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La decorazione architettonica romana




La lavorazione del marmo nei frammenti architettonici del Foro di Traiano

di Marina Milella

Il testo, con piccole modifiche, è quello pubblicato all'interno di un opuscolo divulgativo pubblicato dal Comune di Roma, dal titolo Il restauro dei marmi e dei laterizi nei Fori Imperiali e nei Mercati Traianei.



L'uso del marmo in architettura, e specialmente la moda di rivestire pareti e pavimenti con crustae marmoree (lastre di marmi bianchi e colorati), ebbe un'enorme diffusione in tutte le regioni dell'impero romano. Tuttavia il costo del materiale e, soprattutto, del trasporto, in località spesso lontane dalla cava, ne consentiva l'uso solo alle classi più abbienti, facendone un segno di benessere economico e un simbolo di prestigio. All'epoca della costruzione del Foro di Traiano (inaugurato nel 112-113 d.C.), le cave più importanti erano di proprietà imperiale: una certa percentuale della loro produzione veniva inviata a Roma, per essere poi immessa sul mercato e venduta a privati, o per essere utilizzata nelle grandi opere pubbliche volute dagli imperatori.

Nel Foro di Traiano vennero usati i seguenti marmi:
Marmo lunense (marmor lunensis) Marmo bianco a cristalli piccoli, dalle cave di Luni, l'odierna Carrara, utilizzato per la maggior parte dei blocchi delle trabeazioni, i capitelli e le basi.
Marmo pentelico Marmo bianco a grana finissima, spesso con venature verdastre brillanti, dal monte Pentelico, in Grecia, utilizzato solamente per l'architrave attribuito alla fila di colonne che separava tra loro le navate laterali della Basilica Ulpia.
Marmo tasio Marmo bianco con cristalli piuttosto grandi dall'isola di Thasos, in Grecia, utilizzato per sculture di personaggi di rango imperiale (forse raffiguranti Traiano stesso), collocate probabilmente nelle esedre dietro i portici.
Marmo cipollino (marmor caristium) Marmo colorato con venature ondulate verdastre su uno sfondo biancastro o verde più chiaro, da Karystos, nell'isola di Eubea, in Grecia, utilizzato per i fusti lisci dei due ordini superiori della Basilica Ulpia e per lastre pavimentali. Marmo cipollino

Marmo cipollino
Marmo giallo antico (marmor numidicum ) Marmo colorato di varie tonalità di giallo, con macchie e vene rossastre, da Chemtou in Numidia (attuale Tunisia), utilizzato per fusti scanalati di colonne e lesene, per lastre pavimentali e per rivestimenti parietali. Marmo giallo antico

Marmo giallo antico
Marmo pavonazzetto (marmor phrygium, o synnadicum, o docimenium) Marmo colorato a fondo biancastro, con venature e macchie purpuree, da Docimium in Frigia (odierna Turchia), utilizzato per fusti scanalati di colonne e lesene, per lastre pavimentali e per alcune delle sculture con Daci dell'attico dei portici della piazza. Marmo pavonazzetto

Marmo pavonazzetto
Granito del Foro (marmor claudianum) Pietra a grana media, con macchie scure e regolari su fondo bianco, dal mons Claudianus, nel deserto orientale egiziano, utilizzato per i fusti lisci di colonne (del propileo settentrionale, di eccezionali dimensioni, della navata centrale della Basilica Ulpia e delle nicchie sul fondo delle esedre dei portici) e per lastre pavimentali. Granito del Foro

Granito del Foro
Marmo africano (marmor luculleum) Marmo colorato brecciato con forti contrasti cromatici, da Teos, in Turchia, utilizzato per fusti di colonna e per lastre pavimentali.

Cartina cave marmi

Luoghi di estrazione dei marmi colorati utilizzati nel Foro di Traiano

Nelle cave più importanti, per favorire le operazioni di contabilizzazione, potevano essere incise sui blocchi sigle di riferimento per il settore (brachium) o per il punto esatto (locus) dal quale il blocco era stato estratto.
Un elemento di cornice liscia del Foro di Traiano, in marmo lunense, appartenente probabilmente al terzo ordine della Basilica Ulpia, ha il retro lasciato allo stadio di superficie grezza, in quanto non si era reso necessario un maggior grado di rifinitura per la posa in opera del blocco: è rimasta visibile la sigla che indica la provenienza del blocco dal loc(us) XX della cava.

Le tracce presenti sui blocchi di marmo possono darci importanti indicazioni per la ricostruzione del monumento di appartenenza: ad esempio, sul piano di posa superiore di una cornice pertinente alla facciata della Basilica Ulpia, sono visibili le tracce di lavorazione per la giunzione con i blocchi adiacenti e sovrastanti.
Al centro una grande cavità rettangolare (con lati ad andamento obliquo, in modo che la cavità si allarghi verso il fondo) era destinata all'inserimento dell'olivella per il sollevamento del blocco. Lungo i margini laterali sono presenti cavità di forma trapezoidale: queste si accostavano a cavità simili nel blocco adiacente e ospitavano grappe "a coda di rondine", che assicuravano la giunzione della cornice con altri elementi della medesima trabeazione.
Sulla superficie è chiaramente visibile una striscia centrale con lavorazione maggiormente rifinita: su questa parte erano sovrapposti gli elementi marmorei dello zoccolo liscio dell'attico e la superficie è stata lisciata per assicurare una perfetta giunzione tra i blocchi.
Per collocare gli elementi sovrapposti nella esatta posizione, erano utilizzate delle leve, che facevano presa su piccoli incassi rettangolari ricavati sulla superficie del blocco sottostante.
La stabilità della struttura era assicurata dai perni metallici inseriti sul piano inferiore del blocco che si andava a sovrappore in strette cavità quadrangolari: i perni si andavano ad inserire in cavità più ampie del blocco sottostante: quando il blocco era già stato sistemato in opera, il perno veniva fissato con piombo fuso, che veniva colato nella cavità per mezzo di una canaletta ricavata sulla superficie del blocco inferiore e che partiva dal margine del blocco sovrapposto.

Tracce di sovrapposizione di blocchi

Il piano superiore della cornice della facciata della Basilica Ulpia.
  1. cavità per olivella per il sollevamento del blocco
  2. cavità per perno di fissaggio del blocco sovrastante, con canaletta di scolo per il piombo fuso
  3. cavità per leva
  4. cavità per grappa a coda di rondine, per l'ancoraggio con il blocco adiacente.
  5. Superficie rifinita per la sovrapposizione del blocco superiore
  6. Superficie grezza senza sovrapposizione di blocchi

Una volta che il blocco era collocato in opera, venivano rifinite le decorazioni: sugli elementi architettonici venivano scolpite le superfici lisce delle modanature, sulle quali venivano prima incisi e poi intagliati i particolari decorativi.
Sul retro di un elemento di fregio architrave pertinente al primo ordine della Basilica Ulpia, ad una delle estremità non è stata eseguita l'ultima fase della lavorazione, forse perché non risultava visibile nella collocazione definitiva del blocco.

Lavorazione interrotta

Fregio-architrave della facciata della Basilica Ulpia
Modanatura non terminata alle estremità del blocco

La realizzazione dello schema decorativo dei capitelli corinzi era basata sulla divisione della circonferenza del kalathos in otto parti, corrispondenti alle otto foglie di acanto della seconda corona (quattro al centro di ogni lato e quattro alternate alle prime in corrispondenza degli angoli). Per individuare correttamente la posizione delle foglie, gli scalpellini hanno inciso sul piano inferiore di un capitello del secondo ordine della Basilica Ulpia otto raggi, in corrispondenza dei quali doveva essere scolpito sul kalathos il centro della foglia della seconda corona.

La divisione della circonferenza delle colonne in ventiquattro scanalature era ottenuta invece riportando con un compasso sulla superficie del fusto, in corrispondenza del punto dove le scanalature dovevano iniziare, al sommoscapo, ventiquattro punti incisi, equidistanti l'uno dall'altro. La dimensione dei listelli tra le scanalature veniva segnata mediante un cerchietto inciso facendo perno sul punto.
I punti e i cerchi sono chiaramente visibili sui fusti di colonna scanalata in pavonazzetto pertinenti ai due ordini della decorazione interna delle Biblioteche.

Poteva accadere che il blocco di pietra estratto dalla cava, soprattutto se di grandi dimensioni, presentasse delle imperfezioni in superficie, oppure che si rovinasse durante il trasporto. In questo caso gli scalpellini asportavano la parte di superficie rovinata e praticavano uno scasso per l'inserimento di un tassello di restauro.
Su uno dei fusti lisci di colonna in granito grigio della navata centrale della Basilica Ulpia, l'incasso per il restauro presenta i bordi ondulati, sia per assicurare una maggiore tenuta del pezzo aggiunto, sia per rendere meno visibile la riparazione eseguita.

Tassello

Cavità con i bordi ondulati per l'inserimento di un tassello in uno dei fusti di colonna della Basilica Ulpia

Le parti più sporgenti della decorazione, come le cime ricurve delle foglie di acanto dei capitelli, potevano più facilmente danneggiarsi durante la lavorazione o la posa in opera. Anche in questo caso la parte sporgente, rovinata, veniva eliminata, e sulla superficie del kalathos veniva ricavata un incasso quadrangolare in cui si incastrava il dente sporgente di un tassello di restauro per la nuova cima della foglia, che successivamente doveva essere rifinita nei particolari.
Uno dei capitelli corinzi perinenti al primo ordine della decorazione interna delle Biblioteche reca visibile un incasso per il restauro in corrispondenza della cima di una foglia centrale della seconda corona, in cui può ancora essere inserito il tassello di restauro pertinente.

Tassello di restauro di un capitello

Tassello di restauro per una delle cime delle foglie d'acanto di un capitello della Biblioteca occidentale

Le vicende di un blocco di marmo non si esaurivano nel momento in cui veniva messo in opera nell'edificio per il quale era stato scolpito. Quando successivamente il monumento era andato in rovina, per incuria o danni, i blocchi venivano asportati e riutilizzati per nuove costruzioni: potevano essere "bruciati" nelle calcare per farne calce di ottima qualità, oppure riutilizzati come materiale da costruzione, o come elementi decorativi. Molti monumenti antichi furono usati nel Medioevo come cave di materiale, e si sfruttavano a volte gli elementi architettonici antichi come fossero blocchi di marmo appena estratti, scolpendo una nuova decorazione per un diverso utilizzo.
Nel Foro di Traiano è ad esempio conservata una base di colonna che venne rilavorata come acquasantiera per una chiesa, riscolpendo uno dei lati e scavando il bacino sull'originale piano di appoggio inferiore.

Base rilavorata come acquasantiera

Base rilavorata come acquasantiera

Con il Rinascimento si diffuse l'uso di collezionare pezzi antichi. Talvolta le parti decorate venivano asportate dai blocchi e ridotte in lastre, più maneggevoli. Per spezzare i blocchi si realizzavano, lungo la linea di frattura desiderata, una serie di cavità, in cui venivano inseriti dei cunei di legno: questi, bagnati, si dilatavano e spaccavano la pietra. Se tuttavia non si teneva conto delle venature naturali del marmo, la frattura poteva non seguire la direzione preventivata: spesso il blocco, ormai danneggiato veniva allora abbandonato sul posto.
Questo é accaduto ad un elemento di fregio-architrave che doveva appartenere forse ad un ninfeo (fontana monumentale) adiacente al Foro di Traiano, da cui si sarebbe voluta ricavare una lastra recante la sola decorazione del fregio, con palmette e calici di acanto, da vendere probabilmente a qualche collezionista di antichità.

Fregio-architrave con tracce di un tentativo di taglio

Fregio-architrave con una linea di cavità per l'inserimento di cunei in legno per spaccare il blocco.





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Copyright (c) 2004 MARINA MILELLA

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