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La decorazione architettonica romana




Commento a P. PENSABENE, "La decorazione architettonica,
l'impiego del marmo e l'importazione di manufatti orientali a Roma,
in Italia e in Africa", Società romana e impero tardoantico.
III. Le merci, gli insediamenti,
Bari 1986, 285-422.

Tra il I-II e il III-IV sec. d.C. si manifestano sostanziali cambiamenti, riguardo ai luoghi e modi di produzione, alla committenza, al tipo di edifici, ai dati quantitativi, e anche alla tipologia e stile delle decorazioni. Si nota una minore fedeltà alla tradizione classica, che deve essere analizzata nel quadro dei complessi rapporti tra arte colta e ufficiale e arte popolare, o tra produzione standardizzata e monumenti pubblici o privati. I mutamenti stilistici non possono dunque non essere influenzati dalla committenza e dalle condizioni geografiche e storiche.

A Roma, a Ostia e in Italia nel I e II sec. d.C. domina nella decorazione la tradizione classicistica codificata nel Foro di Augusto, che si è andata naturalmente evolvendo dal punto di vista stilistico con un maggiore uso del trapano, un minore interesse per i valori plastici, e una ricerca di tecniche di lavorazione volte ad accellerare la produzione di grandi quantità di materiali.
Viene utilizzato ampiamente il marmo, sia bianco (lunense, proconnesio) che colorato (giallo antico, granito, porfido, alabastro, pavonazzetto, iassense, africano, cipollino, portasanta, fior di pesco, verde e rosso antichi, serpentino) e quest'uso è diffuso anche in ambito privato, come provano le ville del suburbio e i monumenti funerari.
Le grandi officine sono quelle legate ai cantieri dei grandi edifici imperiali di epoca traiano-adrianea e antonina. A partire dall'età di Caracalla i cantieri sono più rari e si verifica una caduta della produzione: nel III secolo sono presenti pochi grandi cantieri pubblici (le terme di Caracalla, il tempio di Serapide sul Quirinale, il tempio del Sole di Aureliano, le terme di Diocleziano, la basilica di Massenzio, l'arco di Costantino), che si differenziano dai prodotti più correnti destinati all'edilizia privata e alle chiese.
Un fenomeno particolarmente significativo è rappresentato dall'importazione massiccia di capitelli corinzi asiatici ad acanto spinoso dal Proconnesio e da altri centri orientali per l'edilizia pubblica e privata. Questa importazione inizia già nel II sec. d.C., si accentua in epoca severiana e nel III secolo e assume proporzioni enormi in età tetrarchica e primo-costantiniana.
Nella seconda metà del IV e nei primi decenni del V sec. d.C. si manifesta a Roma una ripresa produttiva, con officine marmorarie che forniscono capitelli compositi a foglie lisce, nei quali il non finito diviene motivo stilistico a sé stante, non dovuto a economia nella lavorazione. Dopo il momento di rottura con la tradizione i modelli più antichi, direttamente derivati dagli esemplari rifiniti, saranno imitati senza essere più compresi e subiranno un progressivo impoverimento. Nello stesso periodo, a S.Paolo f.l.m. e nella ricostruzione del tempio di Saturno vengono impiegati capitelli del tutto rifiniti, ma ugualmente impoveriti. I capitelli a foglie lisce trovano impiego nelle chiese e nelle domus tarde e hanno una certa esportazione in ambito occidentale.
Il fenomeno del reimpiego, già presente in epoca costantiniana, riprende massicciamente dalla metà del V sec. d.C., in conseguenza alla cessazione della produzione. Sono presenti importazioni bizantine, a partire dal tardo IV sec. d.C., ma a Roma sono scarse, legate esclusivamente ai cantieri della casa imperiale.

Continua nel IV e nel V sec. d.C. la tradizione dell'opus sectile: la produzione rallenta nel periodo tra Costantino e Teodosio, ma riprende successivamente per le nuove chiese e le grandi domus e perdura almeno fino al VI secolo in forme semplificate. Sono ancora attestate maestranze romane, che acquistano anche una certa rinomanza. Tra gli inizi del VI e gli inizi del VII secolo si manifesta in questa produzione un influsso bizantino.
Dal secondo quarto del II sec. d.C. esistono officine locali che producono sarcofagi, ma già nel II e nel III secolo sono attestate importazioni di sarcofagi rifiniti (dall'Attica, da Docimium e dalla Frigia, da Afrodisia) e di casse sbozzate (da Efeso, dal Proconnesio, da Thasos, da Assos). Nel IV secolo sono presenti semplici casse provenienti dal Proconnesio e nel V da Costantinopoli. Si conosce anche qualche caso di importazione dall'Egitto.
L'esportazione di sarcofagi da Roma verso l'Occidente, attestata per il II e per il IV sec. d.C., deve essere ricollegata alla vivacità produttiva già vista per gli elementi architettonici. L'importazione di sarcofagi del tutto rifiniti, o di casse sbozzate, era destinata ad una clientela abbiente, mentre gli elementi architettonici sono importati in genere per i monumenti pubblici o di committenza statale.

Nelle provincie africane è attestato nel II sec. d.C. un grande sviluppo urbanistico, conseguente a mutate condiioni storiche ed economiche, per il quale viene adottato lo stile decorativo flavio di Roma, in mancanza di una tradizione ellenistica locale o di un influsso dell'ellenismo italico. Sotto Giuba II a Cesarea di Mauretania viene importato il marmo lunense, lavorato sul posto da maestranze di origine romana. Nel II sec. d.C. il marmo proviene ancora dalle cave di Luni, ma anche dal Proconnesio e Cartagine assume un ruolo dominante. In Tripolitania si manifesta precocemente l'influsso asiatico. Il gusto locale si manifesta in una lavorazione appiattita e in una marcata inventiva nelle decorazioni.
Nel III sec. d.C. la tradizione decorativa occidentale viene progressivamente abbandonata: si importano capitelli corinzi asiatici e le officine locali introducono varianti e semplificazioni, fino ad arrivare nel IV sec. d.C. a prodotti ormai svincolati dalla tradizione classica. Nella seconda metà del V e nel VI secolo sono presenti importazioni bizantine, con rielaborazioni e imitazioni ad opera di officine locali.

Nella Gallia meridionale si trovano il marmo lunense e maestranze romane in età giulio-claudia. Nel II secolo viene adottato lo stile flavio ed è presente un'abbondante importazione di capitelli corinzi asiatici in età tetrarchica e costantiniana.

Nel III secolo d.C. cessa nelle cave l'uso di siglare blocchi e colonne sbozzate, testimoniando un mutamento nell'organizzazione delle attività estrattive. I blocchi non rifiniti provenienti dalle cave si erano andati accumulando tra il I e il II secolo nella Statio Marmorum di Roma, mentre nel III secolo aumenta la produzione in cava di manufatti semilavorati o del tutto rifiniti per l'esportazione. Questo fenomeno assume grande importanza economica nel IV e nel V sec. d.C.
Le cave più importanti sono di proprietà imperiale, ma dopo l'estrazione i blocchi possono essere ceduti ad appaltatori e negotiatores per l'uso privato.

Nei capitoli seguenti viene affrontata la classificazione tipologica dei capitelli di importazione orientale (capitelli corinzi asiatici, capitelli compositi asiatici, capitelli corinzieggianti con volute a doppia S asiatici, capitelli a calice greci, capitelli a calice asiatici), dei capitelli compositi a foglie lisce di Roma e di Ostia, prodotti da officine locali tardo-imperiali, dei sarcofagi di importazione orientale in Italia (semilavorati a cassa liscia o a ghirlande, e rifiniti a ghirlande, con fregi figurati, a colonnette) e dei sarcofagi di tipo asiatico prodotti da officine di Roma, e infine di alcuni tipi di capitelli bizantini importati in Italia (capitelli corinzi bizantini, capitelli compositi bizantini, capitelli-imposta, capitelli a cesto bizonali).

Infine si esamina la decorazione architettonica nell'Africa romana, con uno studio preliminare sui capitelli: dopo una premessa e un inquadramento storico si prendono in considerazione i capitelli corinzi di II-I sec. a.C., i capitelli delle terme di Antonino e del teatro di Cartagine, i capitelli corinzi del Nordafrica tra l'epoca adrianea e quella severiana, i capitelli compositi della seconda metà del II - primo terzo del III sec. d.C., i capitelli corinzi e compositi a foglie lisce dalla fine del II secolo alla tarda antichità, i capitelli di importazione orientale dal periodo severiano a quello bizantino, gli influssi asiatici sulle produzioni locali dal III al V secolo e quelli bizantini nel V-VI secolo, i capitelli ionici del II-I sec. a.C., del II e della prima metà del III secolo e dalla seconda metà del III al VI sec. d.C.




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