culturale