Ultimi
dettagli per la strategia “anti-ozono”
La raffineria utilizzerà il
Denox al 55%, in arrivo un piano per prevedere gli effetti
sull’aria
FALCONARA - Sempre più vicina
la firma del protocollo ozono, ormai prevista la prossima
settimana, mentre proseguono le consultazioni tecniche sui
suoi contenuti. Anche ieri si è tenuta in Comune una
riunione tra Comune, Regione, Arpam e Api per discutere gli
ultimi dettagli dell’accordo. La raffineria si impegnerà ad
utilizzare al 55% della sua potenzialità il Denox. Questo
però solo finché la concentrazione degli Nox rimarrà a 160
microgrammi al metro cubo (la soglia di attenzione è di
180). Se il dato, invece, dovesse subire incrementi
l’impianto verrà alimentato a gas. A monitorare con maggior
accuratezza il fenomeno ozono contribuiranno anche i dati
atmosferici previsionali, forniti tutti i giorni dall’Arpam
Emilia Romagna, all’avanguardia in questo settore. Questi
dati, utilizzati per il primo anno dall’ufficio ambiente del
comune, coinvolgeranno tre diversi punti della città e
serviranno a capire fin dal giorno prima l’andamento delle
condizioni atmosferiche, gli eventuali effetti sugli Nox e
di conseguenza la necessità di prendere provvedimenti
precauzionali, come il blocco del traffico o la riduzione
della produzione dell’Igcc. Un modo questo di affrontare le
emergenze che porterà a novità già dall’anno prossimo.
L’ufficio ambiente del comune di Falconara, grazie alla
collaborazione con l’Arpam Emilia Romagna, conta infatti per
il 2003 di riuscire a prevedere il fenomeno ozono,
predisponendo così già dalle prime avvisaglie di crisi tutti
gli accorgimenti necessari. Intanto per domani mattina è
prevista l’ultima riunione tecnica in Provincia e poi la
prossima settimana verrà siglata la convenzione che quest’anno
per la prima volta contempla anche la fruizione da parte
degli enti dei dati delle centraline della raffineria, per
confrontare quei numeri con quelli delle centraline della
Provincia. E se si dovessero verificare giorni di
particolare crisi è in via di predisposizione con l’Arpam un
piano per informare i cittadini della situazione generale,
ma anche per consigliare loro cosa fare e cosa invece
evitare. |
Se la
raffineria chiudesse tutti i costi aumenterebbero
FALCONARA - Chiaro: la
raffineria puoi vederla come Picasso. Da più prospettive.
Così, almeno, dal punto di vista del pensiero. Ma bisogna
pure pensare aritmeticamente (e quindi scientificamente).
Ergo: se la raffineria Api chiudesse i battenti, cosa
spetterebbe alle Marche?
Primo: la necessità (e
il petrolio, fino a prova contraria, lo è) di movimentare su
distanze più lunghe notevoli quantità di prodotti con
effetti negativi sul piano ambientale, della sicurezza (con
l'aumento del rischio connesso alla circolazione stradale di
sostanze infiammabili) e della sicurezza delle tempestività
e delle affidabilità dei rifornimenti.
Secondo: rilevante
aumento del costo energetico a livello regionale.
Terzo: un notevole
incremento del numero dei veicoli pesanti che circolano
nella regione.
Quarto: grandi
difficoltà di reperimento e disponibilità di bitumi, uno dei
prodotti più specializzati del mercato petrolifero e più
difficili da trasportare. Per non parlare delle conseguenze
sul fronte energetico.
Farla finita con l'Api
significherebbe un aumento del deficit energetico regionale,
che arriverebbe a circa il 90% rispetto alla domanda interna
di energia, la necessaria realizzazione di nuove centrali,
l'aumento delle importazioni dalle altre regioni, lo spreco
di energia, per la dispersione derivante dalla distribuzione
in rete, il rischio (in caso di black out) di non rientrare
nell'elenco di rifornimento prioritario stabilito da Enel.
Al rosario di conseguenze legate alla chiusura della
raffineria si legherebbe pure l'aumento dei costi energetici
generali. E sarebbe una bella mazzata.
Energia, deficit alle
stelle ma Falconara ci «aiuta»
FALCONARA - Il muso dell'Eurostar
s'infila in una cittadella metallica, un dedalo di tubi e
condotte, turrito di ciminiere, cisterne e serbatoi. Un
bimbo del nord squadra incuriosito quella che pare una
stazione spaziale. «Quella di Goldrake», borbotta il
piccino. Con tanto di vessilli al vento ed emblema: un
cavallo nero. Un «Furia» icona dell'Api raffineria di Ancona
Spa, simbolo delle Marche che marciano e producono, stemma
dell'energia e della risorsa petrolifera. Una ciminiera
sputa il fuoco dello spirito imprenditoriale, che troneggia
lì, a un passo da Ancona e Falconara. Di fronte a quel
tempio metallico, il muso dell'Eurostar annusa l'odore del
petrolio raffinato e distribuito in ogni dove. Cuore
energetico Quel petrolio che colma un gap regionale, di cui
le cifre parlano chiaro: su scala marchigiana la situazione
attuale, dice la bibbia dell'Unione petrolifera sui consumi
nazionali, conferma che la domanda locale è decisamente
sostenuta, soprattutto in considerazione delle attività
industriali e commerciali presenti in regione. Secondo l'Api
«da un punto di vista del rapporto di dipendenza fra
economia territoriale e raffineria il legame è ancora più
stretto per quanto riguarda i prodotti petroliferi,
carburanti e combustibili, che vengono spediti via terra a
tutta la regione e all'Umbria orientale». Ergo, sempre
secondo l'Api «per soddisfare la domanda di prodotti
petroliferi, ogni anno la raffineria invia al mercato
dell'hinterland circa 2,2 milioni di tonnellate dei diversi
tipi di carburanti e combustibili, la massima parte dei
quali volta a coprire la domanda delle Marche». Idem sul
fronte energetico. Le Marche, predica un recente sondaggio
del Gtrn (Gestore unico della rete elettrica nazionale), non
sono dotate di un adeguato sistema di produzione di energia
sufficiente a garantire la piena autosufficienza. La regione
del Picchio è infatti al top della hit-parade delle regioni
col deficit energetico più alto. La provvidenza si chiama
centrale Igcc (impianto di gassificazione e produzione di
elettricità). I 280 Mw di potenza della centrale, che
corrispondono ad una produzione annua di quasi 2 miliardi di
Kwh, rappresentano la fonte energetica regionale più
cospicua. Tanto che la produzione elettrica eccedente gli
usi di raffineria permette di coprire circa il 30% del
deficit. Centralina dei miracoli Il gioiello Api (impianto
Igcc) si è messo in moto appena due anni fa, dopo una
gestazione lungo l'arco del decennio scorso. Buona fetta
degli anni Novanta è stata dedicata al progetto di
gassificazione e cogenerazione a ciclo combinato, che
consente alla raffineria di eliminare la produzione di
combustibili ad alto tenore di zolfo e di abbattere
drasticamente le emissioni di inquinanti.Obiettivo primario,
questo, nella laboriosa tabella di marcia dell'Api, in cui
spiccano la ricerca dell'eccellenza produttiva, la «costante
riduzione dell'impatto ambientale e la minimizzazione dei
livelli di rischio». Quella che pare la stazione di «Goldrake»
copre, tra l'altro, il 100% del mercato dei prodotti
petroliferi delle Marche e dell'Umbria orientale e possiede
un bacino di utenza esteso ad Abruzzo, Basilicata, nord
della Puglia e a parte di Emilia Romagna e Veneto. Questa la
produzione di quell'ammasso di arterie che parte dal cuore
geografico (ed energetico) delle Marche.
Arche
di garanzia anche sul fronte (!?)
Arche di garanzia anche sul
fronte inquinamento e sicurezza. E' l'Api che, secondo la
classificazione Wood Mackenzie (società di consulenza con
sede a Edimburgo, specializzata in consulenza ambientale),
si schiera, per indice di complessità, in sesta posizione
rispetto alle sedici raffinerie italiane. Su 101 raffinerie
in Europa, alla stessa voce, l'Api si piazza trentaseiesima.
Al parametro indice qualità di benzine, l'Api è quarta in
Italia e trentanovesima in Europa. I numeri parlano da soli.
(i comitati osservano e rispondono)
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