Mostri, belve, animali nell’immaginario medievale/ 8 L'AQUILA Articolo pubblicato per la prima volta sulla rivista Abstracta n° 13 (marzo 1987), pp. 38-43, riprodotto per gentile concessione dell'autore che ne detiene i diritti. Riproduzione vietata con qualsiasi mezzo.
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Tre caratteristiche, del resto collegate fra loro, distinguono l’aquila: la sua pertinenza rispetto alle regioni superiori dell’aria e al fuoco uranico (quello del sole e del fulmine), che ne fanno simbolo della volontà e del potere divini; il volo alto, sicuro, dritto e veloce, che la rendono particolarmente adatta a fungere da messaggera degli dei ( e nella tradizione cristiana gli angeli hanno di solito ali d’aquila); la sua natura mediatrice tra cielo e terra che le consente di coprire il ruolo tradizionale dell’animale psicopompo, che accompagna le anime dei defunti verso la loro dimora celeste. |
Con l'aquila, si ha l'impressione di trovarsi davvero dinanzi a uno di quei simboli-base, «universali» (parola che si usa con incertezza e scrupolo: ma che, talvolta, è pur necessario usare) nel senso che danno l'impressione di essere tipici di molti popoli; di molti tempi e di molte culture: popoli, tempi e culture che poi, incontrandosi, finiscono con il far convergere i loro differenti messaggi pur senza risolvere necessariamente e totalmente ciascuno di essi in tutti gli altri. È comunque necessario, prima di affrontare il nostro discorso, far preliminarmente notare che non sempre e non necessariamente, quando si parla di animali simbolici, ci si può riferire a delle specie zoologiche reali ed effettive. Ciò è evidente per gli animali favolosi, per i mostri o per i risultati mitici di ibridazioni (come la celebre chimera e il grifone, sintesi di leone e di aquila) che a loro volta si possono qualificare “mostri”. Ma è vero anche per animali che, in apparenza, rientrano nelle nostre comuni se non quotidiane esperienze. Nel caso dell'aquila - e di un volatile mitico che ha molto a che fare con essa ma di cui bisognerà occuparsi a parte, la fenice - queste osservazioni risultano di particolare importanza. Difatti, sotto il profilo simbolico l'aquila va assimilata a tutti quegli uccelli grandi, forti e dotati secondo le differenti tradizioni di uno speciale rapporto con il mondo uranico, determinato anche, ma non esclusivamente, dalla loro natura di esseri alati: il vedico Garuda, il falco e l'avvoltoio dell'antico Egitto, il condor andino, per certi aspetti il condor germanico e, nella tradizione cristiana, gli stessi angeli, condividono con l' aquila una serie di caratteristiche e talora possono identificarsi con essa: per contro, talora vengono qualificati a livello iconologico-araldico-simbolico «aquile», volatili che non hanno in realtà alcun elemento zoologico specifico che consenta una qualificazione del genere, ma lo statuto mitico-leggendario dei quali rinvia, appunto, all'archetipo di esse.
Tre caratteristiche, del resto collegate fra loro, distinguono quindi l'aquila: la sua pertinenza rispetto alle regioni superiori dell’aria e al fuoco uranico (quello del sole e del fulmine), che ne fanno simbolo della volontà e del potere divini; il volo alto, sicuro, dritto e veloce, che la rende particolarmente adatta a fungere da messaggera degli dei (e nella tradizione cristiana gli angeli hanno di solito ali d'aquila); la sua natura mediatrice fra cielo e terra, che le consente di coprire il ruolo tradizionale dell'animale psicopompo, che accompagna le anime dei defunti verso la loro dimora celeste.
Già quest'ultimo elemento, - correlabile peraltro
ai primi due - consentirebbe una prima osservazione: il culto dell'aquila
dovrebbe impiantarsi presso i popoli incineratori più spesso e più
profondamente che non presso i popoli inumatori, che possono semmai averlo
ricevuto indirettamente. D'altronde, quel che sappiamo sulla migrazione dei
simboli ci induce a essere molto cauti in affermazioni del genere, che
potrebbero risultare viziate da un pericoloso determinismo. Difatti l’aquila
si pone in rapporto con una delle due regioni tradizionalmente sentite come
«Aldilà», il cielo; e la vediamo spesso in lotta, difatti, con l' altro
animale caratteristico per il suo rapporto con l' Aldilà e i defunti (ma un
animale ctonio, che la tradizione cristiana ha demonizzato), il serpente. Le
due forme di Aldilà, l'uranica e la ctonia, peraltro, come ben sappiamo, non
si escludono, bensì semmai si completano a vicenda: e se l'aquila si eleva
in volo dalla pira funebre degli imperatori romani ai quali spetta
l'apoteosi, e ne conduce l'anima in cielo accanto agli dei, le ceneri
spettano comunque alla terra. |
Questi è, appunto “figlio dell’aquila”: si adorna delle sue penne per volare in cielo (la barca tirata dall’aquila è il veicolo tradizionale dell’estasi) e per, scendere negli inferi. Presso gli indiani delle praterie americane, le penne d’aquila sono ornamento del diadema dei capi e un bastone alla cima del quale è legata una penna d’aquila, è considerato medicina contro le infermità.
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Ancora dall’Asia ci perviene un simbolo da collegarsi probabilmente alla funzione uranica e divina dell’Aquila: sulla cima dell’Albero Cosmico, simbolo dell’Asse universale che collega le aree cosmiche del sottoterra, della terra e del cielo e posata un’aquila sovente raffigurata bicipite. Una colonna sormontata da quest’animale si trova in cielo, dinanzi alla dimora del Supremo essere: essa è la colonna “che non invecchia né cade” simbolo dell’ordine cosmico Le due teste, poiché guardano ai due lati opposti del mondo (cioè con ciascuno dei quattro loro occhi, a tutti i punti cardinali), possono forse alludere simbolicamente all'onniveggenza divina; ma è probabile che - un po' come tutti i simboli doppi (i Gemelli, i Dioscuri, il dio Giano, l'ascia bipenne, la coppia biblica Jakin-Bohaz: quella mitriaca Cautes-Cautopates) - alluda alla bipolarità propria dell’onnipotenza, che è capace di vivificare e di distruggere, di creare e di annientare. Nel Dio cristiano queste due caratteristiche sono simboleggiate - nelle scene medievali di Giudizio Universale - nell'atto supremo del Cristo-Giudice, che atteggia la mano destra a un cenno di benevolenza e di perdono (Venite benedicti patris me!) e la sinistra a un gesto di condanna (Discedite maledicti). L'aquila mantiene non a caso, in quanto simbolo divino e quindi regale - particolarmente adatto a qualificare le «monarchie sacre», pertanto anche quella imperiale cristiano - il suo carattere di uccello della giustizia, che può innalzare nell’apoteosi o scendere piombando sul reo come l'aquila sulla preda. I caratteri aquilini della giustizia e dell'onnipotenza di Dio sono ben rammentati nella poesia medievale e moderna. Dante, nel Paradiso, raffigura gli Spiriti giudicanti in atto di comporre con le loro luci nel cielo di Giove la scritta Diligite iustitiam qui iudicatis terram e di raccogliersi poi nella grande «m» ( che andrà immaginata come una «m» gotica maiuscola o unciale) che gradualmente si trasforma in un'aquila.
Il Manzoni, nel
Cinque Maggio,
allude alle caratteristiche «aquiline»
di Dio, supremo giustiziere capace (secondo le parole del
Magnificat)
di esaltare e di deporre chi vuole,
dicendolo «Iddio, che atterra e suscita, che affanna e che consola...»; e
non a caso questo Dio-aquila viene avvicinato al personaggio storico che,
fra quelli degli ultimi due secoli, più direttamente si è identificato con
l'aquila. Una stampa popolare diffusa al tempo dei Cento Giorni raffigurava
Napoleone che tornava dall' Elba in Francia volando a cavallo di un'aquila:
e con ciò riprendeva esattamente il tema iconico delle apoteosi imperiali
d'età romana, dove l'aquila trasporta sul dorso l'imperatore chiamato a
prendere il suo posto accanto agli dei. Per contro, il Carducci della
Leggenda di Teodorico,
volendo dar l'idea dell'inesorabile
piombare della giustizia di Dio sugli empi, dice: «e terribile scendeva -
Dio sul capo al goto re». È un'immagine che richiama, per celerità e
potenza, il saettare dall'alto in basso dell'aquila che scende a ghermire la
preda, oppure lo schiantarsi repentino del fulmine. |
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Ma aquila e fulmine, entrambi messaggeri della divinità uranica, sono sovente associati e identificati: l' antica leggenda vuole che l'aquila sia l'unico uccello al quale il fulmine non può nuocere, e l'aquila legionaria romana reca tra i rostri una folgore. Giove ha appunto aquila e fulmine come suoi specifici attributi. Uccelli teofori, messaggeri degli dei luminosi del cielo, psicopompi, combattenti contro le forze oscure del sottosuolo: questi i caratteri di base dei grandi volatili che - a parte le loro caratteristiche zoologiche, non sempre, come si è detto, chiare - possono essere assimilati all' aquila. Saranno ad esempio Garuda, l'aerea cavalcatura di Vishnu nel mondo indiano; o le aquile che affrontano i serpenti i quali a loro volta le avvolgono nelle loro spire, un simbolo di lotta fra energie dell'aria e della luce e forze striscianti sottoterra e nelle tenebre che si riscontra un po' dappertutto, dall’ America precolombiana (e nel Messico azteco una società iniziatica guerriera sarà quella che gli spagnoli chiameranno dei «cavalieri dell’aquila» ) sino alla simbologia cristiana, dove la lotta fra aquila e serpente acquisterà una caratteristica valenza di pugna spiritualis: l'aquila-Cristo contro il serpente-demonio, oppure l' aquila come anima del fedele in lotta contro la tentazione e il peccato. |
Ma un tema iconografico remoto, anch'esso d'origine centroasiatica, presenta l'aquila che tiene fra i rostri una preda e rinvia a un contesto di vittoria sulle forze inferiori; così l' aquila che artiglia la lepre (la leporaria già ricordata da Plinio il Vecchio, un simbolo prediletto da Federico II: in quel contesto, la lepre ha un significato diabolico che la rende simbolo adatto, per esempio, all'eresia; se n'è ricordato il Carducci nella «lepre nera» della sua Faida di comune), oppure l'aquila che sottomette, ben stretto nei rostri, il drago. Quest'ultimo simbolo ha una vicenda araldica molto particolare e interessante. L 'aquila divenne con decisione il simbolo del Sacro Romano Impero soltanto nel XII secolo, quando Federico Barbarossa - attingendo sia alla tradizione carolingia (Carlomagno aveva decorato con un'aquila romana il fastigio della sua dimora in Aquisgrana) sia a quella romana (e può darsi che l'adozione di tale simbolo gli fosse stata consigliata, in tal senso, dai giuristi di Bologna) - l'adottò nel suo sistema di segni destinati a qualificare il suo concetto di «monarchia sacra». Da allora in poi, però, l'aquila divenne anche patrimonio dei fautori degli Hohenstaufen e quindi del partito ghibellino: il che obbligò gli avversari di esso, i guelfi, a scegliere come loro arme l'altro «re degli animali», il leone. Tutto ciò poteva andar ancora bene - ma Dante rivendicava il diritto del «santo segno» a dover ergersi sulle parti in conflitto, e l'illiceità di chiunque se ne appropriasse per degradarlo a distintivo di fazione - finché l'impero era nelle mani d'una dinastia ghibellina; ma al contrario esso si trovava talora in quelle di un casato guelfo (cioè originariamente connesso con i duchi di Sassonia-Baviera) e allora le cose si complicavano. Accadde così, ad esempio, ai primi del Duecento con Ottone IV di Brauschweig, che apparteneva appunto alla famiglia dei Welfen, eponimi del partito guelfo: come imperatore, egli non poteva rinunziare all'aquila ch'era sentita ormai come il simbolo stesso dell'impero; ma, come guelfo, non poteva accedere all'aquila ghibellina. Egli concepì dunque un'arme araldica nuova, che rappresentava un 'aquila in atto di artigliare un drago (a sua volta simbolo dell'eresia: e la propaganda guelfa voleva che eretici fossero i ghibellini). Ottone IV fu sconfitto nella battaglia di Bouvines, e sull'impero tornò a dispiegarsi l'aquila nera degli Svevi: ma di lì a poco i guelfi fiorentini, fondando la loro organizzazione di partito detta appunto «Parte Guelfa» avrebbero resuscitato l'insegna di Ottone e l'avrebbero fatta propria con alcune varianti: un' aquila rossa in campo bianco (i colori di Firenze) in atto di artigliare un drago di color verde (il verde ha, tra i suoi molti significati, anche un negativo, che lo imparenta al demonio e all'eresia).
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