Omissioni procedurali, mancata comunicazione ex art.4 nono comma l.223/91 e regime sanzionatorio
La
l.223/91, nel disciplinare per la prima volta compiutamente in Italia i
licenziamenti collettivi, ha predisposto una procedura di confronto tra le parti
sociali con l’eventuale intervento dell’autorità pubblica[1]
che rappresenta uno degli aspetti maggiormente innovativi della legge rispetto
agli Accordi Interconfederali del 1950 e del 1965[2].
La
procedura sindacale con il controllo amministrativo viene prescelta dal
legislatore per contemperare la libertà di iniziativa economica di cui
all’art. 41 Cost. primo comma con il secondo comma dell’art.4 Cost.; a
differenza del licenziamento individuale, in cui il controllo è affidato al
giudice, in quello collettivo questo spetta in prima battuta al sindacato e solo
successivamente al giudice[3].
Prima
dell’emanazione della nuova normativa, si riteneva che
il datore di lavoro, se ed in quanto sottoposto alla disciplina degli
accordi, dovesse provare l’osservanza dei criteri di scelta ivi previsti o il
rispetto del dovere di buona fede e correttezza ma che non fosse tenuto al
rispetto di una procedura analiticamente individuata né alle comunicazioni oggi
previste dalla legge, né tanto meno ad elaborare delle graduatorie dei
licenziandi indicanti le ragioni delle proprie scelte[4].
La
l.223/91, invece, oltre ad avere esteso a tutti i datori di lavoro la sua
applicazione[5],
ha altresì specificato analiticamente la procedura individuando il contenuto
delle varie comunicazioni che il datore di lavoro è tenuto ad inviare, i
soggetti cui vanno indirizzate e le relative sanzioni[6].
Brevemente, il datore che voglia procedere a riduzioni di personale o messa in
mobilità[7]
è obbligato a comunicare per iscritto agli organismi sindacali indicati dalla
legge tale intenzione specificando una serie di informazioni previste dal terzo
comma dell’art.4[8].
Successivamente si procede ad un esame congiunto prima con il solo
sindacato e, in caso di mancato accordo, con l’intervento dell’UPLMO, cui va
inviata una copia della comunicazione e le eventuali risultanze negative
dell’esame congiunto[9].
Nel
caso in cui non vengano raggiunti accordi in grado di evitare del tutto o in
parte i licenziamenti, il datore ha facoltà di procedere agli annunciati
recessi comunicandoli per iscritto a ciascun lavoratore nel rispetto dei termini
del preavviso inviando contestualmente all’Ufficio Regionale per l’impiego e
la massima occupazione, alle Commissioni Regionali per l’impiego ed alle
organizzazioni sindacali oggetto della prima comunicazione gli elenchi del
personale licenziato completi dei dati anagrafici e familiari e delle modalità
applicative dei criteri di scelta (art.4 nono comma). L’omissione della forma
scritta o delle procedure suddette determina ai sensi dell’art.4 dodicesimo
comma l’inefficacia delle comunicazioni di cui al nono comma e, quindi,
l’inefficacia dei recessi ai sensi del successivo art.5 terzo comma.
Nonostante
la compiutezza della legge, proprio il regime delle sanzioni per vizi
procedurali è apparso subito uno dei punti meno chiari anche a causa
dell’apparente duplicazione contenuta nell’art.4 dodicesimo comma e
nell’art.5 terzo comma.
I
vizi procedurali possono investire in maniera particolare le comunicazioni, di
avvio o conclusive, che il datore è tenuto ad inviare ai vari soggetti indicati
dalla legge.
In
primo luogo, la comunicazione di apertura della procedura può essere carente di
alcuni dei requisiti previsti dallo stesso legislatore; tale incompletezza, può
consistere nell’assoluta mancanza
dei requisiti o nella loro genericità, e provocare quindi l’inadeguatezza
dell’atto a raggiungere il suo scopo, che è quello di fornire tutte le
informazioni necessarie al sindacato per l’eventuale successivo esame
congiunto. L’importanza di tale comunicazione è stata rafforzata dal
recepimento con il d.lgs. 26/5/97 n°151 della direttiva CEE 52/92, che ha
ampliato il contenuto dell’atto aggiungendovi nuovi elementi[10].
Altro
possibile vizio è quello del mancato invio della comunicazione a tutti i
soggetti indicati dal legislatore.
In
tutte queste ipotesi, la sanzione non può che essere quella dell’inefficacia
della successiva procedura e dei conseguenti recessi e l’applicazione
dell’art.18 l.300/70, sebbene parte della dottrina e giurisprudenza escluda
tale conseguenza quando la procedura sia stata ugualmente espletata
correttamente, eventualmente giungendo ad un accordo con il sindacato[11].
Più
complessa, invece, è l’individuazione del regime delle sanzioni relativo alle
comunicazioni finali della procedura previste dal nono comma dell’art.4,
qualora queste presentino dei vizi formali o sostanziali. Questi possono
consistere nell’incompletezza o nella completa mancanza delle informazioni
fornite ai sindacati oppure nella tardività dell’invio della comunicazione
rispetto ai recessi[12].
Il
meccanismo delle sanzioni e la collocazione dell’articolo hanno indotto già i
primi commentatori della legge a chiedersi quali fossero gli effetti della
mancanza o lacunosità di tali comunicazioni[13].
La
prevalente dottrina e giurisprudenza individua nell’inefficacia la sanzione
per tale tipo di violazione, sulla scorta della lettera della legge che
genericamente dichiara inefficace la procedura in caso di mancanza delle
comunicazioni di cui al nono comma[14].
Altra
parte della dottrina, seguita poi da un’autorevole ma ancora minoritaria
giurisprudenza, è giunta a conclusioni oppostesulla scorta di argomentazioni
letterali e sistematiche del dato normativo. In pratica, le comunicazioni finali
del nono comma dell’art.4 vengono considerate esterne alla procedura di
licenziamento sia logicamente sia temporalmente e conseguentemente la loro
mancanza non potrebbe dar luogo all’inefficacia dei recessi che sarebbero
precedenti a tale fase[15].
Si
scontrano, dunque, due diverse tendenze, una tesa a valorizzare oltre modo la
procedura sanzionando drasticamente ogni violazione della stessa senza alcun
correttivo[16];
un’altra, forse di rigetto alla precedente, che cerca di selezionare i vizi
realmente determinanti[17].
La
stessa giurisprudenza della Suprema Corte oscilla tra queste due soluzioni
estreme, talvolta ritenendo applicabile la sanzione dell’inefficacia per
qualunque omissione o lacunosità degli atti[18],
talaltra negando alla comunicazione di cui al nono comma lo stesso valore di
quella di avvio della procedura e degli atti di recesso[19].
Gli
argomenti dell’una o dell’altra tesi sono senza dubbio suggestivi tanto da
rendere difficile la scelta. A sostegno della interpretazione restrittiva,
infatti, si é autorevolmente sostenuto che il sistema dei rinvii tra il nono e
dodicesimo comma dell’art.4 e il terzo comma dell’art.5 induce a collocare
fuori dalla procedura la comunicazione finale al sindacato ed agli organi
amministrativi, in quanto volta a perseguire fini estranei alla stessa e cioè
la formazione delle liste di mobilità[20];
un argomento letterale sarebbe altresì l’uso della congiunzione “e” nel
terzo comma dell’art.5 in luogo della disgiuntiva “o” utilizzata invece
nel dodicesimo comma dell’art.4[21].
Si
é viceversa contestato il valore di tale ultima argomentazione considerando la
parola “o” come una disgiuntiva inclusiva[22]
e che il dodicesimo comma parla delle comunicazioni al plurale laddove, se
avesse voluto fare riferimento alla sola comunicazione del recesso, avrebbe
potuto utilizzare il singolare. In quest’ottica si è individuata la ratio
della norma nella necessità del controllo sulle scelte imprenditoriali “in
quanto rilevanti in una dimensione collettiva e non apprezzabile nell’ambito
del singolo rapporto di lavoro”[23].
L’osservanza dei vari adempimenti non sarebbe nella disponibilità delle parti
e, quindi, indipendentemente
dall’esito della successiva trattativa, i vizi procedurali non sarebbero
sanabili. Inoltre, la comunicazione del nono comma apparterebbe alla vicenda
solutoria del rapporto e quindi alla validità dell’atto di recesso[24].
L’individuazione
della ratio dell’art.4 appare dunque
decisiva al fine di chiarire quali siano le conseguenze dell’omissione dei
singoli atti della procedura.
La
finalità della comunicazione iniziale alle organizzazioni sindacali é
facilmente individuabile nella necessità di porre queste ultime a conoscenza
della situazione che ha determinato la necessità di licenziare il personale
onde poter valutare se intervenire o meno, con quali strumenti e se addivenire o
meno ad un accordo ed a quali condizioni. Conseguentemente, la comunicazione di
apertura della procedura é stata definita un “atto a contenuto vincolato”,
le cui lacune non potrebbero essere successivamente sanate neanche con il
consenso delle parti sociali[25],
tanto che neppure il raggiungimento di un accordo potrebbe sanare il vizio
iniziale, in quanto lo svolgimento dell’esame congiunto e l’eventuale
accordo sarebbero basati su presupposti incompleti[26].
La
ratio della comunicazione finale di
cui al nono comma, che deve avvenire contestualmente alla comunicazione dei
recessi, é invece più complessa, nel senso che essa appare diversa a seconda
degli adempimenti previsti dalla norma e dei soggetti destinatari della stessa[27].
La
comunicazione delle modalità applicative é infatti un atto che deve precedere
quella dei recessi, giacché logicamente il datore deve prima elaborarle e poi
applicarle al caso concreto, individuando i singoli lavoratori da licenziare.
Pertanto, le due comunicazioni devono avvenire almeno contestualmente[28],
anche se parte della giurisprudenza intende meno rigidamente tale contestualità,
ritenendo sufficiente una vicinanza temporale[29].
E’
evidente che mentre la comunicazione dei lavoratori licenziati e dei loro dati
anagrafici ha l’obiettivo di consentire alla Pubblica Amministrazione di
compilare le liste di mobilità ai fini previsti dalla stessa l.223/91 e non
riveste alcun interesse per il sindacato[30],
la comunicazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta consente
invece un accurato controllo da parte delle OO.SS., che ne sono le principali
destinatarie[31].
La possibilità di esercitare il controllo da parte della Pubblica
Amministrazione é invece dubbia, non avendo questa alcun potere di intervento;
l’unico motivo per cui potrebbe risultare utile la comunicazione agli
organismi pubblici delle modalità con cui i criteri di scelta sono stati
applicati é subordinato al fatto di ritenere che i lavoratori, in particolare
quelli non iscritti ad alcun sindacato stipulante, non potendo richiedere
direttamente al datore ex art.2 l.604/66 né i motivi del licenziamento né una
copia della procedura possono farne richiesta alla pubblica amministrazione onde
vagliare se impugnare o meno i recessi[32].
Pertanto,
mentre la comunicazione dei nominativi dei licenziati ed i relativi dati
anagrafici potrebbe non far parte della procedura, collocandosi in una fase
successiva, quella delle modalità applicative dei criteri dovrebbe invece
essere considerata interna alla stessa, costituendone elemento essenziale nonché
presupposto logico dei recessi, e quindi comunicata contestualmente a questi.
A ben vedere, la distinzione riecheggia quella tra forma e formalità degli atti proposta recentemente dalla Cassazione in tema di licenziamento disciplinare e anche nell’ipotesi di omessa comunicazione dei motivi, nel senso di collocare una fase della procedura dopo il perfezionarsi dei singoli atti di recesso, non più in grado di inficiarne la validità[33].
Sulla
base di siffatte premesse, può ipotizzarsi un meccanismo sanzionatorio
articolato a seconda del tipo di omissione e del soggetto destinatario: nel caso
in cui venisse omessa la parte destinata all’organo pubblico al fine della
compilazione delle liste di mobilità, non dovrebbe derivare l’inefficacia dei
recessi ma solo il risarcimento dell’eventuale danno subito[34];
invece, nel caso in cui risulti mancante la parte volta a consentire al
sindacato il controllo sulla correttezza delle scelte operate dal datore di
lavoro, ne deriverebbe l’inefficacia della procedura[35].
La
sentenza in epigrafe ha il pregio di offrire una chiara e puntuale ricostruzione
delle prevalenti opinioni emerse in dottrina e giurisprudenza relativamente alle
conseguenze della mancata comunicazione di cui al nono comma dell’art.4, ben
individuando altresì i termini del problema e la diversa ratio
che le due ricostruzioni offrono della previsione in esame. Dopo
quest’attenta ricostruzione la Corte ritiene di aderire alla soluzione,
consapevolmente minoritaria, che esclude che dall’omissione della
comunicazione finale possa derivare la sanzione dell’inefficacia dei recessi
sulla base del dato letterale suffragato da ulteriori elementi esterni[36].
Vi
é tuttavia un punto in cui la sentenza non convince appieno e precisamente
laddove si distingue la mancata predisposizione dei criteri di scelta
dall’omissione della loro comunicazione. Tale distinzione appare certamente
fuorviante in quanto, omettendo la comunicazione di come i suddetti criteri sono
stati elaborati ed applicati si impedisce sia al sindacato sia al singolo
lavoratore licenziato sia eventualmente alla Pubblica Amministrazione di
controllare che le scelte imprenditoriali siano state effettivamente corrette.
Inoltre, la pubblicizzazione dei criteri costituirebbe un’indubbia
facilitazione per l’eventuale successivo sindacato del giudice[37].
Parallelamente,
sarebbe inconcepibile che il datore di lavoro fosse tenuto a comunicare i motivi
del recesso nel licenziamento individuale ma non in quello collettivo, impedendo
qualsiasi valutazione, con l’aggravante che nei licenziamenti collettivi il
controllo non spetta solo al lavoratore ma anche alle OO.SS.. Non a caso la
sanzione per l’omissione della comunicazione dei motivi é la stessa nei
licenziamenti individuali ed in quelli collettivi.
Inoltre,
se la finalità della norma del nono comma dell’art.4 fosse solo quella di
consentire la compilazione delle liste di mobilità, non ci sarebbe motivo di
comunicare anche al sindacato i lavoratori e le modalità applicative dei
criteri.
Ci
si può chiedere se l’inefficacia della comunicazione finale della procedura e
quindi dei recessi comporti la necessità per il datore di reiterare l’intera
procedura o se questi sia
legittimato ad intimarne nuovi inviando solo l’omessa comunicazione. E’
ovvio che se la comunicazione del nono comma viene considerata elemento esterno
alla procedura questa resta senz’altro valida; in caso contrario, si potrebbe
ugualmente ritenere che il vizio di una parte non deve necessariamente
trasmettersi all’atto[38]
o che comunque la legge indica nell’inefficacia della sola comunicazione del
recesso e non anche dell’intera procedura la sanzione per l’omissione della
comunicazione di cui all’art.4 nono comma[39]
e che la stessa ratio della norma,
individuata come sopra detto, rende superfluo inficiare l’intera procedura[40].
Va
aggiunto che il contrasto giurisprudenziale sopra evidenziato é stato di
recente confermato da altre pronunce di segno diametralmente opposto alla
sentenza in epigrafe ed é pertanto auspicabile un intervento chiarificatorio
delle Sezioni Unite[41].
[41] Cass.22/4/98 n°4121 in Guida al Diritto, 1998, 24, 70; in Dir. Prat. Lav., 1998, 2516; in Guida al Lavoro, 1998, 34, 20; in Foro It., 1998, I, 2126.