I

 

Pret. Pompei, 7/5/93, Del sorbo Pret., Coppola Carlo c. Longas S.p.A.

 

Rinunzie e transazioni - Verbale di conciliazione sindacale - Inoppugnabilità assoluta

Il periodo antecedente ad un verbale di conciliazione giudiziale non può più essere messo in discussione dalle parti che lo hanno posto in essere. Il verbale di conciliazione è titolo giudiziale e come tale soggetto solo alle regole di nullità sancite per gli atti processuali. Non esistono diritti indisponibili ed irrinunciabili nel caso siano portati all'attenzione del magistrato.

 

 

II

Pret. Milano, 21/4/93, Peragallo Pret., Compagnino c. Soc. Balzaretti Modigliani.

 

Rinunzie e transazioni - Conciliazione sindacale - Effetti - Impugnazione - Inammissibilità.

 

A norma dell'art. 2113 c.c. la conciliazione sindacale, stipulata ai sensi dell'art. 411, 3° comma, c.p.c. non è impugnabile essendo precluso al giudice l'accertamento della situazione preesistente e della violazione di disposizioni inderogabili eventualmente attuata con gli atti transattivi

 

 ----------

 

Sull'impugnabilità della conciliazione giudiziale, amministrativa e sindacale nel processo del lavoro.

 

 

1. Le sentenze in epigrafe, solo in apparenza simili, evidenziano i due prevalenti orientamenti in tema di impugnativa delle conciliazioni giudiziali, sindacali e amministrative. L’orientamento prevalente della dottrina e giurisprudenza[1] é per l’utilizzabilità degli ordinari strumenti di impugnativa del contratto di transazione in caso che questa avvenga a mezzo di conciliazione (giudiziale, amministrativa o sindacale).La sentenza della Pretura di Milano, pur rigettando nel caso di specie l'impugnativa proposta, accoglie tale orientamento mentre la sentenza della Pretura di Pompei si colloca in senso contrario.L'uso delle normali azioni di impugnazione del contratto nei (rari) casi di impugnazione delle conciliazioni giudiziali.è poco sperimentato nella prassi giudiziaria  Ciò è forse da attribuire al comune equivoco, in cui è in parte caduto anche il Pretore di Pompei, di ritenere che la non impugnabilità delle transazioni svolte con le formalità di cui al 4° comma dell'art. 2113 c.c. sia generale e non relativa soltanto alla speciale impugnativa dell'articolo stesso. Infatti, l'estensore dell'annotata sentenza, ritenendo che l'accordo tra le parti abbia valore non contrattuale ma di titolo giudiziale, nega apoditticamente l'esistenza di vizi che potrebbero invalidare la transazione, senza analizzare più a fondo la questione.

Anche l'assunto che non esistono diritti indisponibili, una volta portati all'attenzione del magistrato, suscita notevoli perplessità e si scontra con la prevalente dottrina e giurisprudenza[2].

 

2. La transazione è definita dal Codice civile (art. 1965 c.c.) come un contratto con cui le parti prevengono o pongono fine ad una lite facendosi reciproche concessioni con le quali possono costituire, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello oggetto della pretesa e contestazione.

Si è tuttavia argomentato che[3] la transazione postuli necessariamente l'esistenza di una lite sostanziale in atto, mentre quella eventualmente da prevenire sia solo una lite processuale, tesi questa poco condivisa e ormai quasi completamente abbandonata [4]. Si è anche detto che la transazione non individui un tipo contrattuale, ma una funzione, quella cioè di comporre una lite, assolvibile da qualsiasi strumento giuridicamente disponibile [5].

Elementi fondamentali della transazione sono le reciproche concessioni (o reciproche rinunzie) tra le parti: trattasi dunque di un contratto oneroso a prestazioni corrispettive[6], non traslativo, sebbene idoneo a produrre effetti traslativi[7].

Oggetto della transazione non possono essere diritti indisponibili (art. 1966 comma 2 c.c.) o irrilevanti giuridicamente (quali conflitti economici), mentre possono esserlo le situazioni patrimoniali da essi derivanti[8]. Per quanto attiene ai diritti nascenti da questioni già decise con sentenza passata in giudicato, questi non possono essere oggetto di transazione[9], a meno che non sia sorta una disputa sull'interpretazione o la validità della sentenza stessa.

Un caso particolare è costituito dalle transazioni stipulate dalle parti di un rapporto di lavoro per diritti derivanti da norme inderogabili di legge che sono assoggettate alla particolare disciplina dell'art. 2113 c.c., mentre le transazioni del lavoratore per l'indennità derivante da infortunio sul lavoro devono essere omologate dal tribunale (art. 69, 2 comma, R.D. 17/8/35 n° 1765).

 

3. La transazione può avvenire o con l'intervento delle sole parti o con l'ausilio di terzi, nel cui caso si parla di conciliazione.

La conciliazione e la transazione, pur avendo entrambe la funzione di comporre una lite,differiscono, oltre che per l'attività del terzo conciliatore,anche per la possibilità che nella conciliazione vi siano concessioni soltanto di una parte mentre, come già sottolineato, elemento fondamentale della transazione sono le reciproche concessioni[10].

Si può dire dunque che la transazione sia uno dei possibili contenuti, se non il più frequente, della conciliazione.

Quest'ultima può essere svolta nel nostro ordinamento da organi amministrativi, da organi giudiziari o, infine, dai sindacati laddove previsto dalla legge o da C.C.N.L.[11]. La conciliazione produce una serie di effetti: sostanziali, processuali, di titolo esecutivo e di scrittura autenticata.

L'efficacia sostantiva, qualora la conciliazione concreti una transazione, è la stessa di quest'ultima, come si deduce dall'art. 185 c.p.c. che definisce le transazioni come convenzioni concluse[12].

Inoltre il processo verbale di conciliazione giudiziaria ha comunque, anche se nullo (art. 322 comma 2 c.p.c.) il valore delle scritture private riconosciute in giudizio (art. 2703 c.c.)[13].

 

4. Stabilito dunque che le impugnazioni per le conciliazioni che concretano delle transazioni sono le stesse di queste ultime, salve le eccezioni previste dalla legge,mentre non sono utilizzabili gli strumenti di impugnazione degli atti processuali[14], è necessario esaminare le cause di invalidità della transazione.

In primo luogo, la transazione non è soggetta a rescissione per lesione (art. 1970 c.c.), mentre è invece esperibile l'azione di risoluzione per inadempimento (art. 1976 c.c.) e per eccessiva onerosità sopravvenuta, qualora non vi sia stata novazione del rapporto preesistente, salva la possibilità di un'espressa riserva delle parti[15]. Tali rimedi possono essere invero utilizzati verso il rapporto sottostante la transazione, ma non verso quest'ultima[16]. Sono invece pienamente applicabili la nullità, l'inesistenza e l'annullabilità.

E' nulla la transazione che sia viziata nella causa, nell'oggetto o nella forma [17]; inesistente quella viziata da errore nella dichiarazione; annullabile quella stipulata in difetto di capacità di agire, di intendere e di volere, di legittimazione nonché in presenza di vizi della volontà.

L' errore può essere sui presupposti (caput non controversum) o sull'oggetto (caput controversum) della transazione: in tale ultimo caso deve essere di fatto [18], essenziale e riconoscibile [19].

Nel primo caso, invece, l'errore ha sempre rilievo a meno che non riguardi elementi che non confluiscano nel rapporto costituito con la transazione [20].

Nulla da dire, invece, per il dolo, che segue le regole generali.

Una norma speciale (art. 1971 c.c.) stabilisce l'annullabilità della transazione in caso in cui una delle parti sia cosciente della temerarietà di una delle parti della propria pretesa.

Anche la violenza segue le regole generali in tema di annullamento dei contratti.

Un'altra norma speciale (art. 1972 primo comma c.c.) stabilisce che "è nulla la transazione relativa ad un contratto illecito ancorché le parti abbiano trattato della nullità di questo". Si tratta dunque di individuare il limite entro cui le parti possano modificare il regime di rapporti retti da norme inderogabili.

Non sono pertanto possibili le transazioni che abbiano ad oggetto un contratto nullo per illiceità dell'atto, mentre sono lecite quelle su atti nulli per vizi di forma e di oggetto (tranne che l'oggetto sia illecito o impossibile), nonché su atti inesistenti  [21].

Qualche parola va spesa in tema di azione revocatoria, che taluni negano possa essere utilizzata per la transazione [22], ma che la dominante dottrina e giurisprudenza [23] ritiene invece applicabile.

 

5. Per quanto attiene al campo lavoristico, oltre gli strumenti summenzionati, il legislatore offre al soggetto "debole" del rapporto di lavoro una particolare forma di impugnazione delle rinunzie e transazioni: l’art. 2113 c.c..

E' noto che questa norma stabilisce una sorta di irrinunziabilità o inderogabilità (in peius) dei diritti dei lavoratori[24], o meglio ancora un'invalidità speciale, non rientrante né nel campo della nullità né dell'annullabilità [25].

Indubbiamente, quale che sia la qualificazione giuridica dell'impugnativa dell'art. 2113 c.c., le caratteristiche che la legge le conferisce valgono a differenziarla da ogni altra impugnazione. Essa si affianca, infatti, alle azioni di nullità ed annullabilità [26], è utilizzabile solo dal lavoratore [27], non può essere convalidata [28] e, soprattutto, non necessita di alcuna motivazione o presupposto, essendo sufficiente la mera volontà di impugnare espressa dal lavoratore con qualunque atto, anche stragiudiziale, entro sei mesi dalla firma della transazione o dalla cessazione del rapporto.

Tuttavia, l'ultimo comma dell'art. 2113 c.c. espressamente sancisce la non impugnabilità delle transazioni e delle rinunzie [29] avvenute a mezzo di conciliazione giudiziale, amministrativa, sindacale.

Dunque, allorquando la transazione sia avvenuta con la forma della conciliazione non sarà utilizzabile lo speciale strumento dell'art. 2113 c.c., come pure quando siano passati più di sei mesi dalla firma della transazione o dalla cessazione del rapporto.

Ma ciò non toglie che restino esperibili i normali mezzi di impugnazione delle transazioni [30].

E' evidente l'importanza di potere utilizzare l'impugnativa dell'art. 2113 c.c. che, a differenza delle normali azioni di nullità e annullamento del contratto, non richiede alcuna prova ma solo l'espressione della volontà del lavoratore.

Tra gli strumenti che più di frequente potranno essere utilizzati vi è certamente l'annullamento per i vizi del volere e, specificamente, per violenza morale [31]: soprattutto quando la transazione viene effettuata in corso di rapporto di lavoro allo scopo di far rinunciare il lavoratore ai diritti maturati fino ad allora [32] (scatti di anzianità, in primo luogo, ma anche l'indennità di anzianità fino al 1982) [33], vi è spesso una più o meno implicita minaccia psicologica di licenziamento o ritorsioni.

Com'è noto, la violenza non deve essere necessariamente esteriorizzata dal soggetto "forte", ma può essere resa palese anche a mezzo di un comportamento intimidatorio della controparte o di un terzo. Ciò che conta è che la volontà di uno dei contraenti sia stata oggettivamente coartata dal pericolo di un male ingiusto e notevole per sé o per i propri beni (art. 1435 c.c.) [34]. Anche la minaccia di esercitare un proprio diritto può essere causa di annullamento (art. 1438 c.c.) purché esorbiti dal mero "timore reverenziale" (art. 1437 c.c.).

E' sul presupposto della posizione di debolezza del lavoratore che l'art. 2113 c.c. [35] opportunamente posticipa il decorso dei sei mesi nei quali si può impugnare la transazione alla cessazione del rapporto di lavoro e che la Corte Costituzionale [36] ha dichiarato la imprescrittibilità in costanza di rapporto dei diritti dei lavoratori che non godano della stabilità reale del posto di lavoro.

Se, pertanto, elementi oggettivi [37] porteranno a ritenere che il lavoratore che ha firmato la transazione giudiziale versava in condizione di inferiorità psicologica, a seguito di una più o meno esplicita minaccia che abbia modificato il normale corso di formazione della sua volontà, questa potrà essere annullata.

La violenza si pone dunque al primo posto nella casistica dei vizi che possono invalidare la volontà del lavoratore che firmi una transazione.

Oltre la prassi di fingere una lite giudiziale in corso di rapporto, ipotesi più facilmente smascherabile [38], è assai diffusa anche quella di imporre al lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro, una transazione che ponga il datore al riparo da future pretese. Qualora ciò avvenga sotto la minaccia di non pagare le indennità di fine rapporto o con la promessa di essere assunti successivamente [39], si rientra nel caso già visto di annullabilità per violenza morale, con i relativi oneri probatori [40].

Altre volte invece, il lavoratore è indotto a firmare nella convinzione che ciò sia necessario per ottenere documenti e spettanze (soprattutto nel caso di conciliazioni amministrative), oppure senza sapere di rinunciare irrimediabilmente a propri diritti pregressi  [41] o ancora credendo di firmare tutt'altro documento.

In questi casi si tratterà di impugnare rispettivamente la transazione per dolo, errore vizio o errore ostativo, con difficilissimi oneri probatori [42].

Le ipotesi di dolo del datore di lavoro non presentano invece particolarità.

 

6. Passando all'esame degli altri casi di invalidità della transazione, occorre soffermarsi in particolare sull'invalidità e nullità della transazione.

Si tralasciano, invece, le ipotesi di nullità per difetto di forma, nonché quelle di annullabilità per mancanza di capacità di agire, di intendere e di volere e per difetto di legittimazione che difficilmente potranno interessare le transazioni in materia di lavoro.

Si segnalano all'attenzione piuttosto l'annullamento per temerarietà della pretesa (art. 1971 c.c.), la nullità per illiceità dell'oggetto e della causa e, se ritenuta applicabile, l'azione revocatoria.

L'annullamento per pretesa temeraria di una delle parti non richiede che l'altra parte sia a conoscenza della temerarietà [43], trattandosi non di un caso di dolo [44], ma di una violazione dell'obbligo di buona fede e correttezza [45]. La pretesa, secondo la giurisprudenza, deve essere assolutamente ed obiettivamente infondata [46], cioè non deve esservi alcun diritto e non semplicemente un diritto minore. Il lavoratore potrà chiedere l'annullamento della transazione nei casi in cui il datore di lavoro, nel transigere una lite, sia conscio dell'assoluta infondatezza delle proprie pretese [47], .

Altra ipotesi è quella della nullità per illiceità della causa della transazione, che si ravvisa quando il compromesso raggiunto dalle parti non risponde alle finalità della legge [48]. Il caso limite è quello in cui manchino le reciproche concessioni [49], ma sono molto importanti anche i casi, rimessi all'equo apprezzamento del giudice, in cui la funzione del contratto non è realizzata.

Per quanto attienela nullità per illiceità dell'oggetto, l'art. 1966 comma 2 c.c. dispone espressamente che la transazione è nulla se l'oggetto (rectius, i diritti oggetto della lite) è sottratto alla disponibilità delle parti; trattasi di diritti accertabili solo dall'Autorità Giudiziaria quali gli status personali, i diritti della persona etc. Sono invece transigibili le situazioni patrimoniali derivanti da tali diritti [50]. Oggetto della transazione è la situazione giuridica controversa, cioè le posizioni sostanziali tra loro contrapposte e non la lite in sé [51]; l'oggetto deve naturalmente essere determinato o determinabile, non essendo ammessa una transazione generica per eventuali diritti futuri. La transazione è nulla anche quando realizza interessi vietati dalla legge, come nell’ipotesi di transazione in frode alla legge e in alcuni casi di transazione simulata [52].

Nel caso di transazione nulla perché attinente a diritti indisponibili, occorre precisare che, nel diritto del lavoro, i diritti attribuiti dalla legge al lavoratore non possono mai formare oggetto di transazione preventiva (ad es. rinuncia alla liquidazione, al preavviso etc.) sebbene per alcuni autori possano, una volta acquisiti, formare oggetto di una valida transazione [53].

In ogni caso, giammai possono essere transatti i diritti direttamente discendenti da disposizioni inderogabili, ma solo quelli da essi derivanti [54]. L'esempio ormai di scuola è quello del diritto alle ferie, che non può mai formare oggetto di transazione, discendendo da norma costituzionale (art. 36 Cost.), mentre può esserlo il relativo diritto all'indennità sostitutiva, che è soggetta alla disciplina dell'art. 2113 c.c. e, quindi, alle normali azioni di nullità ed annullamento qui esaminate [55].

Affine a questa è l'ipotesi dell'art. 1972 comma 1 c.c. (cd. nullità riflessa) per il quale sono nulle le transazioni afferenti un titolo nullo: si può fare il caso di transazioni costituite su diritti nascenti da contratti di lavoro nulli per illiceità della causa in quanto in violazione del divieto di intermediazione della L.1369/60 [56]

Va infine esaminata la possibilità di applicare l'azione revocatoria alle transazioni in materia di lavoro. Occorre premettere che parte della dottrina esclude l'assoggettabilità di tutte le transazioni a tale rimedio [57], ma la maggiore dottrina e giurisprudenza [58] ritiene, come visto in precedenza[59], che le transazioni, comprese quelle in materia di lavoro, siano assoggettate al rimedio dell'azione revocatoria, con i requisiti di cui all'art. 2901 c.c. o con quelli previsti per la revocatoria fallimentare (art. 67 n°1 comma 1 e 2 L. Fallim.) [60] [61].

 

7. In conclusione, la ricerca svolta consente di affermare che l'ordinamento giuridico offre all'interprete che le sappia cogliere molte opportunità per impugnare le transazioni sottratte all'art. 2113 c.c. o per decorso del tempo ivi prescritto (6 mesi) [62], o per la forma in cui è svolta.

Si tratta degli ordinari mezzi di impugnazione che soccorrono allorquando non sono più utilizzabili gli strumenti speciali offerti dal diritto del lavoro:più in generale, ogni qual volta non vi siano norme speciali al rapporto di lavoro si applicano certamente le ordinarie norme civilistiche.

Ovviamente si incontreranno difficoltà maggiori rispetto all’ipotesi dell'invalidità speciale dell'art. 2113 c.c., ma non più di quante se ne incontrano per una qualunque impugnazione di una transazione civile.

Le sentenze annotate sono, come detto, solo apparentemente simili. Pur rigettando entrambe le impugnative proposte, seguono infatti ragionamenti completamente opposti. Mentre il Pretore di Pompei, senza compiere alcun esame della fattispecie a lui sottoposta, nega aprioristicamente la possibilità di impugnare la transazione svolta dinanzi al magistrato, il Pretore di Milano esamina in maniera approfondita il caso propostogli, anche a mezzo di prove testimoniali, e solo al termine di tale esame conclude per il rigetto della domanda, non ravvisando nei fatti alcun vizio della transazione svolta [63].

 

Marco Mocella

Dottorando di ricerca in diritto del lavoro

 

 

 



[1] Cass. n° 12929 del 3/12/91 in Rep. Utet, 1991, c. 2515; Cass. n° 1805 del 19/2/87 in Mass. Giur. Lav., 1987, 201; Cass. n° 1552 del 6/3/84 in Mass. Giur. It., 1984, 311; Cass. n° 368 del 16/1/84 in Giur. It., 1984, I, 1, 1587; Cass. n° 3758 del 1/6/83, ib., 1983, 391 e R.I.D.L., 1984, II, 621; Cass. n° 228 del 13/1/83 in N.G.L., 1983, 231; Cass. n° 5849 del 6/11/82 , ib., 1983, 188 e Giust. Civ. 1983, I, 1545; Cass. n° 2391 del 19/10/82 in Rep. Giur. It., 1982, voce Lavoro (Rapporto di), 1397.

 

[2] Buoncristiano, Le rinunzie e transazioni del lavoratore in Trattato di diritto privato diretto da Pietro Rescigno, vol. XIII, p. 591; De Luca Tamajo, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Napoli, 1976, 271 ss; Aranguen, La tutela dei diritti dei lavoratori, in Enc. Giuridica del lavoro diretta da G. Mazzoni, VII, Padova, 1981, p. 33 ss; Palazzo, La transazione, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, vol. 13, pagg. 297 ss. In giurisprudenza: Cass. 28/2/83 n° 7633 in Mass. Giur,. It., 1983, 1943; Cass. 3/3/83 n° 1596 in Giust. Civ., 1983, I, 1729; Cass.13/6/83 n° 4057 in Mass. Giur. It., 1983; Cass.11/3/83 n° 1846, ib., 1983, 480.

 

[3]Viterbo, La "res dubia"e la lite incerta nella transazione, Riv. dir. proc. civ., 1937, I, 220 ss; Santoro Passarelli, La Transazione, Napoli, 1963, p. 8 ss; Barbiera, Appunti sulla natura e sul concetto della transazione, Annali Fac. Giur. Bari, XIV, Bari 1957; Matteucci, Contributo allo studio della transazione, Padova, 1960, p. 28 ss.

 

[4]Carnelutti, Note sull'accertamento negoziale in Riv. dir. proc. civ., 1940, p. 12; Pugliatti, Della Transazione, Commentario al codice civile, diretto da D'amelio e Finzi, Libro delle obbligazioni, vol. II seconda parte, Firenze 1949, p. 460 ss; Valsecchi, Il gioco e la scommessa. La transazione, in Trattato diretto da Cicu e Messineo, vol. XXXVII, seconda parte, Milano 1954, p. 172 ss; Carresi, Transazione (Diritto vigente), in Novissimo digesto Italiano, XIX, 1973, p. 483 ss; Pera, Le rinunce e transazioni del lavoratore. Art. 2113. In Il codice civile. Commentario. Diretto da Piero Schlesinger, Giuffré.

[5] Del Prato, Transazione (Diritto privato) in Enc. del diritto, p. 813 ss.

 

[6] Del Prato, op. cit., p. 824; Butera, Delle transazioni, Torino 1939, p. 16 e 23; contra, per la natura dichiarativa Carresi, op. cit., p. 485 e 497 ss.

 

 

[7] Del Prato, op. cit., p. 829 ss.

 

[8]Ad es. la qualità di erede legittimario derivante dal riconoscimento dello status di figlio legittimo. Del Prato, op. cit. p. 841 ss. Cfr. infra.

 

 

[9] Per i giureconsulti romani chi transige una questione non controversa non transige ma dona. Ulp., fr. 1, D, 2, 15; Ps. Paolo, Sent.1, 1, 5.

[10] Cfr. infra §4. Lancellotti, Conciliazione delle parti, in Enc. del diritto, p. 398; Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Napoli, 1936 n. 368, p. 501. Nel caso di concessioni unilaterali può parlarsi di rinunzia.

 

[11]La funzione di risolvere una lite può essere svolta anche da privati cui le parti devolvano la controversia; in tal caso si tratterà di arbitrato.

 

 

[12]Cfr. nota 1 nonché Cass. 19/4/56 n° 1183 in Lancellotti, op. cit. p. 413; Cass. 14/3/51 n° 628, ibidem; Cass. 24/4/52 n° 1118 in Riv. Giur. Lav., 1952, II, 344 con specifico riferimento all'utilizzo per la conciliazione delle normali impugnazioni dei contratti; Cass. 20/7/51 n° 2037 in Lancellotti, op. cit., p. 413; specificamente per Cass. 3/1291 n° 12929, op. cit., "la transazione giudiziale (art. 185 c.p.c.) è pur sempre un contratto e che il contenuto e gli effetti sostanziali di essa (dichiarativi o novativi) sono fissati dalla concorde volontà delle parti per cui non possono sotto alcun riflesso paragonarsi a quelli di una sentenza passata in giudicato". In dottrina Lancellotti, op. cit., p. 413; Chiovenda, op. cit., p. 22 e 501.

Non avrebbe valore, ad esempio, per l’I.N.P.S. l’affermazione del lavoratore che si provi falsa di non aver mai lavorato per un datore di lavoro.

 

 

[13]Lancellotti, op. cit., p. 417; Cass. 3/12/91 n° 12929, op. cit., in cui testualmente: "Precisato che la scindibilità della sostanza dalla forma che essa assume ed alla quale soltanto è riconducibile l'effetto esecutivo...".

 

 

[14]Cass.3/12/91 n° 12929, op. cit..

 

 

[15] Cass. 3/12/91 n° 12929 cit.; Cass. 14/4/56 n° 1105 in Giur. It., 1956, I, 1, 1107. Le parti possono anche prevedee una clausola risolutiva espressa nella transazione.

 

[16] Carresi, op. cit., p. 497.

 

[17] Cfr. infra § 6.

[18] L'errore di diritto sull'oggetto della transazione è invece irrilevante (art. 1969 c.c.).

 

[19] Carresi, op. cit., p. 500.

 

[20] Del Prato, op. cit., p. 855.

 

[21]Carresi, op. cit., p. 493 ss; cfr. infra §6.

 

[22] Carresi, La transazione, in Trattato di diritto civile italiano diretto da Vassalli IX, T.3, Torino 1966, p. 230 ss.

 

[23] Del Prato, op. cit., p. 167; Santoro Passarelli, op. cit., p. 323; Cosattini, La revoca degli atti fraudolenti a cura di Carraro, Padova 1950. In giurisprudenza: Cass.14/5/63 n° 1180 in Foro It., 1963, I, 1403; Cass. 26/6/71 n° 2017 in Giust. Civ., 1971, I, 1583.

[24] I precedenti di questa normasono da rinvenirsi nell'art. 17 R.D.L. 13/11/24 n° 1825 (conv. L. 526/26).

[25] Per le varie ricostruzioni: De Luca Tamajo, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Napoli 1979, p. 238; Mazziotti, in Montesano e Mazziotti, Le controversie del lavoro e della sicurezza sociale. Commento alla L. 11/8/73 n° 533, Napoli 1974, p. 49; Buoncristiano, op. cit.,p. 589. Vedi anche nota 34.

 

 

 

 

 

 

 [26] Cfr. nota 1.

 

[27] Cass. 3/12/91 n° 12929, cit..

 

[28] Buoncristiano, op. cit.,p. 589.

[29]  Buoncristiano, op. cit., p. 593; Riva Sanseverino, Disciplina delle attività professionali. Impresa in genere. Nel Commentario codice civile a cura di Scialoja e Branca, libro V, del Lavoro (art. 2060 - 2134 c.c.), Bologna - Roma 1977, sub. art. 2113 c.c., p. 484 ss.

 

[30]Cfr. nota 1.

[31]Cass. 3/12/91 n° 12929, cit.

 

 

[32]Come è accaduto nel caso portato all’esame del Pretore di Pompei, in cui il datore di lavoro ha licenziato e subito riassunto il lavoratore, casistica assai frequente.

 

 

[33] Spesso, lo scopo del datore di lavoro è quello di frazionare fittiziamente il rapporto in più periodi lavorativi, oltre che far rinunciare il lavoratore ai crediti maturati fino ad allora. Se non si riesce a far annullare la transazione e recuperare i crediti per il periodo precedente, si può allora invocare l'art. 1344 c.c. (nullità degli atti in frode alla legge), per far considerare unico il rapporto ai fini degli scatti di anzianità e degli altri diritti legati all'anzianità (qualifica, promozioni raggiunte, etc.). Cessari, L'interposizione fraudolenta nel diritto del lavoro, Giuffré 1959.

[34]Gazzoni, Manuale di diritto privato, E.S.I., 1990, p. 889 ss. Anche la minaccia di licenziamento può essere causa di annullamento della transazione: argomenta a contrario da Cass. 5/3/86 n° 1443 in NGL, 1986, p. 638.

[35]Questa norma, a nostro avviso, determina una sorta di presunzione legale di violenza morale che cessa o dopo il decorso di un congruo periodo di tempo dalla fine del rapporto o con l'intervento di un terzo qualificato (conciliatore). Decorsi i sei mesi o intervenuto l'organo previsto dall'ultimo comma di questa norma, se la violenza esiste ancora, la conciliazione potrà sempre essere annullata, ma l'onere della prova tornerà a gravare sul lavoratore.

Con questa ricostruzione si spiegano sia il parallelismo con le normali azioni di nullità e annullamento, sia la legittimazione del solo lavoratore, sia l'impossibilità di convalida sia, infine, l'automaticità dell'annullamento con la sola espressione di volontà. Resta tuttavia da spiegare il fatto che l'annullamento si verifica in seguito alla sola dichiarazione anche stragiudiziale del lavoratore senza necessità di un apposito giudizio di annullamento, per cui si è parlato di invalidità speciale. Cfr. supra nota 25.

 

 

[36] Corte Cost. n° 63/1966 e n° 174/1972.

 

[37]Ad esempio la circostanza che altri lavoratori che non hanno firmato siano stati licenziati.

[38] Ad esempio, provando che non vi è stata mai cessazione di fatto del rapporto, a dispetto di quanto risulta dagli atti processuali che, come detto, non provano il contenuto ma solo la forma di quanto ivi risultante; oppure, altro indizio può essere che vi siano state più transazioni identiche tutte lo stesso giorno; o, ancora, la mancanza di un'effettiva transazione per difetto di reciproche concessioni che però produce, come la pretesa temeraria, nullità della transazione. Cfr. infra § 6.

 

[39]Vi saranno naturalmente lavoratori psicologicamente più deboli di altri e pertanto sensibili anche a pressioni più lievi che per altri dipendenti non avrebbero effetto. Si ricordi che l'art. 1435 c.c. fa riferimento all'età, al sesso ed alle condizioni personali del soggetto coartato.

[40] Non si è rinvenuto sul punto molta giurisprudenza, nonostante la prassi sia assai diffusa certamente. Segno quanto meno della scarsa fiducia degli operatori per questo genere di impugnazione. Vedi comunque Cass. 1443/86, cit.

 

[41] Trattasi di errore sui presupposti della transazione (caput non controversum) e pertanto ha valore in ogni caso. Carresi, op. cit., p. 500 ss; Del Prato, op. cit., p. 851 ss.

[42]L'errore può essere a volte riconoscibile nello scritto transattivo, ad esempio con l'aggiunta di clausole di riserva di agire o di salvezza di diritti pregressi che, pur non avendo valore, evidenziano l'errore in cui il soggetto è caduto.

[43]Del Prato, op. cit., p. 859; Santoro Passarelli F., La transazione, Napoli, 1986, p. 190.

 

 

 

 

 

[44]Accogliendo tale impostazione, invece, non occorrerà che la pretesa sia realmente infondata, essendo sufficiente la convinzione in tal senso mentre occorrerà che la controparte sia inconsapevole della temerarietà. Cfr. Trabucchi, Il dolo nella teoria dei vizi del volere, Padova, 1937, p. 230 ss. Accolgono la teoria della pretesa temeraria come forma di dolo: Visalli, Transazione, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, diretta da W. Bigiavi, Torino, 1980, p. 509 ss; Carresi, op. cit., p. 504 ss; Pugliatti, Della transazione, cit., p. 474.

[45]Del Prato, op. cit., p. 859.

 

[46] Cass. 20/4/63 n° 997 in Giur. It. 1963, I, 1, 1245; Cass. 3/12/65 n° 2431 in Foro It. 1966, I, 1335.

 

 

[47]Ad esempio, nella richiesta dell'indennità di mancato preavviso da parte del datore in caso di licenziamento.

 

 

[48]Per Carresi, la transazione deve realizzare un equo contemperamento degli interessi delle parti; se il compromesso non è equo, la funzione viene disattesa. Carresi, op. cit., p. 498.

 

 

[49]Cfr. nota 6.

 

[50]De Luca Tamajo, La norma... cit., p. 271; Buoncristiano, op. cit., p. 591; Del Prato, op. cit., p. 841; cfr. supra.

 

 

 

[51]Carresi, La transazione, cit., p. 140; Del Prato, op. cit., p. 842; Santoro Passarelli, La transazione, cit., p. 115. In giurisprudenza: Cass. 23/5/69 n° 1829 in Foro It., 1969, I, 2542 ss.

 

[52]Del Prato, op. cit., p. 846; Santoro Passarelli, op. ult cit., pp. 309 e 240 ss.

 

[53]Del Prato, op. cit., p. 846; Santoro Passarelli, Sull'invalidità di rinunce e transazioni del processo del lavoro in Saggi di diritto civile, II, p. 1125 ss; contra De Luca Tamajo, La norma inderogabile cit., p. 247 ss.

 

 

 

[54]Cfr. nota 50. In giurisprudenza: Cass. 28/12/83 n° 7633 in Mass. Giur. It., 1983, p. 1943; Cass. 3/3/83 n° 1596 in Giust. Civ., 1983, I, p. 1729; Cass. 13/6/83 n° 4057 in Mass. Giur. It., 1983; Cass. 11/3/83 n° 1846,ibidem, p. 480.

[55]De Luca Tamajo, op. e loc. ult. cit.; Aranguen, La tutela dei diritti dei lavoratori, cit., p. 41; Prosperetti, Sulla costituzionalità dell'art. 2113 c.c. in Mass. Giur Lav., 1971, p. 360 ss in nota a Pret. Gonzaga 21/5/71.

 

[56]Cass. 13/1/83 n° 228 in Not. Giur. Lav., 1983, p. 231; Cass. 6/11/82 n° 849, cit.. Cfr. supra.

 

 

 

 

 

[57]Cfr. nota 22.

 

[58]Cfr. nota 23.

[59]Vedi supra § 4.

[60]L'ipotesi più plausibile è che la transazione venga effettuata o simultaneamente (del tutto in parte) o, comunque, a condizioni particolari (ad es. con un parente lavoratore) per sottrarre beni del datore - debitore ad altri creditori, lavoratori e non.

 

 

[61]Un caso particolare è quello delle transazioni simulate per ottenere benefici e/o requisiti richiesti dalla legge a determinati fini. Ad esempio, per l'iscrizione al Registro delle Imprese artigiane presso la Camera di Commercio è richiesto di aver lavorato per un biennio in un impresa dello stesso genere di quella che si vuole aprire, per cui sono frequenti i casi di finte liti, soprattutto in sede sindacale, che si concludono con il riconoscimento del rapporto di lavoro. Un altro tipo di frode si può avere nei confronti dell'I.N.P.S. per farsi accreditare contributi utili ai fini pensionistici o per ottenere il Trattamento di fine rapporto dal Fondo di Garanzia e, ora, le tre mensilità di CIGS previste dalla L.80/92.

[62] L'azione di annullamento si prescrive infatti in 5 anni mentre l'azione di nullità è imprescrittibile. Cfr. Cass. 16/1/84 n° 368, cit..

 

[63]La sentenza della Pretura di Pompei è inedita. Quella della Pretura di Milano leggasi in Not. Giur. Lav., 1993, 849 ss.

Nella fattispecie proposta al Pretore di Milano, invero, un lavoratore licenziato aveva coscientemente firmato una transazione con la quale egli riconosceva il licenziamento in cambio di un certo numero di mensilità di preavviso e di indennità supplementare. Successivamente era sorta contestazione sul modo di calcolare la mensilità, chiedendo il lavoratore l'inclusione del beneficio relativo all'uso della vettura, beneficio di natura retributiva (cd. fringe benefit). E' da ritenere, pertanto, che se la fattispecie proposta al Pretore di Pompei fosse stata esaminata dal Pretore di Milano, la domanda sarebbe stata probabilmente accolta, trattandosi di una transazione svolta in corso di rapporto, senza interruzione, a condizioni particolarmente svantaggiose per il lavoratore, anzi i lavoratori, poiché nello stesso giorno erano state firmate due transazioni analoghe per due diversi dipendenti.

 

Torna all'indice degli articoli

Torna al menu principale