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Dai fattori limitanti al bene comune, la buona politica per il riconoscimento del valore di nuove risorse economiche

Effetti economici, emergenze sociali e criticita' ambientali costituiscono aspetti mutuamente interagenti di un sistema complesso che e' lo spazio in cui si manifesta la grande crisi di questi anni. Gli aspetti problematici che ne circoscrivono la dimensione non ci consegnano all'obbligo di trattarli esclusivamente in chiave di contenimento dei danni. Affinche' anche trattandosi di argomenti che implicano rischi eccezionalmente gravosi (recessione economica, disgregazione sociale, degenerazione ambientale), diffusamente dibattuti in tanti ambiti e in modo spesso ridondante, non si perda di vista la misura del bene potenziale che passa attraverso il percorso per una loro realistica soluzione. Ho usato il termine percorso al singolare non per semplificare l'elaborazione di relazioni complesse in un dominio altrimenti non descrivibile, ma per significare come il nostro sistema in crisi sia un macrosistema non riducibile (e non riconducibile) alla somma delle singole parti.

Per stabilirne le condizioni a contorno, tra i fattori limitanti sono in evidenza: l'asfissia economica, il cambiamento climatico e la questione energetica. In Italia e' in corso la peggiore crisi economica dal 1861 (caduta del PIL del 9%, nel periodo 2007-2013 e crollo del reddito pro capite dell'11%, A. Penati, “La Repubblica”, 26/10/13), dove esercitano effetti nefasti sia, e in modo determinante, elementi macroeconomici sovranazionali non congiunturali (per es. l'azione di potenziamento sinergico esercitato sulla globalizzazione, soprattutto finanziaria, dalla crescita tumultuosa delle tecnologie informatiche, ICT) sia carenze strutturali nazionali mai risolte (v. per es. Crisi ambientale ed energetica e gli effetti sull'economia, l'Italia a un bivio).

Gli effetti del cambiamento climatico sono ineluttabilmente in corso. Secondo l'ultimo rapporto scientifico dell'IPCC - l'organismo tecnico che cura la sintesi degli studi scientifici sul sistema climatico per la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) - la curva delle emissioni cumulate di CO2 in atmosfera, cioe' di quelle gia' scaricate (quindi non quelle previste negli anni a venire), ci informa che l'aumento della temperatura superficiale media del pianeta di 2° C al 2050 ha una probabilita' di confermarsi ormai molto alta (v. Conseguenze ambentali dei cambiamenti climatici). I singoli Stati, oltre alle entita' sovranazionali come la UE, stanno pertanto provvedendo a sviluppare strategie di adattamento agli effetti locali dei cambiamenti climatici. Questo avviene anche in Italia, dove faticosamente il Ministero dell'ambiente sta completando la stesura del documento "Elementi per una strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici", attualmente in pubblica consultazione online (fino al 31 dicembre, ma probabilmente in proroga oltre quella data). Purtroppo non ne e' compreso ancora un piano d'azione con impegni finanziari, malgrado l'urgenza del problema. Gli scenari per il nostro Paese sono estremamente critici e prospettano una situazione senza precedenti di stress ambientali (scarsita' idrica e desertificazione diffuse, deficit nella produzione alimentare, aumento diffuso degli eventi atmosferici estremi), sociali e politici: incremento dei costi energetici e di mitigazione e adattamento microclimatico, aumento esponenziale della pressione migratoria ai confini meridionali.

Il tema della dispobibilita' dell'energia comporta problematiche ulteriori. L'industria energetica alimenta e qualifica i sistemi economici e industriali, e sociali. Costituisce circa il 10% del PIL mondiale, sostanzialmente fondandosi sulle fonti fossili. L'IEA, l'Agenzia internazionale dell'energia che raccoglie i Paesi OCSE, non prevede nei prossimi venti anni una sostanziale modifica del mix di energia primaria. Saranno ancora petrolio, gas e carbone a dominare la scena (80% circa dei consumi mondiali), malgrado la crescita consistente delle rinnovabili. I prezzi del petrolio, gia' stabilizzati su livelli intorno ai 100 dollari al barile per sviluppare le piu' costose risorse non convenzionali (shale e tight oil) necessarie a surrogare il declino dei deopsiti convenzionali, si manterrano alti. Se anche il nostro Paese, come e' prevedibile, non mutera' sostanzialmente il suo mix energetico primario, essendo privo di fonti fossili in misura proporzionale ai suoi consumi, rischiera' di subire dolorosamente in termini economici il differenziale di costo delle materie prime energetiche rispetto ai paesi produttori e contestualmente consumatori. Esemplare il caso degli USA che avendo in meno di cinque anni trasformato il proprio status energetico con lo sviluppo di ingenti quantita' di fonti fossili non convenzionali (shale gas e tigth oil) gode attualmente di prezzi del gas del 50% inferiori a quelli praticati in Italia. Anche nel settore energetico, tradizionalmente conservativo, e' la rapidità del cambiamento a caratterizzare le trasformazioni. Questo e' un tratto comune dei sistemi contemporanei che la politica deve essere in grado di governare. Le implicazioni geopolitiche, soprattutto nella politica internazionale dei cambiamenti climatici, sono evidenti. Si comprende la posizione USA sul Protocollo di Kyoto, storicamente critica verso gli impegni vincolanti di riduzione delle emissioni in atmosfera (al limite dell'ostilita').

Tuttavia non e' ancora troppo tardi per risorgere. Paradossalmente, ma forse neanche tanto date le premesse iniziali di questo discorso, gli stessi fattori limitanti definiscono un dominio in cui e' possibile esercitare una crescita economica (che non bisogna aver timore di evocare!). In quanto una gestione finalizzata al loro contrasto converge sull'ampliamento dei beni culturalmente condivisi, con nuovi prodotti economicamente valorizzati ed estesi in un mercato vergine caratterizzato da tassi marginali crescenti (in quanto non esposto al vincolo di risorse fisiche finite). Per facilitare questa prospettiva virtuosa e' necessario pianificare e poi sostenere politicamente con opportuni investimenti programmi volti a: liberare il concetto di sviluppo sostenibile da pregiudizi che ne limitano il potenziale in termini di crescita economica; ampliare il campo del desiderabile collettivo a tipologie di produzione, di consumo e di organizzazione d'uso del territorio e degli spazi antropizzati che siano identificate da valore supplementare (capillarmente condiviso, anche con l'ausilio dell'ICT); accrescere lo spazio economico in cui si crea ricchezza attraverso l'addizione di una variabile rispetto ai fattori ordinari di produzione (svincolare la crescita dalla limitatezza delle risorse); favorire il radicamento di relazioni di consumo per cui l'utilita' del consumatore sia soddisfatta dal contenuto in qualita', efficienza energetica, riduzione del potenziale d'impatto ambientale, contenuto di energia rinnovabile ecc. del prodotto; superare in questi termini la stagnazione dei consumi, pure in presenza di capacità di spesa, a causa della saturazione dei modelli di fruizione dei beni e dei servizi (v. Superare il conflitto tra crescita economica e sviluppo sostenibile, le radici della politica per lo sviluppo). Una visione di questo tipo implica politiche settoriali incentivanti alta tecnologia e ricerca, affinché le relazioni economiche e sociali e la catena di produzione e di consumo ne siano arricchite. Si presta quindi a una connotazione radicalmente democratica e progressista, per categorie di principi e valori. Per quanto riguarda la distribuzione del lavoro, per es., comporta il diffuso impiego di figure professionali diversificate e ad alta intensita' di conoscenza e competenze. Contrariamente a quanto avviene nella fase attuale di crisi economica, in cui lo stock delle compenteze dei lavoratori tende a essere svilito in un serbatoio misero di massa lavoro indifferenziata alla merce' di capitali speculativi (secondo l'analisi di P. Krugman). Se poi si guarda alla ridistribuzione delle ricchezze, il modello di sviluppo delle conoscenze condivise, praticate, valorizzate ed economicamente apprezzate consente di prevedere lo spostamento delle risorse finanziarie dai capitali concentrati e parassitariamente immobilizzati (problema acuto in Italia, dove il 10% dei cittadini possiede il 48% della ricchezza) a impieghi ad alto valore aggiunto di nuova generazione (una transizione che puo' essere catalizzata da opportuni strumenti di incentivazione tecnico-finanziara). Non c'è contraddizione tra crescita economica e sviluppo sostenibile. La via che ne coniuga gli elementi e' soprattutto in grado di assicurare incremento del PIL (di superare quindi le politiche economiche dei tagli alla spesa). Alla buona politica compete l'onere di sostenere il processo culturale ed economico che conduce al riconoscimento del valore delle nuove risorse. Ma bisogna fare presto. Il tempo a disposizione non e' molto. La sfiducia serpeggia perniciosamente nelle persone. Le ultime statistiche eurostat (un italiano su tre a rischio di indigenza, il nostro Paese ormai penultimo in Europa negli indici di poverta') non fanno che confermarne le ragioni del risentimento.

Fabio Catino
10 dicembre 2013, [er(a)2mbiente.net]

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