La Corte Costituzionale e il regime sanzionatorio del licenziamento orale

 

 

“Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della L. 15.7.66 n. 604, come modificato dalla L. 108/90, in riferimento all’art. 3 della Costituzione in quanto al licenziamento disciplinare conseguono le medesime sanzioni del licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo.

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della L. 15.7.66 n. 604, come modificato dalla L. 108/90, in riferimento agli artt. 3 e 44 della Costituzione in quanto il licenziamento privo della forma scritta non risponde alle esigenze di interrompere con certezza il rapporto di lavoro. La dimensione ridotta dell’impresa non giustifica il venir meno di elementi formali di essenziale valore riguardo all’atto di risoluzione del rapporto di lavoro da cui discende la sanzione della cosiddetta tutela reale”.

[Corte Cost. 10-23 novembre 1994 n. 398; Casavola, Pres.; Santosuosso, Rel.]

 

 

Nota

Sommario:

1. Premessa. - 2. Il licenziamento disciplinare nella piccola impresa. - 3. Il licenziamento orale. - 4. Le sanzioni per le violazioni formali dei licenziamenti.

 

 

1. Premessa

 

Con la sentenza in epigrafe [1] la Corte Costituzionale, sebbene abbia dichiarato infondate le questioni di legittimità portate alla sua attenzione [2] , ha enunciato nella motivazione dei criteri interpretativi che, pur non vincolanti (trattandosi di sentenza interpretativa di rigetto, chiariscono alcune questioni ancora aperte sul licenziamento disciplinare e, soprattutto, su quello orale.

Tuttavia, la succinta motivazione con cui la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della L. 604 del 15.7.66, come modificato dalla L. 108/90, viene dichiarata non fondata, ha già ingenerato una prima incertezza interpretativa sull’estensione della sanzione dell’art. 18 della L. 300/70 anche ai licenziamenti orali nella piccola impresa.

L’intervento della Corte era stato provocato da due distinte ordinanze di rimessione. Con una prima ordinanza, il Pretore di Biella aveva dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 8 della L. 604/66 in quanto quest’ultima non si applicherebbe ai licenziamenti disciplinari intimati nella piccola impresa viziati nella procedura prevista nei commi 2 e 3 dell’art. 7 della L. 300/70 (che, a seguito delle sentenze n. 204/82 [3], n. 2/86 [4] e n. 427/89 [5] della Corte Costituzionale, si applicano anche alle imprese con meno di 16 dipendenti).Tali licenziamenti sarebbero soggetti, invece, in quanto nulli, alla cosiddetta tutela reale di diritto comune [6]. Si creerebbe così un’illogica disparità di trattamento, in quanto al vizio procedurale farebbero seguito sanzioni ben più gravi rispetto a quelle che derivanti dall’assoluta mancanza di motivazione di un licenziamento disciplinare intimato però in maniera formalmente corretta.

Con la seconda ordinanza il Tribunale di Catania aveva dubitato, per ragioni sostanzialmente analoghe, della legittimità del medesimo art. 8, nella parte in cui non si applicherebbe ai licenziamenti inefficaci per mancanza di forma scritta ex art. 2 della L. 604/66.

In particolare, il giudice remittente aveva richiamato l’art. 3 Cost. per la disparità di trattamento tra il datore che omette la forma scritta e quello che non motiva il licenziamento, nonché l’art. 44 Cost. che tutela la piccola impresa.

Sebbene le ragioni di rimessione fossero le stesse, le soluzioni adottate dalla Corte e le conseguenti motivazioni sono state diverse, se non opposte, pur giungendo entrambe a considerare legittima la norma impugnata.

Per quanto riguarda, infatti, la questione sollevata dal Pretore di Biella, la Corte si è richiamata all’orientamento oggi prevalente della Corte di Cassazione [7] secondo il quale al licenziamento disciplinare intimato senza le garanzie formali non si applicherebbe sempre la tutela reale ma, piuttosto, le stesse sanzioni previste per il licenziamento ingiustificato, a seconda quindi dei requisiti dimensionali dell’impresa.

L’ordinanza del Tribunale di Catania, invece, viene esaminata nel merito e quindi respinta, non essendone condivise le motivazioni. In particolare, la Corte rileva che: 1) la forma scritta viene richiesta dalla legge “quale elemento certo e costitutivo della volontà di recesso” e pertanto il licenziamento orale non produce alcun effetto, a differenza di quello immotivato; 2) l’art. 44 Cost., pur prevedendo un favor per la piccola impresa, non esclude che per violazioni di particolare gravità trovi applicazione anche in quest’ambito la tutela reale.

Proprio tale ultima affermazione è stata indicata [8] come il risultato di maggior rilievo della decisione in esame, dove la Corte avrebbe inteso indicare la reintegrazione quale sanzione per il licenziamento orale anche nella piccola impresa, laddove la precedente dottrina e giurisprudenza [9] aveva invece invocato in proposito la cd. “tutela reale di diritto comune”, riservando l’applicazione dell’art. 18 St.. solo nelle imprese con più di 15 dipendenti [10].

 

 

2. Il licenziamento disciplinare nella piccola impresa

 

Nella prima parte della decisione, la Corte Costituzionale riesamina, come si é detto, il licenziamento disciplinare nella piccola impresa [11].

L’estensione dell’art. 7 St. anche alle piccole imprese era stata peraltro operata dalla stessa Corte già con una prima sentenza [12], con la quale si erano interpretati i primi tre commi dell’art. 7 della L. 300/70 nel senso della loro applicabilità anche ai licenziamenti disciplinari[13].

Una volta estese le norme procedurali dell’art. 7 St. a tutti i licenziamenti disciplinari, con altre due sentenze [14] la Corte aveva poi affrontato il problema degli effetti della violazione di tali norme.

Infatti, con la sentenza n° 2/86 la Corte aveva escluso la incostituzionalità della diversità di trattamento in tema di risarcimento danni per licenziamenti illegittimi intimati a lavoratori dipendenti di imprese minori o a quelli di imprese con più di 15 dipendenti.

Con la sentenza n° 427/89 aveva poi esteso le garanzie procedimentali dell’art. 7 anche ai datori di lavoro non assoggettati alle norme limitatrici dei licenziamenti. A seguito di quest’ultima sentenza, in giurisprudenza e dottrina, si erano creati differenti orientamenti: alcuni reputavano nullo il licenziamento disciplinare, con conseguente reintegrazione o prosecuzione del rapporto [15], pur ammettendosi la possibilità di rinnovare il recesso [16]; altri ritenevano invece che a tale nullità corrispondesse solo l’obbligo del preavviso [17]; altri ancora,, ritenevano ingiustificato il licenziamento intimato senza le prescritte formalità, con conseguente applicazione del regime relativo al numero di dipendenti occupati [18].

Né tali diversità di opinioni é mutata a seguito dell’emanazione della L. 108/90, che non ha consentito di sciogliere i numerosi dubbi interpretativi [19] aggiungendo anzi quello dell’applicabilità ai licenziamenti disciplinari della condizione di procedibilità di cui all’art. 5 della L. 108/90 [20].

La giurisprudenza di legittimità più recente [21] è tuttavia orientata nel senso dell’ultima delle tesi citate, ritenendo il licenziamento disciplinare intimato senza le formalità ex art. 7 St. non nullo [22] ma ingiustificato [23].

Proprio tale ultimo orientamento viene richiamato dalla Corte Costituzionale nell’annotata sentenza con la quale, essendo ormai “diritto vivente” la qualificazione del licenziamento disciplinare in violazione dell’art. 7 come licenziamento ingiustificato, viene dichiarato legittimo l’art. 8 della L. 604/66 così interpretato.

In sostanza, una volta violata la procedura dell’art. 7, l’infrazione disciplinare, anche se sussistente, non può essere posta a giustificazione del licenziamento [24], il quale è pertanto immotivato e quindi soggetto alle sanzioni previste per i licenziamenti privi di giusta causa o giustificato motivo a seconda dei requisiti dimensionali definiti nella L. 108/90 [25].

 

 

3. Il licenziamento orale

 

Nella seconda parte della sentenza, la Corte Costituzionale affronta poi il delicato tema del licenziamento orale nella piccola impresa nonché delle sanzioni applicabili .

Deve premettersi che, come è stato già sottolineato , la L. 108/90 ha modificato l’ambito applicativo dell’art. 2 della L. 604/66, estendendo a quasi tutti i licenziamenti l’obbligo della forma scritta [26]. La sanzione prevista per l’inosservanza della previsione legislativa è l’inefficacia. Detta inefficacia comporta senza alcun dubbio l’applicazione dell’art. 18 nell’impresa avente i requisiti richiesti da tale norma [27] mentre, per l’impresa minore, la dottrina e giurisprudenza prevalenti avevano indicato la sanzione della “tutela reale di diritto comune [28]”, cioè la prosecuzione giuridica del rapporto, essendo l’atto interruttivo privo di efficacia, “tamquam non esset” secondo i principi civilistici.

La giurisprudenza ha ricollegato alla nullità o inefficacia del licenziamento conseguenze diverse. Oltre all’ovvia diversità di sanzioni applicabili, si è ritenuto, ad esempio, che il tentativo obbligatorio di conciliazione dell’art. 5 della L. 108/90 non si applichi al licenziamento nullo [29] e che la decadenza per la mancata impugnazione nei 60 giorni ex art. 6 della L. 604/66 non colpisca il licenziamento inefficace [30].

Problematica particolare è poi quella della possibilità di convalidare o rinnovare l’atto nullo.

La giurisprudenza prevalente nega che l’atto nullo possa essere convertito in uno valido [31] e che, qualora si abbia un licenziamento nullo in area di libera recedibilità (o di tutela obbligatoria), questo possa essere convertito in licenziamento ad nutum, trattandosi di nullità assoluta ex art. 1418 c.c., mentre sarebbe possibile rinnovarlo con un nuovo atto valido [32].

Una giurisprudenza rimasta isolata [33] aveva ritenuto che il licenziamento inefficace sia rinnovabile con un nuovo atto valido, mentre il licenziamento disciplinare nullo non lo sarebbe.

Tuttavia, pur ritenendo rinnovabile con effetto ex nunc il licenziamento orale inefficace [34], non può, a nostro avviso, negarsi analoga soluzione al licenziamento disciplinare, anche considerandolo nullo [35].

Tale possibilità, riconosciuta nel diritto civile, viene invece negata dalla prevalente giurisprudenza lavoristica [36].

 

 

4. Le sanzioni per le violazioni formali dei licenziamenti

 

Con la sentenza annotata, la Corte Costituzionale colma un vuoto legislativo in tema di sanzioni per le violazioni formali dei licenziamenti. Il contributo, se può considerarsi ridotto per le novità affermate, è invece fondamentale per un inquadramento sistematico della disciplina del licenziamento nella piccola impresa [37]. Con la scelta operata dal giudice delle leggi, inoltre, la cosiddetta “tutela reale di diritto comune” viene ad essere ristretta in un’area ridottissima, tanto che ci si chiede se abbia senso continuare a considerarla operante anche nei residui casi.

Infatti, con la sentenza in epigrafe, la Corte Costituzionale ha in primo luogo recepito il nuovo orientamento formatosi in tema di licenziamento disciplinare nella Corte di Cassazione, in base al quale la violazione delle formalità dell’art. 7 St. dà luogo a sanzioni diverse a seconda del numero dei dipendenti occupati nella azienda [38].

In secondo luogo, ha ribadito che a seguito di licenziamento orale il lavoratore ha diritto, indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa, ad una tutela forte individuata non nella tutela di diritto comune, ma nella reintegrazione ex art. 18 St. Ciò sempre che l’orientamento espresso dalla Corte nella sentenza sia confermato dalla giurisprudenza [39].

Probabilmente la Corte ha seguito lo stesso ragionamento operato dalla Cassazione, nel quale era stato distinto il concetto di forma “indicativo dell’aspetto in cui l’atto umano si esteriorizza per acquistare giuridica rilevanza” e quello di forma intesa come “procedimento diretto alla sua formazione”[40].

La Corte aveva a questo punto due possibilità: distinguere le conseguenze del licenziamento illegittimo esclusivamente a seconda della dimensione dell’impresa o affiancare al criterio delle dimensioni quello della gravità della violazione. La prima strada avrebbe comportato una maggiore chiarezza nel distinguere le conseguenze dei licenziamenti, come vari autori non avevano mancato di sottolineare [41]; tuttavia, è indubbio che si sarebbe ottenuto un ingiustificato appiattimento delle sanzioni, indipendentemente dal tipo di violazione perpetrata.

Per tale motivo la Corte, pur sensibile alle esigenze di tutela della piccola impresa, ha ritenuto che la violazione della forma scritta sia di tale gravità da giustificare la più grave delle sanzioni: la reintegrazione.

Viene a questo punto da chiedersi quale sia il residuo ambito applicativo della tutela reale di diritto comune.

La dottrina aveva circoscritto detta tutela ai due principali campi ora venuti meno: il licenziamento disciplinare nullo e quello orale nella piccola impresa [42]. Accanto a queste ipotesi principali vi erano poi il licenziamento intimato nei periodi di irrecedibilità (gravidanza, servizio militare, etc.) e quello contrario a specifici divieti legislativi e convenzionali. Si tratta ora di valutare se sia logico mantenere in piedi un istituto per poche fattispecie residuali, apparentemente slegate tra di loro, anche se, a ben vedere, è possibile trovare un comune denominatore nella contrarietà dell’atto a norme di legge imperative.

Infatti, tutte le ipotesi in cui trova applicazione la tutela reale di diritto comune sono rispondenti a questo stesso criterio; così è per il divieto di licenziamento durante la gravidanza o il servizio militare come per il divieto di recedere dal rapporto con il lavoratore che abbia optato per la prosecuzione dello stesso [43].

Viceversa, nei casi di mancata osservanza della procedura dell’art. 7 St. o della forma richiesta dall’art. 8 L. 604/66, ad esempio, il datore non pone in essere atti contrari direttamente a norme di legge. A tali violazioni corrisponde una sanzione che viene rapportata, come detto in precedenza, alla gravità delle stesse ed alla dimensione dell’impresa.

Il licenziamento intimato nonostante specifici divieti legali invece è nullo e si applicheranno ad esso i criteri civilistici con il conseguente permanere degli originali obblighi contrattuali tra cui il diritto a lavorare ed alla retribuzione [44]. In tal modo le sanzioni per i licenziamenti illegittimi vengono ad essere ben individuate come pure il campo di applicazione della tutela reale di diritto comune.

Un’ultima annotazione riguarda l’estensione della tutela civilistica anche alle imprese con più di 15 dipendenti, in quanto una recente sentenza della Corte Costituzionale [45] sembra ricomprendere anche le imprese di maggiori dimensioni. In realtà, la fattispecie proposta alla Corte era in questo caso relativa ad un’impresa con meno di 15 dipendenti  e a tale tipologia di imprese va quindi riferita la sentenza. D’altra parte la cosiddetta “forza espansiva” dell’art. 18 St., in virtù della quale questo si applica ogniqualvolta vi siano i requisiti dimensionali richiesti, dovrebbe comportare l’applicazione della reintegrazione per tutti i licenziamenti nulli nelle imprese maggiori [46].

 

 

Marco Mocella

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[1] Corte Cost. 10-23/11/94, n° 398 in Guida Normativa, 12/12/94 p. 23 ss con nota di Gramiccia, Interferenza dubbia tra tutela reale ed obbligatoria.

[2] In precedenza Corte Cost. 4/3/92 n° 82 in Foro It., 1992, I, 1023 con la quale era stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 5 della L. 108/90 (tentativo obbligatorio di conciliazione).

[3] Leggasi in Foro It., 1982, I, 2981.

[4] Ibidem, 1986, I, 1184.

[5] Ibidem, 1989, I, 2685

[6] Cass. 25/9/91 n° 9993, in Foro It., Rep., 1991, voce Lavoro (Rapporto), 1553; Cass. 7/9/93 n° 9390, ivi, Rep., 1993, voce cit., 1051; Cass. 3/6/92 n° 6741, ivi, 1993, I, 374; Cass. 23/11/90 n° 11311, ivi, 1991, I, 476.

[7] Da ultimo Cass. S.U. 18/5/94 n° 4844 in Foro It., 1994, I, 2076, nonché in Not. Giur. Lav., 1994, 212 ed in Giust. Civ, 1994, I, 2471 con nota di Nogler, Sul c.d. licenziamento ingiustificato nell’area del recesso ad nutum. Cfr. infra nota 21.

[8] Gramiccia, op. cit., p. 27.

[9] Cfr. Cass. S.U. 18/10/82 n° 5394 in Or. Giur. Lav., 1983, 1213; Cass. S.U. 21/2/84 n° 1236 in Mass. Giur. Lav., 1984, 338 ed in Giust. Civ. 1984, I, 682 con nota di Orsi Vergiati; Cass. 3/1/76 n° 4017 in Mass. Giur. Lav. 1977, 214.

[10] Contra, per l’applicazione dell’art. 8 L. 604/66 a tutti i licenziamenti orali: Pera, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, in Riv. It. Dir. Lav., 1990, I, 251 ss. e la giurisprudenza della nota 18.

Per le differenze tra la tutela reale di diritto comune vedi De Luca Tamajo, Disciplina dei licenziamenti individuali in Commentario a cura di De Luca Tamajo e D’Antona, Le nuove leggi civili commentate, 1991, 184; Mocella, in questa Rivista, 1993, II, 351.

[11] Sulla qualificazione del licenziamento ontologicamente disciplinare: Cass. 4844/94, cit. Per la giurisprudenza di merito Pret. Parma, 8/4/93, Ferraù Pret.; Cavalli Giancarlo c/Automea Srl in questa Rivista, 1994, II, 430 con nota di Tazzi Sul licenziamento disciplinare nelle piccole imprese.

Sul licenziamento disciplinare da ultimo anche Cass. 26/4/94 nn° 3965 e 3966 in Foro It., 1994, I, 1708 con nota di Amoroso.

[12] Corte Cost. 204/82, cit.

[13] Successivamente, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato l’applicabilità anche del quinto comma del medesimo art. 7. Cfr. Cass. 27/10/83 n° 6356 in Foro It, Rep., 1983, voce Lavoro, (Rapporto), 2328; Cass. 7/11/83 n° 6579, ivi, 1984, I, 97; Cass. 25/7/90 n° 7520, ivi, Rep., 1990, voce cit., 1788; Cass. 27/11/92 n° 12666, ivi, Rep. 1992 voce cit., 1689; Cass. 27/1/93 n° 1000, ivi, Rep 1993, voce cit., 1394.

[14] Cfr. supra note 4 e 5.

[15] Cass. 8/7/88 n° 4521 in Not. Giur. Lav., 1988, 725; Cass. 7/9/93 n° 9390 in Mass. Giur. Lav. 1993, 671; Cass. 4/3/92 n° 2596 ivi, 1992, 59; Cass. 22/1/91 n° 542 in Giust. Civ. 1991, I, 1185 con nota di Poso Ancora sulle conseguenze del licenziamento disciplinare nelle piccole imprese e la giurisprudenza della nota 6.

[16] Cass. 18/5/88 n° 3457 in Foro It., Rep. voce Lavoro (Rapporto), 2026; Cass. 16/4/94 n° 3633 in Dir. Prat. Lav., 1994, 973. Contra Cass. 5/2/93 n° 1433 ivi, 1993, 953 con nota di D’Avossa; Cass. 1/2/92 n° 1037 ivi, 1992, 983 e Cass. 25/9/91 n° 542 cit.

[17] Cass. 4/3/93 n° 2596 in Riv. Giur. Lav., 1993, II, 542; Cass. 27/3/85 n° 1035 in Foro It., Rep. 1985, Voce Lavoro (Rapporto), 1974.

[18] Cass. 6/4/93 n° 4131 in Riv. Giur. Lav., 1993, II, 541; Cass. 24/2/93 n° 2249 ivi, 543. Cass. 23/11/92 n° 12486 in Dir. Prat. Lav., 1993, 713. ed in Riv. It. Dir. Lav. 1993, II, 355 con nota di Marino.

[19] L’unico elemento che, a contrario, potrebbe far propendere per la negazione della tesi della nullità del licenziamento disciplinare e quindi argomentare a vantaggio della teoria dell’inquadramento di quest’ultimo come licenziamento ingiustificato si può ricavare dall’eliminazione, in sede di conversione finale del disegno di legge, della disposizione che prevedeva espressamente la sanzione della nullità per il licenziamento disciplinare.

[20] L’applicabilità ai licenziamenti disciplinari della condizione di procedibilità ex art. 5 della L. 108/90 (tentativo di conciliazione) é esclusa da Pret. Milano, 11/5/93, Mannino c/Porchiazzo in Riv. Crit. Dir. Lav., 1993, 826 e Pret. Roma 1/6/92, Di Silvestro c/Venanzi in Nuovo Diritto, 1992, 783 con nota di Lisi.

[21] Cass. 4844/94, cit.; la prima ad argomentare in tal senso dopo la L. 108/90 é stata Cass 23/11/92 n° 12486 cit., Pret. Milano, 22/11/93, Crescenzo c/Emme e E. S.r.l. in Riv. It. Dir. Lav. 1994, II, 545 con nota di Marino che tende ad estendere anche al licenziamento orale tale teoria. Conf. Tazzi, op. cit., 435. Contr. Cass. 542/91, cit.; Pret. Milano 21/7/92, Carta c/Oxon Italia, in Riv. It. Dir. Lav., 1993, 665; Pret. Roma 23/1/93, Benelli c/Soc. Cristofari, in Dir. Prat. Lav., 1993, 813.

Per un’ipotesi particolare nel regime precedente la L. 108/90 Cass. 5/1/93 n° 50 in Mass. Giur. Lav., 1993, 66. Contra, per la tesi del risarcimento del danno Cass. 6/4/93 n° 4131 in Mass. Utet, 1993, 1393 e Cass. 23/11/92 n° 12486, cit.

[22] Per la tesi della nullità del licenziamento quando la sanzione risolutiva del rapporto appaia sproporzionata: Trib. Milano 3/7/87 in Lavoro 80, 1987, 1038 e Pret. Milano 22/2/94 Di Nardo c/Esselunga S.p.A. in Dir. Prat. Lav., 1994, 723 con nota redazionale.

[23] Anche parte della dottrina aveva sostenuto tale tesi, poi confermata dalla Cassazione, ritenendo che il vizio derivante dal mancato rispetto della procedura ex art. 7 sia analogo al licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, superando l’obiezione che in un caso si tratta di vizio inerente la totale mancanza di motivo, nell’altro della mancanza di un elemento formale, la procedura. Tuttavia, come si è detto, la giurisprudenza non ha esteso come questa dottrina lo stesso ragionamento anche al licenziamento orale. Cfr. Marino, Licenziamento viziato nella forma e tutela obbligatoria, nota a Pret. Milano 22/11/93, cit., 1994, 545.

[24] Per la tesi del licenziamento disciplinare, come licenziamento per giusta causa, Cass. n° 5262/88 in Foro It., Rep. 1988, Lavoro (rapporto), 1979. In dottrina Focareta, L’articolo 18 St. lav. fra tendenze espansive e problemi irrisolti, in Quad. dir. lav. rel. ind., 1989, n° 6, 269; De Luca Tamajo, Bianchi D’Urso, Licenziamento disciplinare e Corte costituzionale, in Not. giur. lav., 1989, 148.

[25] Cfr. nota 11. Contra, per la tesi dell’applicazione espansiva dell’art. 18 a tutte le ipotesi di licenziamento invalido, compreso quello per violazione dell’art. 7 St.: Garofalo, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali: prime osservazioni, in Riv. giur. lav., 1990, I, 184; Cerritelli, Piccinini, Il licenziamento individuale, Roma (ediesse), 1991, 111-112. Napoli, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, Milano 1990.

[26] De Luca Tamajo, Disciplina dei licenziamenti individuali, op. cit., 184; Mocella, op. cit.., 351 ss.

[27] Corte Cost. 22/1/87 n° 17 in Giur. Cost., 1987, I, 118 e, in questa rivista 1987, II, 130.

[28] Cfr. Cass. S.U. 5394/82, cit.; Cass. S.U. 1236/84, cit.; Contra, per la tesi dell’applicabilità dell’art. 8, Pret. Milano 12/11/91 in Or. giur. lav., 1991, 920, mentre, per l’applicabilità dell’art. 18 a tutti i licenziamenti, Mazziotti, Licenziamenti illegittimi e provvedimenti disciplinari, in Licenziamenti illegittimi e provvedimenti disciplinari, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro - Torino 16-17 maggio 1987, Milano Giuffrè 1988, 113.

[29] Pret. Roma 1/6/92, cit., e Pret. Milano 11/5/93, cit.. L’improcedibilità per il mancato esperimento del tentativo di conciliazione non può comunque essere rilevato in grado di appello: cfr. Trib. Firenze 23/12/92, Soc. Sofitur c/Sousa in Toscana lav. giur., 1993, 36.

[30] Cass. S.U. 2/3/87 n° 2180, in Giust. civ., 1987, I, 1055, nonché Cass. 18/7/91 n° 8010, in Riv. it. dir. lav., 1992, II, 1025. Tale atto è qualificato recettizio dalla giurisprudenza per cui è valido dal momento della ricezione da parte del destinatario dell’atto; cfr. Cass. 29/1/94 n° 899, in Mass. Utet, 1994, 63.

[31] Cass. 5/2/93 n° 1433, cit.. Per parte della giurisprudenza il licenziamento disciplinare intimato in violazione dell’art. 7 St. non è nullo ma illecito e quindi non è soggetto a conversione: Cass. 1/2/92 n° 1037, in Diritto e pratica del lavoro, 1992, 983; Cass. 25/9/91 n° 542, in Giust. civ., 1991, I, 1185, con nota di Poso, Ancora sulle conseguenze del licenziamento disciplinare nullo nelle piccole imprese.

[32] Cass. 9/2/88 n° 1377, in Dir. prat. lav. 1988, 863. In dottrina, Galantino, Il licenziamento disciplinare ed il recesso ad nutum, ivi, 1990, 2976. In senso contrario, per la rinnovabilità del licenziamento, Cass. 16/4/94 n° 3633, ivi, 973; Cass. 13/11/86 n° 6673, in Giur. comm., 1987, I, 330 ed in Not. giur. lav., 1987, 181; Cass. 24/3/88 n° 2563, in Riv. giur. lav., 1989, II, 125. In favore della conversione, Cass. 2/2/87 n° 819, in Mass. giur. lav., 1989, 495; Cass. 11/2/89 n° 851, ivi, 205; Cass. 12/5/90 n° 4079, in Not. giur. lav., 1990, 566; Cass. 10/4/90 n° 3034, in Dir. prat. lav., 1990, 2145. In dottrina, Papaleoni, Licenziamento ad nutum ontologicamente disciplinare: nullità o conversione?, in Giust. civ., 1990, I, 2676.

[33] Cass. 21/11/90 n° 11218, in Riv. it. dir. lav., 1991, II, 449, con nota Papaleoni, Ancora sulla reiterabilità del licenziamento disciplinare.

[34] La rinnovazione del licenziamento deve tuttavia avvenire secondo i principi dell’immediatezza (Cass. 23/10/85 n° 5304, in Rep. 1985, Utet, 2469), immutabilità (Cass. 3084/83, ivi, 1984, 2621), e specificità dei motivi (Cass. 2517/84, ivi, 1984, 2475).

[35] Va tuttavia osservato che la giurisprudenza più recente qualifica il licenziamento disciplinare non nullo ma illegittimo, cioè emanato in carenza di potere e quindi anche convertibile: Cass. 4844/94, cit.; Cass. 24/8/91 n° 9102, in Foro it., Rep., 1991, voce Lavoro (rapporto), 830; Cass. 30/7/87 n° 6632, ivi, 1987, 2342 ;

[36] Papaleoni, Ancora sulla reiterabilità del licenziamento disciplinare, cit.

[37] Altro aspetto accennato in maniera fugace dalla Corte è quello della necessità di impugnare nei sessanta giorni il licenziamento orale. Già la Corte di Cassazione aveva escluso (Cass. S.U. 2/3/87 n° 2180, in Giust. civ., 1987, I, 1055) che fosse necessario impugnare il licenziamento a voce a pena di decadenza. Un ulteriore argomento lo si poteva ricavare dall’art. 5, comma 3°, L. 223/91. La sentenza annotata sembra evidenziare anch’essa (punto 6, lettera a) la necessità della forma scritta come condizione per la esistenza dell’atto, senza la quale non vi é neppure l’onere dell’impugnativa.

[38] In particolare, tutela reale ex art. 18 St. nelle imprese con più di 15 dipendenti nella unità produttiva ove è avvenuto il licenziamento o in più unità produttive site nello stesso Comune, nonché nelle imprese con più di 60 dipendenti; tutela obbligatoria ex art. 8 della L. 604/66 (riassunzione o risarcimento) nelle imprese con meno di 60 dipendenti nonché meno di 15 nella unità produttiva ove è avvenuto il licenziamento; diritto al solo preavviso ex art. 2118 c.c. nelle imprese non assoggettate a nessuna delle discipline limitatrici del licenziamento: Cass. 23/11/92 n° 12486, in Riv. it. dir. lav., 1993, II, 355, con nota di Marino.

[39] In tale senso Gramiccia, op. cit., p. 27. Si noti altresì che se la lettera “d” della motivazione della sentenza sembra avere inequivocabilmente richiamata la tutela reale dell’art. 18 St., alla lettera “b” si afferma “il licenziamento verbale, non producendo alcun effetto, non incide sulla continuità del rapporto stesso e quindi sul diritto del lavoratore alla retribuzione fino alla riammissione in servizio”, conseguenze comuni sia alla tutela reale di diritto comune che a quella dell’art. 18 L. 300/70.

[40] Cass. 1/2/87 n° 1037, cit. Per una fattispecie di licenziamento intimato ad un dipendente della NATO prima in inglese e poi in italiano e per l’inquadramento della fattispecie di tale licenziamento come atto a formazione progressiva, Cass. S.U. 22/5/91 n° 5794, in Riv. it. dir. lav., 1992, II, 272 con nota di Tullini.

[41] Pera, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, in Riv. it. dir. lav., 1990, I, 251 ss. Tazzi, op. cit., 435. Marino, Dall’inefficacia all’illegittimità del licenziamento disciplinare viziato nella procedura: una svolta di rilievo, nota a Cass. 23/11/92 n° 12486 e, dello stesso autore, Il vizio di forma del licenziamento, in Riv. it. dir. lav. In giurisprudenza Pret. Milano 12/11/93, Crescenzo c/Emme e E. S.r.l., in Riv. it. dir. lav., 1994, II, 545, con nota di Marino.

[42] Per i riferimenti cfr. Mocella, op. cit., p. 351.

[43] Per l’applicabilità della tutela reale di diritto comune al licenziamento intimato nonostante l‘opzione del lavoratore per la prosecuzione del rapporto cfr. Corte Costituzionale 15-30/12/94 n° 465 in Guida al diritto, 1995, 6, 22, con nota di Gramiccia.

[44] Corte Cost. 465/94, cit.

[45] Corte Cost. 465/94, cit.

[46] De Luca Tamajo, op. cit., 184 ss.

La Corte Costituzionale e il regime sanzionatorio

del licenziamento orale

 

 

“Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della L. 15.7.66 n. 604, come modificato dalla L. 108/90, in riferimento all’art. 3 della Costituzione in quanto al licenziamento disciplinare conseguono le medesime sanzioni del licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo.

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della L. 15.7.66 n. 604, come modificato dalla L. 108/90, in riferimento agli artt. 3 e 44 della Costituzione in quanto il licenziamento privo della forma scritta non risponde alle esigenze di interrompere con certezza il rapporto di lavoro. La dimensione ridotta dell’impresa non giustifica il venir meno di elementi formali di essenziale valore riguardo all’atto di risoluzione del rapporto di lavoro da cui discende la sanzione della cosiddetta tutela reale”.

[Corte Cost. 10-23 novembre 1994 n. 398; Casavola, Pres.; Santosuosso, Rel.]

 

 

Nota

Sommario:

1. Premessa. - 2. Il licenziamento disciplinare nella piccola impresa. - 3. Il licenziamento orale. - 4. Le sanzioni per le violazioni formali dei licenziamenti.

 

 

1. Premessa

 

Con la sentenza in epigrafe [1] la Corte Costituzionale, sebbene abbia dichiarato infondate le questioni di legittimità portate alla sua attenzione [2] , ha enunciato nella motivazione dei criteri interpretativi che, pur non vincolanti (trattandosi di sentenza interpretativa di rigetto, chiariscono alcune questioni ancora aperte sul licenziamento disciplinare e, soprattutto, su quello orale.

Tuttavia, la succinta motivazione con cui la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della L. 604 del 15.7.66, come modificato dalla L. 108/90, viene dichiarata non fondata, ha già ingenerato una prima incertezza interpretativa sull’estensione della sanzione dell’art. 18 della L. 300/70 anche ai licenziamenti orali nella piccola impresa.

L’intervento della Corte era stato provocato da due distinte ordinanze di rimessione. Con una prima ordinanza, il Pretore di Biella aveva dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 8 della L. 604/66 in quanto quest’ultima non si applicherebbe ai licenziamenti disciplinari intimati nella piccola impresa viziati nella procedura prevista nei commi 2 e 3 dell’art. 7 della L. 300/70 (che, a seguito delle sentenze n. 204/82 [3], n. 2/86 [4] e n. 427/89 [5] della Corte Costituzionale, si applicano anche alle imprese con meno di 16 dipendenti).Tali licenziamenti sarebbero soggetti, invece, in quanto nulli, alla cosiddetta tutela reale di diritto comune [6]. Si creerebbe così un’illogica disparità di trattamento, in quanto al vizio procedurale farebbero seguito sanzioni ben più gravi rispetto a quelle che derivanti dall’assoluta mancanza di motivazione di un licenziamento disciplinare intimato però in maniera formalmente corretta.

Con la seconda ordinanza il Tribunale di Catania aveva dubitato, per ragioni sostanzialmente analoghe, della legittimità del medesimo art. 8, nella parte in cui non si applicherebbe ai licenziamenti inefficaci per mancanza di forma scritta ex art. 2 della L. 604/66.

In particolare, il giudice remittente aveva richiamato l’art. 3 Cost. per la disparità di trattamento tra il datore che omette la forma scritta e quello che non motiva il licenziamento, nonché l’art. 44 Cost. che tutela la piccola impresa.

Sebbene le ragioni di rimessione fossero le stesse, le soluzioni adottate dalla Corte e le conseguenti motivazioni sono state diverse, se non opposte, pur giungendo entrambe a considerare legittima la norma impugnata.

Per quanto riguarda, infatti, la questione sollevata dal Pretore di Biella, la Corte si è richiamata all’orientamento oggi prevalente della Corte di Cassazione [7] secondo il quale al licenziamento disciplinare intimato senza le garanzie formali non si applicherebbe sempre la tutela reale ma, piuttosto, le stesse sanzioni previste per il licenziamento ingiustificato, a seconda quindi dei requisiti dimensionali dell’impresa.

L’ordinanza del Tribunale di Catania, invece, viene esaminata nel merito e quindi respinta, non essendone condivise le motivazioni. In particolare, la Corte rileva che: 1) la forma scritta viene richiesta dalla legge “quale elemento certo e costitutivo della volontà di recesso” e pertanto il licenziamento orale non produce alcun effetto, a differenza di quello immotivato; 2) l’art. 44 Cost., pur prevedendo un favor per la piccola impresa, non esclude che per violazioni di particolare gravità trovi applicazione anche in quest’ambito la tutela reale.

Proprio tale ultima affermazione è stata indicata [8] come il risultato di maggior rilievo della decisione in esame, dove la Corte avrebbe inteso indicare la reintegrazione quale sanzione per il licenziamento orale anche nella piccola impresa, laddove la precedente dottrina e giurisprudenza [9] aveva invece invocato in proposito la cd. “tutela reale di diritto comune”, riservando l’applicazione dell’art. 18 St.. solo nelle imprese con più di 15 dipendenti [10].

 

 

2. Il licenziamento disciplinare nella piccola impresa

 

Nella prima parte della decisione, la Corte Costituzionale riesamina, come si é detto, il licenziamento disciplinare nella piccola impresa [11].

L’estensione dell’art. 7 St. anche alle piccole imprese era stata peraltro operata dalla stessa Corte già con una prima sentenza [12], con la quale si erano interpretati i primi tre commi dell’art. 7 della L. 300/70 nel senso della loro applicabilità anche ai licenziamenti disciplinari[13].

Una volta estese le norme procedurali dell’art. 7 St. a tutti i licenziamenti disciplinari, con altre due sentenze [14] la Corte aveva poi affrontato il problema degli effetti della violazione di tali norme.

Infatti, con la sentenza n° 2/86 la Corte aveva escluso la incostituzionalità della diversità di trattamento in tema di risarcimento danni per licenziamenti illegittimi intimati a lavoratori dipendenti di imprese minori o a quelli di imprese con più di 15 dipendenti.

Con la sentenza n° 427/89 aveva poi esteso le garanzie procedimentali dell’art. 7 anche ai datori di lavoro non assoggettati alle norme limitatrici dei licenziamenti. A seguito di quest’ultima sentenza, in giurisprudenza e dottrina, si erano creati differenti orientamenti: alcuni reputavano nullo il licenziamento disciplinare, con conseguente reintegrazione o prosecuzione del rapporto [15], pur ammettendosi la possibilità di rinnovare il recesso [16]; altri ritenevano invece che a tale nullità corrispondesse solo l’obbligo del preavviso [17]; altri ancora,, ritenevano ingiustificato il licenziamento intimato senza le prescritte formalità, con conseguente applicazione del regime relativo al numero di dipendenti occupati [18].

Né tali diversità di opinioni é mutata a seguito dell’emanazione della L. 108/90, che non ha consentito di sciogliere i numerosi dubbi interpretativi [19] aggiungendo anzi quello dell’applicabilità ai licenziamenti disciplinari della condizione di procedibilità di cui all’art. 5 della L. 108/90 [20].

La giurisprudenza di legittimità più recente [21] è tuttavia orientata nel senso dell’ultima delle tesi citate, ritenendo il licenziamento disciplinare intimato senza le formalità ex art. 7 St. non nullo [22] ma ingiustificato [23].

Proprio tale ultimo orientamento viene richiamato dalla Corte Costituzionale nell’annotata sentenza con la quale, essendo ormai “diritto vivente” la qualificazione del licenziamento disciplinare in violazione dell’art. 7 come licenziamento ingiustificato, viene dichiarato legittimo l’art. 8 della L. 604/66 così interpretato.

In sostanza, una volta violata la procedura dell’art. 7, l’infrazione disciplinare, anche se sussistente, non può essere posta a giustificazione del licenziamento [24], il quale è pertanto immotivato e quindi soggetto alle sanzioni previste per i licenziamenti privi di giusta causa o giustificato motivo a seconda dei requisiti dimensionali definiti nella L. 108/90 [25].

 

 

3. Il licenziamento orale

 

Nella seconda parte della sentenza, la Corte Costituzionale affronta poi il delicato tema del licenziamento orale nella piccola impresa nonché delle sanzioni applicabili .

Deve premettersi che, come è stato già sottolineato , la L. 108/90 ha modificato l’ambito applicativo dell’art. 2 della L. 604/66, estendendo a quasi tutti i licenziamenti l’obbligo della forma scritta [26]. La sanzione prevista per l’inosservanza della previsione legislativa è l’inefficacia. Detta inefficacia comporta senza alcun dubbio l’applicazione dell’art. 18 nell’impresa avente i requisiti richiesti da tale norma [27] mentre, per l’impresa minore, la dottrina e giurisprudenza prevalenti avevano indicato la sanzione della “tutela reale di diritto comune [28]”, cioè la prosecuzione giuridica del rapporto, essendo l’atto interruttivo privo di efficacia, “tamquam non esset” secondo i principi civilistici.

La giurisprudenza ha ricollegato alla nullità o inefficacia del licenziamento conseguenze diverse. Oltre all’ovvia diversità di sanzioni applicabili, si è ritenuto, ad esempio, che il tentativo obbligatorio di conciliazione dell’art. 5 della L. 108/90 non si applichi al licenziamento nullo [29] e che la decadenza per la mancata impugnazione nei 60 giorni ex art. 6 della L. 604/66 non colpisca il licenziamento inefficace [30].

Problematica particolare è poi quella della possibilità di convalidare o rinnovare l’atto nullo.

La giurisprudenza prevalente nega che l’atto nullo possa essere convertito in uno valido [31] e che, qualora si abbia un licenziamento nullo in area di libera recedibilità (o di tutela obbligatoria), questo possa essere convertito in licenziamento ad nutum, trattandosi di nullità assoluta ex art. 1418 c.c., mentre sarebbe possibile rinnovarlo con un nuovo atto valido [32].

Una giurisprudenza rimasta isolata [33] aveva ritenuto che il licenziamento inefficace sia rinnovabile con un nuovo atto valido, mentre il licenziamento disciplinare nullo non lo sarebbe.

Tuttavia, pur ritenendo rinnovabile con effetto ex nunc il licenziamento orale inefficace [34], non può, a nostro avviso, negarsi analoga soluzione al licenziamento disciplinare, anche considerandolo nullo [35].

Tale possibilità, riconosciuta nel diritto civile, viene invece negata dalla prevalente giurisprudenza lavoristica [36].

 

 

4. Le sanzioni per le violazioni formali dei licenziamenti

 

Con la sentenza annotata, la Corte Costituzionale colma un vuoto legislativo in tema di sanzioni per le violazioni formali dei licenziamenti. Il contributo, se può considerarsi ridotto per le novità affermate, è invece fondamentale per un inquadramento sistematico della disciplina del licenziamento nella piccola impresa [37]. Con la scelta operata dal giudice delle leggi, inoltre, la cosiddetta “tutela reale di diritto comune” viene ad essere ristretta in un’area ridottissima, tanto che ci si chiede se abbia senso continuare a considerarla operante anche nei residui casi.

Infatti, con la sentenza in epigrafe, la Corte Costituzionale ha in primo luogo recepito il nuovo orientamento formatosi in tema di licenziamento disciplinare nella Corte di Cassazione, in base al quale la violazione delle formalità dell’art. 7 St. dà luogo a sanzioni diverse a seconda del numero dei dipendenti occupati nella azienda [38].

In secondo luogo, ha ribadito che a seguito di licenziamento orale il lavoratore ha diritto, indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa, ad una tutela forte individuata non nella tutela di diritto comune, ma nella reintegrazione ex art. 18 St. Ciò sempre che l’orientamento espresso dalla Corte nella sentenza sia confermato dalla giurisprudenza [39].

Probabilmente la Corte ha seguito lo stesso ragionamento operato dalla Cassazione, nel quale era stato distinto il concetto di forma “indicativo dell’aspetto in cui l’atto umano si esteriorizza per acquistare giuridica rilevanza” e quello di forma intesa come “procedimento diretto alla sua formazione”[40].

La Corte aveva a questo punto due possibilità: distinguere le conseguenze del licenziamento illegittimo esclusivamente a seconda della dimensione dell’impresa o affiancare al criterio delle dimensioni quello della gravità della violazione. La prima strada avrebbe comportato una maggiore chiarezza nel distinguere le conseguenze dei licenziamenti, come vari autori non avevano mancato di sottolineare [41]; tuttavia, è indubbio che si sarebbe ottenuto un ingiustificato appiattimento delle sanzioni, indipendentemente dal tipo di violazione perpetrata.

Per tale motivo la Corte, pur sensibile alle esigenze di tutela della piccola impresa, ha ritenuto che la violazione della forma scritta sia di tale gravità da giustificare la più grave delle sanzioni: la reintegrazione.

Viene a questo punto da chiedersi quale sia il residuo ambito applicativo della tutela reale di diritto comune.

La dottrina aveva circoscritto detta tutela ai due principali campi ora venuti meno: il licenziamento disciplinare nullo e quello orale nella piccola impresa [42]. Accanto a queste ipotesi principali vi erano poi il licenziamento intimato nei periodi di irrecedibilità (gravidanza, servizio militare, etc.) e quello contrario a specifici divieti legislativi e convenzionali. Si tratta ora di valutare se sia logico mantenere in piedi un istituto per poche fattispecie residuali, apparentemente slegate tra di loro, anche se, a ben vedere, è possibile trovare un comune denominatore nella contrarietà dell’atto a norme di legge imperative.

Infatti, tutte le ipotesi in cui trova applicazione la tutela reale di diritto comune sono rispondenti a questo stesso criterio; così è per il divieto di licenziamento durante la gravidanza o il servizio militare come per il divieto di recedere dal rapporto con il lavoratore che abbia optato per la prosecuzione dello stesso [43].

Viceversa, nei casi di mancata osservanza della procedura dell’art. 7 St. o della forma richiesta dall’art. 8 L. 604/66, ad esempio, il datore non pone in essere atti contrari direttamente a norme di legge. A tali violazioni corrisponde una sanzione che viene rapportata, come detto in precedenza, alla gravità delle stesse ed alla dimensione dell’impresa.

Il licenziamento intimato nonostante specifici divieti legali invece è nullo e si applicheranno ad esso i criteri civilistici con il conseguente permanere degli originali obblighi contrattuali tra cui il diritto a lavorare ed alla retribuzione [44]. In tal modo le sanzioni per i licenziamenti illegittimi vengono ad essere ben individuate come pure il campo di applicazione della tutela reale di diritto comune.

Un’ultima annotazione riguarda l’estensione della tutela civilistica anche alle imprese con più di 15 dipendenti, in quanto una recente sentenza della Corte Costituzionale [45] sembra ricomprendere anche le imprese di maggiori dimensioni. In realtà, la fattispecie proposta alla Corte era in questo caso relativa ad un’impresa con meno di 15 dipendenti  e a tale tipologia di imprese va quindi riferita la sentenza. D’altra parte la cosiddetta “forza espansiva” dell’art. 18 St., in virtù della quale questo si applica ogniqualvolta vi siano i requisiti dimensionali richiesti, dovrebbe comportare l’applicazione della reintegrazione per tutti i licenziamenti nulli nelle imprese maggiori [46].

 

 

Marco Mocella

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[1] Corte Cost. 10-23/11/94, n° 398 in Guida Normativa, 12/12/94 p. 23 ss con nota di Gramiccia, Interferenza dubbia tra tutela reale ed obbligatoria.

[2] In precedenza Corte Cost. 4/3/92 n° 82 in Foro It., 1992, I, 1023 con la quale era stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 5 della L. 108/90 (tentativo obbligatorio di conciliazione).

[3] Leggasi in Foro It., 1982, I, 2981.

[4] Ibidem, 1986, I, 1184.

[5] Ibidem, 1989, I, 2685

[6] Cass. 25/9/91 n° 9993, in Foro It., Rep., 1991, voce Lavoro (Rapporto), 1553; Cass. 7/9/93 n° 9390, ivi, Rep., 1993, voce cit., 1051; Cass. 3/6/92 n° 6741, ivi, 1993, I, 374; Cass. 23/11/90 n° 11311, ivi, 1991, I, 476.

[7] Da ultimo Cass. S.U. 18/5/94 n° 4844 in Foro It., 1994, I, 2076, nonché in Not. Giur. Lav., 1994, 212 ed in Giust. Civ, 1994, I, 2471 con nota di Nogler, Sul c.d. licenziamento ingiustificato nell’area del recesso ad nutum. Cfr. infra nota 21.

[8] Gramiccia, op. cit., p. 27.

[9] Cfr. Cass. S.U. 18/10/82 n° 5394 in Or. Giur. Lav., 1983, 1213; Cass. S.U. 21/2/84 n° 1236 in Mass. Giur. Lav., 1984, 338 ed in Giust. Civ. 1984, I, 682 con nota di Orsi Vergiati; Cass. 3/1/76 n° 4017 in Mass. Giur. Lav. 1977, 214.

[10] Contra, per l’applicazione dell’art. 8 L. 604/66 a tutti i licenziamenti orali: Pera, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, in Riv. It. Dir. Lav., 1990, I, 251 ss. e la giurisprudenza della nota 18.

Per le differenze tra la tutela reale di diritto comune vedi De Luca Tamajo, Disciplina dei licenziamenti individuali in Commentario a cura di De Luca Tamajo e D’Antona, Le nuove leggi civili commentate, 1991, 184; Mocella, in questa Rivista, 1993, II, 351.

[11] Sulla qualificazione del licenziamento ontologicamente disciplinare: Cass. 4844/94, cit. Per la giurisprudenza di merito Pret. Parma, 8/4/93, Ferraù Pret.; Cavalli Giancarlo c/Automea Srl in questa Rivista, 1994, II, 430 con nota di Tazzi Sul licenziamento disciplinare nelle piccole imprese.

Sul licenziamento disciplinare da ultimo anche Cass. 26/4/94 nn° 3965 e 3966 in Foro It., 1994, I, 1708 con nota di Amoroso.

[12] Corte Cost. 204/82, cit.

[13] Successivamente, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato l’applicabilità anche del quinto comma del medesimo art. 7. Cfr. Cass. 27/10/83 n° 6356 in Foro It, Rep., 1983, voce Lavoro, (Rapporto), 2328; Cass. 7/11/83 n° 6579, ivi, 1984, I, 97; Cass. 25/7/90 n° 7520, ivi, Rep., 1990, voce cit., 1788; Cass. 27/11/92 n° 12666, ivi, Rep. 1992 voce cit., 1689; Cass. 27/1/93 n° 1000, ivi, Rep 1993, voce cit., 1394.

[14] Cfr. supra note 4 e 5.

[15] Cass. 8/7/88 n° 4521 in Not. Giur. Lav., 1988, 725; Cass. 7/9/93 n° 9390 in Mass. Giur. Lav. 1993, 671; Cass. 4/3/92 n° 2596 ivi, 1992, 59; Cass. 22/1/91 n° 542 in Giust. Civ. 1991, I, 1185 con nota di Poso Ancora sulle conseguenze del licenziamento disciplinare nelle piccole imprese e la giurisprudenza della nota 6.

[16] Cass. 18/5/88 n° 3457 in Foro It., Rep. voce Lavoro (Rapporto), 2026; Cass. 16/4/94 n° 3633 in Dir. Prat. Lav., 1994, 973. Contra Cass. 5/2/93 n° 1433 ivi, 1993, 953 con nota di D’Avossa; Cass. 1/2/92 n° 1037 ivi, 1992, 983 e Cass. 25/9/91 n° 542 cit.

[17] Cass. 4/3/93 n° 2596 in Riv. Giur. Lav., 1993, II, 542; Cass. 27/3/85 n° 1035 in Foro It., Rep. 1985, Voce Lavoro (Rapporto), 1974.

[18] Cass. 6/4/93 n° 4131 in Riv. Giur. Lav., 1993, II, 541; Cass. 24/2/93 n° 2249 ivi, 543. Cass. 23/11/92 n° 12486 in Dir. Prat. Lav., 1993, 713. ed in Riv. It. Dir. Lav. 1993, II, 355 con nota di Marino.

[19] L’unico elemento che, a contrario, potrebbe far propendere per la negazione della tesi della nullità del licenziamento disciplinare e quindi argomentare a vantaggio della teoria dell’inquadramento di quest’ultimo come licenziamento ingiustificato si può ricavare dall’eliminazione, in sede di conversione finale del disegno di legge, della disposizione che prevedeva espressamente la sanzione della nullità per il licenziamento disciplinare.

[20] L’applicabilità ai licenziamenti disciplinari della condizione di procedibilità ex art. 5 della L. 108/90 (tentativo di conciliazione) é esclusa da Pret. Milano, 11/5/93, Mannino c/Porchiazzo in Riv. Crit. Dir. Lav., 1993, 826 e Pret. Roma 1/6/92, Di Silvestro c/Venanzi in Nuovo Diritto, 1992, 783 con nota di Lisi.

[21] Cass. 4844/94, cit.; la prima ad argomentare in tal senso dopo la L. 108/90 é stata Cass 23/11/92 n° 12486 cit., Pret. Milano, 22/11/93, Crescenzo c/Emme e E. S.r.l. in Riv. It. Dir. Lav. 1994, II, 545 con nota di Marino che tende ad estendere anche al licenziamento orale tale teoria. Conf. Tazzi, op. cit., 435. Contr. Cass. 542/91, cit.; Pret. Milano 21/7/92, Carta c/Oxon Italia, in Riv. It. Dir. Lav., 1993, 665; Pret. Roma 23/1/93, Benelli c/Soc. Cristofari, in Dir. Prat. Lav., 1993, 813.

Per un’ipotesi particolare nel regime precedente la L. 108/90 Cass. 5/1/93 n° 50 in Mass. Giur. Lav., 1993, 66. Contra, per la tesi del risarcimento del danno Cass. 6/4/93 n° 4131 in Mass. Utet, 1993, 1393 e Cass. 23/11/92 n° 12486, cit.

[22] Per la tesi della nullità del licenziamento quando la sanzione risolutiva del rapporto appaia sproporzionata: Trib. Milano 3/7/87 in Lavoro 80, 1987, 1038 e Pret. Milano 22/2/94 Di Nardo c/Esselunga S.p.A. in Dir. Prat. Lav., 1994, 723 con nota redazionale.

[23] Anche parte della dottrina aveva sostenuto tale tesi, poi confermata dalla Cassazione, ritenendo che il vizio derivante dal mancato rispetto della procedura ex art. 7 sia analogo al licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, superando l’obiezione che in un caso si tratta di vizio inerente la totale mancanza di motivo, nell’altro della mancanza di un elemento formale, la procedura. Tuttavia, come si è detto, la giurisprudenza non ha esteso come questa dottrina lo stesso ragionamento anche al licenziamento orale. Cfr. Marino, Licenziamento viziato nella forma e tutela obbligatoria, nota a Pret. Milano 22/11/93, cit., 1994, 545.

[24] Per la tesi del licenziamento disciplinare, come licenziamento per giusta causa, Cass. n° 5262/88 in Foro It., Rep. 1988, Lavoro (rapporto), 1979. In dottrina Focareta, L’articolo 18 St. lav. fra tendenze espansive e problemi irrisolti, in Quad. dir. lav. rel. ind., 1989, n° 6, 269; De Luca Tamajo, Bianchi D’Urso, Licenziamento disciplinare e Corte costituzionale, in Not. giur. lav., 1989, 148.

[25] Cfr. nota 11. Contra, per la tesi dell’applicazione espansiva dell’art. 18 a tutte le ipotesi di licenziamento invalido, compreso quello per violazione dell’art. 7 St.: Garofalo, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali: prime osservazioni, in Riv. giur. lav., 1990, I, 184; Cerritelli, Piccinini, Il licenziamento individuale, Roma (ediesse), 1991, 111-112. Napoli, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, Milano 1990.

[26] De Luca Tamajo, Disciplina dei licenziamenti individuali, op. cit., 184; Mocella, op. cit.., 351 ss.

[27] Corte Cost. 22/1/87 n° 17 in Giur. Cost., 1987, I, 118 e, in questa rivista 1987, II, 130.

[28] Cfr. Cass. S.U. 5394/82, cit.; Cass. S.U. 1236/84, cit.; Contra, per la tesi dell’applicabilità dell’art. 8, Pret. Milano 12/11/91 in Or. giur. lav., 1991, 920, mentre, per l’applicabilità dell’art. 18 a tutti i licenziamenti, Mazziotti, Licenziamenti illegittimi e provvedimenti disciplinari, in Licenziamenti illegittimi e provvedimenti disciplinari, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro - Torino 16-17 maggio 1987, Milano Giuffrè 1988, 113.

[29] Pret. Roma 1/6/92, cit., e Pret. Milano 11/5/93, cit.. L’improcedibilità per il mancato esperimento del tentativo di conciliazione non può comunque essere rilevato in grado di appello: cfr. Trib. Firenze 23/12/92, Soc. Sofitur c/Sousa in Toscana lav. giur., 1993, 36.

[30] Cass. S.U. 2/3/87 n° 2180, in Giust. civ., 1987, I, 1055, nonché Cass. 18/7/91 n° 8010, in Riv. it. dir. lav., 1992, II, 1025. Tale atto è qualificato recettizio dalla giurisprudenza per cui è valido dal momento della ricezione da parte del destinatario dell’atto; cfr. Cass. 29/1/94 n° 899, in Mass. Utet, 1994, 63.

[31] Cass. 5/2/93 n° 1433, cit.. Per parte della giurisprudenza il licenziamento disciplinare intimato in violazione dell’art. 7 St. non è nullo ma illecito e quindi non è soggetto a conversione: Cass. 1/2/92 n° 1037, in Diritto e pratica del lavoro, 1992, 983; Cass. 25/9/91 n° 542, in Giust. civ., 1991, I, 1185, con nota di Poso, Ancora sulle conseguenze del licenziamento disciplinare nullo nelle piccole imprese.

[32] Cass. 9/2/88 n° 1377, in Dir. prat. lav. 1988, 863. In dottrina, Galantino, Il licenziamento disciplinare ed il recesso ad nutum, ivi, 1990, 2976. In senso contrario, per la rinnovabilità del licenziamento, Cass. 16/4/94 n° 3633, ivi, 973; Cass. 13/11/86 n° 6673, in Giur. comm., 1987, I, 330 ed in Not. giur. lav., 1987, 181; Cass. 24/3/88 n° 2563, in Riv. giur. lav., 1989, II, 125. In favore della conversione, Cass. 2/2/87 n° 819, in Mass. giur. lav., 1989, 495; Cass. 11/2/89 n° 851, ivi, 205; Cass. 12/5/90 n° 4079, in Not. giur. lav., 1990, 566; Cass. 10/4/90 n° 3034, in Dir. prat. lav., 1990, 2145. In dottrina, Papaleoni, Licenziamento ad nutum ontologicamente disciplinare: nullità o conversione?, in Giust. civ., 1990, I, 2676.

[33] Cass. 21/11/90 n° 11218, in Riv. it. dir. lav., 1991, II, 449, con nota Papaleoni, Ancora sulla reiterabilità del licenziamento disciplinare.

[34] La rinnovazione del licenziamento deve tuttavia avvenire secondo i principi dell’immediatezza (Cass. 23/10/85 n° 5304, in Rep. 1985, Utet, 2469), immutabilità (Cass. 3084/83, ivi, 1984, 2621), e specificità dei motivi (Cass. 2517/84, ivi, 1984, 2475).

[35] Va tuttavia osservato che la giurisprudenza più recente qualifica il licenziamento disciplinare non nullo ma illegittimo, cioè emanato in carenza di potere e quindi anche convertibile: Cass. 4844/94, cit.; Cass. 24/8/91 n° 9102, in Foro it., Rep., 1991, voce Lavoro (rapporto), 830; Cass. 30/7/87 n° 6632, ivi, 1987, 2342 ;

[36] Papaleoni, Ancora sulla reiterabilità del licenziamento disciplinare, cit.

[37] Altro aspetto accennato in maniera fugace dalla Corte è quello della necessità di impugnare nei sessanta giorni il licenziamento orale. Già la Corte di Cassazione aveva escluso (Cass. S.U. 2/3/87 n° 2180, in Giust. civ., 1987, I, 1055) che fosse necessario impugnare il licenziamento a voce a pena di decadenza. Un ulteriore argomento lo si poteva ricavare dall’art. 5, comma 3°, L. 223/91. La sentenza annotata sembra evidenziare anch’essa (punto 6, lettera a) la necessità della forma scritta come condizione per la esistenza dell’atto, senza la quale non vi é neppure l’onere dell’impugnativa.

[38] In particolare, tutela reale ex art. 18 St. nelle imprese con più di 15 dipendenti nella unità produttiva ove è avvenuto il licenziamento o in più unità produttive site nello stesso Comune, nonché nelle imprese con più di 60 dipendenti; tutela obbligatoria ex art. 8 della L. 604/66 (riassunzione o risarcimento) nelle imprese con meno di 60 dipendenti nonché meno di 15 nella unità produttiva ove è avvenuto il licenziamento; diritto al solo preavviso ex art. 2118 c.c. nelle imprese non assoggettate a nessuna delle discipline limitatrici del licenziamento: Cass. 23/11/92 n° 12486, in Riv. it. dir. lav., 1993, II, 355, con nota di Marino.

[39] In tale senso Gramiccia, op. cit., p. 27. Si noti altresì che se la lettera “d” della motivazione della sentenza sembra avere inequivocabilmente richiamata la tutela reale dell’art. 18 St., alla lettera “b” si afferma “il licenziamento verbale, non producendo alcun effetto, non incide sulla continuità del rapporto stesso e quindi sul diritto del lavoratore alla retribuzione fino alla riammissione in servizio”, conseguenze comuni sia alla tutela reale di diritto comune che a quella dell’art. 18 L. 300/70.

[40] Cass. 1/2/87 n° 1037, cit. Per una fattispecie di licenziamento intimato ad un dipendente della NATO prima in inglese e poi in italiano e per l’inquadramento della fattispecie di tale licenziamento come atto a formazione progressiva, Cass. S.U. 22/5/91 n° 5794, in Riv. it. dir. lav., 1992, II, 272 con nota di Tullini.

[41] Pera, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, in Riv. it. dir. lav., 1990, I, 251 ss. Tazzi, op. cit., 435. Marino, Dall’inefficacia all’illegittimità del licenziamento disciplinare viziato nella procedura: una svolta di rilievo, nota a Cass. 23/11/92 n° 12486 e, dello stesso autore, Il vizio di forma del licenziamento, in Riv. it. dir. lav. In giurisprudenza Pret. Milano 12/11/93, Crescenzo c/Emme e E. S.r.l., in Riv. it. dir. lav., 1994, II, 545, con nota di Marino.

[42] Per i riferimenti cfr. Mocella, op. cit., p. 351.

[43] Per l’applicabilità della tutela reale di diritto comune al licenziamento intimato nonostante l‘opzione del lavoratore per la prosecuzione del rapporto cfr. Corte Costituzionale 15-30/12/94 n° 465 in Guida al diritto, 1995, 6, 22, con nota di Gramiccia.

[44] Corte Cost. 465/94, cit.

[45] Corte Cost. 465/94, cit.

[46] De Luca Tamajo, op. cit., 184 ss.

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