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Nebbie in ValPiadina...

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  "Ma come fai a vivere da quelle parti ? Senza il mare, il sole, con tutta quella nebbia..."
Come si fa ? Aprendo gli occhi, e provando a guardarsi d'intorno...
 

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  Prima è stato il freddo, secco, intenso, profondo. Un'aria fina e leggera da respirare appieno, il mattino presto andando verso l'auto. Di quelle arie che ti ritrovi mani e gambe ghiacciati e doloranti, una volta arrivati; ma belle, limpide, le colline quasi ritagliate contro il cielo. E la sorpresa di un Panaro ghiacciato per metà, sotto gli alberi del lungofiume. Le papere confinate in quel po' d'acqua che scorre ancora, a rubarsi il pane lanciato dal vecchietto sul ponte, ed io a rubarmi lo spettacolo di quel ghiaccio e delle rive coperte di una neve indurita, candida ed abbagliante... il greto ghiacciato di un fiume; anche questo doveva toccarmi, quest'inverno.

I campi, allo stesso modo, coperti di brina gelata. Ed in mezzo al freddo ed alle viti rinsecchite e contorte sui filari, i vecchi che controllano chissà cosa, persi in mezzo alla brina dei campi. Chiuso nella macchinetta, riscaldamento al massimo, mi ritrovo a pensare che ci sia senz'altro qualcosa di sbagliato, in tutto questo; e che non sia fuori dell'auto.

Poi arriva qualche po' di caldo in più, e cominciano le pattinate sul ghiaccio, quello balordo della notte, forte di tutta la neve che si è sciolta durante il giorno; quello bastardo che ti frega anche a passo d'uomo ed in rettilineo, quando il volante comincia a sembrare un optional. Fortuna che dura poco, perché continua a salire, il termometro....

Ed arriva, improvvisa, di sera.
Troppa acqua in giro, troppo caldo perché non venisse. Ma non i nebbioni padani, qui è Piadinia verso le colline, ed allora giunge leggera e comincia a danzare di fronte alla luce dei fari. Non un muraglione, ma un fumo denso e garbato, uno svolazzo di spire che smorza i suoni, mentre le colline giocano a nascondercisi dietro e dentro. L'aria si fa spessa, greve d'umido e di freddo, ed il cappotto riesce ad essere insieme e pesante ed inutile, ché tanto contro quell'umido non c'è vestimento che tenga... ti filtra dentro dalla pelle, e scende fino alle ossa, per fermarsi lì e non andarsene se non al chiuso ed al caldo dei termosifoni (certo, una polenta aiuta, in certi casi :-). Eppure riesce persino a non essere fastidiosa, e capita persino di non trovarne nemmeno, per la strada (naturalmente, per non trovarne più, occorre passare il Confine andando verso Vignola, ma qui c'è l'aria buona del Panaro... funziona sempre e per tutto, il Panaro, anche se ghiacciato, stai a vedere).
Poi, magari, per strada ti giri e la trovi densa e compatta sui campi, come una coltre d'ovatta; così che al primo alzarsi del sole sembra di vivere in una stampa giapponese. Ed anche qui, da dentro l'auto, quel pensiero molesto che se qualcosa di sbagliato c'è, non è lì fuori.

Sarà l'età, o il rimbecillimento che questa si porta dietro (capace persino di anticiparlo, io), ma continua a girarmi in testa l'idea che posti così dovrebbero essere vissuti e camminati a piedi o in bicicletta. C'è troppa terra qui d'intorno, e troppe piante e ceppi perché le auto non sembrino, a volte, qualcosa di veramente troppo estraneo; dovrebbe essere una terra misurata a passi, la suola che affonda un poco, l'aria pulita a riempire i polmoni, anche il freddo, a volerci pensare, a velare il viso... poi saranno, che so, tigelle e lambrusco a scaldare corpo ed animo, al chiuso; ma dopo. Prima dovrebbe essere stanchezza, ma di quella vera, quella odorosa di terra e che scende nelle gambe piano piano; non questi mal di testa da carte, questa stanchezza da città, ottusa e presuntuosa.... A piedi o in bicicletta, così che il tempo ritrovi finalmente la sua vera misura, non più ritmato da cicli di processore, dalle formule sullo schermo, ritagliato e tritato a misura dei centesimi di millimetro delle macchine utensili... mestiere ruffiano, il mio, che lusinga col nitore dell'acciaio levigato; ma ormai sono troppo grosso per continuare a nascondermi dietro i giochi di montaggio.
Voglio, vorrei, sento che mi serve un tempo a misura di pasta che lievita; un tempo di quelli veri, un tempo di pazienza e di stagione, per imparare nuovamente ad aspettare, per imparare finalmente ad attaccare il giusto prezzo alle cose; per imparare, nuovamente o finalmente, a misurarlo, il tempo...

Poi, ad un certo punto, ci si alza e ci si ferma un attimo, a sentire d'intorno. E ci si accorge che è cambiato qualcosa, forse nella notte o nei giorni precedenti (si è tanto distratti), ma non può essere da molto; ieri la luce non era così viva, l'aria non era così... oggi è diversa, è nuova e fresca, profuma di vita, non è il vento a muoverla, è come fosse qualcos'altro.

È come un respiro lento, lentissimo, profondo, che sembra arrivare da sotto terra. Un respiro trattenuto per tanto tempo, quando l'aria era brumosa e fredda, nascosto da qualche parte nei giorni della neve e del ghiaccio, ma adesso è passata. E la terra è come se si scuotesse lentamente dal torpore, e riprendesse a scaldarsi al sole. Si sente, che c'è qualcosa di nuovo in giro....
Vengono tolti i teloni, e spuntano nuovamente i trattori per le strade, caracollanti e lenti come il tempo nei campi, quello di una volta, senza telefonini; quello segnato dalla luce che spira dalle persiane per tramontare, assieme al sole, magari dietro un bicchiere di quello buono, fresco, frizzante e dolce. Ed i falò, tanti, nei campi, a bruciare rami e viticci. Si riempiono, i campi, nuovamente. E sono sempre ed ancora gli stessi passi lenti, la terra grassa che si sfrange sotto le suole, ed ancora le mani nodose a ripercorrere i nodi sui rami, uno ad uno, su tutti i filari delle piante. A vederli dalla strada, quei filari così ordinati come ranghi di soldatini, ma ben più seri ed importanti e preziosi.... piante dai rami contorti da anni di potature, e che ogni anno promettono e portano tanto, e poco importa se il mattino a volte la strada odora dello stallatico appena dato; meglio comunque quello che lo spetazzamento fuligginoso di un camion. Dopo questo solo tosse e fastidio, ma dopo lo stallatico saranno germogli e profumi ed ancora frutta e pane.

Per intanto, le rose hanno già cominciato a buttar fuori le foglioline nuove, tenere e rosse. E gli alberi sul lungofiume hanno i rami già pieni di germogli. Lo sanno, si preparano...
Lo sanno e lo sentono i vecchi, che riprendono a spuntare al sole, la mattina, in piazza. E ricomincia il chiacchiericcio costante, ed i capannelli davanti al bar, cravatta e gilet e migliaia di rughe su quei volti grinzosi e quelle mani larghe e stanche di campagna. Ed il passo delle ragazze è più disteso, più elastico, non più quello intirizzito dal freddo. E fioriscono i pomelli sulle guance, ed i sorrisi, ed il colore sulle labbra. Come diceva qualcuno "hai visto come sono belle le ragazze quest'anno ?" Oh, ho visto e vedo; basta stare fermi un attimo, fermarsi ad ascoltare e guardare, per vedere e sentire; fermarsi solo un attimo...
Primavera.

febbraio-marzo 2000
 

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