Insegnamento della Religione Cattolica

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L’eutanasia: perché non giova alla società?
La domanda di eutanasia oggi


Il termine «eutanasia» di per sé significa «morire bene» o «dolce morte». Al di là di taluni suoi aspetti disumani e disumanizzanti, l’aspirazione a «morire con dignità» rivela un senso di profondo rispetto per l’uomo, manifesta la volontà di consentire a ciascuno di affrontare lucidamente e, per quanto possibile, serenamente la propria morte. Ma attualmente l’eutanasia designa l’atto medico che pone fine ai giorni del malato.
In un contesto tecnologico come il nostro, la morte rimane un inspiegabile incidente di viaggio. Si spiega così come l’accettazione della morte si faccia sempre più difficile a mano a mano che si sviluppa il progresso tecnico. La morte appare dunque come un assurdo che occorre in qualche modo controllare e razionalizzare. L’eutanasia rappresenta in qualche modo questo controllo e questa razionalità.
Inoltre, per tanti motivi il morire rischia oggi di diventare una «prova insopportabile»: a) aumenta il benessere e la qualità della vita, cresce la fragilità dell’uomo; b) la solitudine in cui si trova l’uomo del nostro tempo; c) la fuga dal sacrificio e dalla sofferenza; d) la scarsa solidarietà sociale, il costo della sanità, il peso degli anziani e dei malati sulla famiglia e sul bilancio dello Stato, ecc.; e) gli attuali trattamenti di rianimazione prolungano notevolmente la cosiddetta «fase terminale», rendendo molto più gravosa e lunga la sofferenza.
È proprio su queste cose che bisognerebbe lavorare per una risposta alla domanda di eutanasia, perché dietro ogni domanda c’è una richiesta di aiuto, di sollievo, di solidarietà, di non rimanere soli in situazioni tanto dolorose. Sempre l’uomo ha affrontato queste situazioni dolorose (e non con i mezzi della medicina di oggi), ma era «accompagnato» dagli altri, dalla famiglia, dalla società. La soluzione della società alla domanda di eutanasia cammina sulle vie dell’accompagnamento del morente.

Perché l’eutanasia non giova alla società?

Ma perché l’eutanasia non giova alla società? Perché la società si fonda sul rispetto della dignità della persona e sull’indisponibilità della vita umana. Non si può porre correttamente l’idea che a certe condizioni possiamo «disporre» della vita nostra o altrui. Se così fosse dovremmo avere rispetto anche di chi – sotto il nazismo o lo stalinismo – ha ritenuto di disporre della vita di popoli e razze. A questo ha contribuito principalmente la fede cristiana, che ritiene che la vita appartiene solo a Dio. Affermare, a certe condizioni, che possiamo intervenire sulla vita per disporne autonomamente significa porre il principio che la vita non è un valore indisponibile sempre. Lasciare che un altro scelga di morire (chiedendo l’eutanasia) o aiutarlo a morire (suicidio assistito) significa minare alle radici le basi di una società che afferma anzitutto come crimine l’intervento che toglie la vita ad una persona. Altro è aiutare il paziente con una terapia antidolore (che potrebbe anche accorciare i suoi giorni), altro è intervenire direttamente e di volontà per concludere la sua vita. Esiste sempre il diritto di rifiutare cure ritenute troppo gravose, soprattutto per il costo psichico. Esiste sempre il diritto a non essere obbligato a un trattamento, che potrebbe configurarsi spesso come inutile accanimento terapeutico per arrendersi più tardi possibile alla sconfitta della morte. Ma nessuno può esigere che un altro sopprima la propria esistenza, soprattutto se questo è un medico che per vocazione e deontologia è chiamato solo a curare.

La Chiesa

Di fronte all’eutanasia il cattolicesimo si pone con atteggiamento di comprensione e di rispetto dell’uomo di oggi, della sua fatica di vivere, della sua sofferenza soprattutto di fronte alla malattia, anche quando non ne può approvare il senso.
Nella prospettiva della fede, la vita è un bene e un valore indisponibile in ogni caso. La vita, come dono di Dio, all’uomo è affidata perché la promuova nella sua bellezza e nelle sue risorse, anche quando le apparenze mutano o il dolore bussa alle porte.
Di fronte a situazioni patologiche irrecuperabili, o ad una ritenuta «insopportabilità» della sofferenza da parte del malato, è possibile la tentazione di cedere alla debolezza. A livello sociale, i giudizi sull’eutanasia più spesso riguardano una «pietà per riflesso». Siamo noi che non sopportiamo di vivere accanto al sofferente. Certamente i familiari vivono situazioni particolarmente stressanti (il paradosso dell’eutanasia sarebbe l’abbreviazione della vita del malato per pietà del familiare).
A questo proposito il catechismo della Chiesa Cattolica afferma (nn. 2276-2279): «Potrebbe anche verificarsi che il dolore prolungato e insopportabile, ragioni di ordine affettivo o diversi altri motivi inducano qualcuno a ritenere di poter legittimamente chiedere la morte o procurarla ad altri. Benché in casi del genere la responsabilità personale possa essere diminuita o perfino non sussistere, tuttavia l’errore di giudizio della coscienza – fosse pure in buona fede – non modifica la natura dell’atto omicida, che in sé rimane sempre inammissibile. Le suppliche dei malati molto gravi, che talvolta invocano la morte, non devono essere intese come espressione di una vera volontà di eutanasia; esse infatti sono quasi sempre richieste angosciate di aiuto e di affetto. Oltre le cure mediche, ciò di cui l’ammalato ha bisogno è l’amore, il calore umano e soprannaturale, col quale possono e debbono circondarlo tutti coloro che gli sono vicini, genitori e figli, medici e infermieri».
E l’ospedale moderno non è in grado di accompagnare il morente. Malattia e sofferenza nella situazione ospedaliera attuale risultano alterate: l’esperienza della malattia è ricondotta per lo più a problemi di ordine tecnico e sperimentale. Affiora tutto il dramma del rapporto tra l’ammalato e le tecniche diagnostiche e terapeutiche moderne, in un’atmosfera in cui il paziente si sente depersonalizzato e schiavo delle macchine. Eppure questo dato esistenziale postula l’esigenza di una chiamata del paziente ad avere una parte attiva e ad impegnarsi, a fare della propria malattia una singolare esperienza di vita. La malattia può divenire, attraverso la durezza della prova, un luogo di riconquista del proprio essere persona, ove vengono riscoperti i valori fondamentali e nasce una reale valutazione della propria storia.

VALORI IN QUESTIONE

  • L’eutanasia mina le basi della società, che si fonda sul rispetto della dignità della persona e sull’indisponibilità della vita umana.
  • Nella prospettiva della fede, la vita è un bene e un valore indisponibile in ogni caso. La vita, come dono di Dio, all’uomo è affidata perché la promuova.
  • Altro è aiutare il paziente terminale con una terapia antidolore (che potrebbe anche accorciare i suoi giorni), altro è intervenire direttamente con l’eutanasia.
  • È lecito rifiutare cure ritenute troppo gravose per il paziente.
  • Esiste sempre il diritto a non essere obbligato a un trattamento, che potrebbe configurarsi spesso come inutile accanimento terapeutico.
  • Il medico per vocazione e deontologia professionale è chiamato a curare e non a sopprimere la vita.

Trattamenti di rianimazione:Interventi di terapia intensiva finalizzati a rianimare un soggetto in condizioni generali di salute particolarmente critiche, anche se temporanee.

Fase terminale:Condizione in cui un soggetto è, clinicamente parlando, in condizioni che lo pongono al termine della sua vita.

HANNO DETTO

«Gli uomini e le donne nascono liberi, la loro vita appartiene unicamente a loro, e non alla società o ad altre entità esterne. Essi hanno quindi il diritto di scegliere, in piena libertà di coscienza e senza coartazioni, se vogliono vivere o morire.
Può darsi benissimo che l’esistenza, come molti credono, sia un dono divino. Quando però un dono diventa intollerabile, a chi lo riceve deve essere lasciato il diritto di rifiutarlo. Se questo diritto non viene riconosciuto non si deve parlare più di dono, ma di imposizione. Egualmente, a nessun essere umano può essere imposto di vivere una vita puramente vegetativa, o di prolungare l’esistenza in una situazione in cui la sua volontà e la sua sensibilità sono completamente eliminate.
Purché la decisione di porre fine alla propria vita sia espressa in forma inequivocabile, e le circostanze di fatto siano conformi a quelle ipotizzate nella decisione stessa, chiunque può cooperare con l’interessato per rendere effettiva la sua volontà, senza andare incontro a conseguenze penali».
Dal Documento politico dell’associazione per l’eutanasia «Libera Uscita».

«In conformità con il Magistero dei miei Predecessori e in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l’eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale».
Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 1995, n. 65.

CONFRONTIAMOCI IN GRUPPO

  • È corretto porre l’idea che, a certe condizioni, possiamo «disporre» della vita nostra o altrui?
  • Lasciare che un altro scelga di morire (chiedendo l’eutanasia) o aiutarlo a morire (suicidio assistito) corrispondono a un crimine che toglie la vita ad una persona?
  • È possibile oggi parlare di «insopportabilità» della sofferenza da parte del malato, con tutte le terapie del dolore a disposizione?
  • A livello sociale, i giudizi sull’eutanasia non riguardano forse una «pietà per riflesso»? Non siamo forse noi che non sopportiamo di vivere accanto al sofferente?
Depersonalizzazione: Sentimento in cui un soggetto non si sente considerato e accolto come persona, non capito nei suoi bisogni personali. Un luogo in cui non c’è un incontro personale.


scheda film
MILLION DOLLAR BABY

Genere: Drammatico  Regia: Clint Eastwood  Durata: 137’

Soggetto: Dopo una vita passata sul ring, Frankie Dunn, ormai in età matura, gestisce una modesta palestra alla periferia di Los Angeles. Amareggiato per la rottura dei rapporti anni prima con la figlia, Frankie ha come unico amico l’ex pugile Scrap, in pratica il tuttofare del locale. Quando in palestra si presenta Maggie, una ragazza sui trent’anni intenzionata a diventare una vera campionessa, Frankie è riluttante e cerca di respingerla. Conquistato poi dal suo atteggiamento di rabbia e di fermezza, comincia ad allenarla, e a farla salire sul ring, dove vince tutti gli incontri fino a quello in cui è in palio il titolo. Qui però, colpita a tradimento dall’avversaria, Maggie batte la testa e viene ricoverata in ospedale. La spina dorsale è lesa in modo irrecuperabile: Maggie è condannata ad una vita vegetativa priva di movimenti. Alla richiesta di morte che arriva dalla giovane paralizzata, Frankie risponde, facendo quel gesto, ma insieme scavando dentro di sé un abisso di dolore non più rimarginabile che lo induce a scomparire per sempre.

Valutazione Pastorale: Per Clint Eastwood l’età vera non è quella anagrafica ma quella del cuore, della capacità di mettersi in ascolto degli altri, dei più sfortunati, e di partecipare al loro dolore. Appena uscito dallo scenario da tragedia di «Mystic River», Eastwood torna nel doppio ruolo di attore-regista. 75 anni nella vita, altrettanti sul volto di Frankie, disilluso ma ancora in grado di trovare nuovi stimoli di fronte all’entusiasmo di una ragazza animata da spirito, coraggio, coerenza. Il racconto è tutto dettato da Scrap in una lettera a quella figlia lasciata andare e mai più vista. Nel flash-back si delinea l’incontro tra Frankie e Maggie, quello tra due solitudini, tra due esseri umani che vogliono ancora essere considerati tali. Quando il momento della felicità sembra vicino, il destino avverso arriva a ricacciarli indietro. Ed è allora il momento delle scelte morali troppo grandi e difficili. Frankie è credente, va in chiesa, fa al parroco domande che necessitano di lunghe risposte, ma il tempo non c’è più. Arriva l’eutanasia, certo. Ma non come soluzione ideale, come fatto «normale» e come incitamento a ripeterla. Frankie compie il gesto sbagliato, e ne è cosciente. Aspro, intenso, capace di raffigurare la passione straziata di esistenze afflitte dalla solitudine e di accompagnarle verso una lontana speranza, il film pone domande, mai gratuite, dentro una cronaca lucida, scarna, coraggiosa.
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