Omissioni procedurali, mancata comunicazione ex art.4 nono comma l.223/91 e regime sanzionatorio

 

La l.223/91, nel disciplinare per la prima volta compiutamente in Italia i licenziamenti collettivi, ha predisposto una procedura di confronto tra le parti sociali con l’eventuale intervento dell’autorità pubblica[1] che rappresenta uno degli aspetti maggiormente innovativi della legge rispetto agli Accordi Interconfederali del 1950 e del 1965[2].

La procedura sindacale con il controllo amministrativo viene prescelta dal legislatore per contemperare la libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost. primo comma con il secondo comma dell’art.4 Cost.; a differenza del licenziamento individuale, in cui il controllo è affidato al giudice, in quello collettivo questo spetta in prima battuta al sindacato e solo successivamente al giudice[3].

Prima dell’emanazione della nuova normativa, si riteneva che  il datore di lavoro, se ed in quanto sottoposto alla disciplina degli accordi, dovesse provare l’osservanza dei criteri di scelta ivi previsti o il rispetto del dovere di buona fede e correttezza ma che non fosse tenuto al rispetto di una procedura analiticamente individuata né alle comunicazioni oggi previste dalla legge, né tanto meno ad elaborare delle graduatorie dei licenziandi indicanti le ragioni delle proprie scelte[4].

La l.223/91, invece, oltre ad avere esteso a tutti i datori di lavoro la sua applicazione[5], ha altresì specificato analiticamente la procedura individuando il contenuto delle varie comunicazioni che il datore di lavoro è tenuto ad inviare, i soggetti cui vanno indirizzate e le relative sanzioni[6]. Brevemente, il datore che voglia procedere a riduzioni di personale o messa in mobilità[7] è obbligato a comunicare per iscritto agli organismi sindacali indicati dalla legge tale intenzione specificando una serie di informazioni previste dal terzo comma dell’art.4[8].  Successivamente si procede ad un esame congiunto prima con il solo sindacato e, in caso di mancato accordo, con l’intervento dell’UPLMO, cui va inviata una copia della comunicazione e le eventuali risultanze negative dell’esame congiunto[9].

Nel caso in cui non vengano raggiunti accordi in grado di evitare del tutto o in parte i licenziamenti, il datore ha facoltà di procedere agli annunciati recessi comunicandoli per iscritto a ciascun lavoratore nel rispetto dei termini del preavviso inviando contestualmente all’Ufficio Regionale per l’impiego e la massima occupazione, alle Commissioni Regionali per l’impiego ed alle organizzazioni sindacali oggetto della prima comunicazione gli elenchi del personale licenziato completi dei dati anagrafici e familiari e delle modalità applicative dei criteri di scelta (art.4 nono comma). L’omissione della forma scritta o delle procedure suddette determina ai sensi dell’art.4 dodicesimo comma l’inefficacia delle comunicazioni di cui al nono comma e, quindi, l’inefficacia dei recessi ai sensi del successivo art.5 terzo comma.

Nonostante la compiutezza della legge, proprio il regime delle sanzioni per vizi procedurali è apparso subito uno dei punti meno chiari anche a causa dell’apparente duplicazione contenuta nell’art.4 dodicesimo comma e nell’art.5 terzo comma.

I vizi procedurali possono investire in maniera particolare le comunicazioni, di avvio o conclusive, che il datore è tenuto ad inviare ai vari soggetti indicati dalla legge.

In primo luogo, la comunicazione di apertura della procedura può essere carente di alcuni dei requisiti previsti dallo stesso legislatore; tale incompletezza, può consistere  nell’assoluta mancanza dei requisiti o nella loro genericità, e provocare quindi l’inadeguatezza dell’atto a raggiungere il suo scopo, che è quello di fornire tutte le informazioni necessarie al sindacato per l’eventuale successivo esame congiunto. L’importanza di tale comunicazione è stata rafforzata dal recepimento con il d.lgs. 26/5/97 n°151 della direttiva CEE 52/92, che ha ampliato il contenuto dell’atto aggiungendovi nuovi elementi[10].

Altro possibile vizio è quello del mancato invio della comunicazione a tutti i soggetti indicati dal legislatore.

In tutte queste ipotesi, la sanzione non può che essere quella dell’inefficacia della successiva procedura e dei conseguenti recessi e l’applicazione dell’art.18 l.300/70, sebbene parte della dottrina e giurisprudenza escluda tale conseguenza quando la procedura sia stata ugualmente espletata correttamente, eventualmente giungendo ad un accordo con il sindacato[11].

Più complessa, invece, è l’individuazione del regime delle sanzioni relativo alle comunicazioni finali della procedura previste dal nono comma dell’art.4, qualora queste presentino dei vizi formali o sostanziali. Questi possono consistere nell’incompletezza o nella completa mancanza delle informazioni fornite ai sindacati oppure nella tardività dell’invio della comunicazione rispetto ai recessi[12].

Il meccanismo delle sanzioni e la collocazione dell’articolo hanno indotto già i primi commentatori della legge a chiedersi quali fossero gli effetti della mancanza o lacunosità di tali comunicazioni[13].

La prevalente dottrina e giurisprudenza individua nell’inefficacia la sanzione per tale tipo di violazione, sulla scorta della lettera della legge che genericamente dichiara inefficace la procedura in caso di mancanza delle comunicazioni di cui al nono comma[14].

Altra parte della dottrina, seguita poi da un’autorevole ma ancora minoritaria giurisprudenza, è giunta a conclusioni oppostesulla scorta di argomentazioni letterali e sistematiche del dato normativo. In pratica, le comunicazioni finali del nono comma dell’art.4 vengono considerate esterne alla procedura di licenziamento sia logicamente sia temporalmente e conseguentemente la loro mancanza non potrebbe dar luogo all’inefficacia dei recessi che sarebbero precedenti a tale fase[15].

Si scontrano, dunque, due diverse tendenze, una tesa a valorizzare oltre modo la procedura sanzionando drasticamente ogni violazione della stessa senza alcun correttivo[16]; un’altra, forse di rigetto alla precedente, che cerca di selezionare i vizi realmente determinanti[17].

La stessa giurisprudenza della Suprema Corte oscilla tra queste due soluzioni estreme, talvolta ritenendo applicabile la sanzione dell’inefficacia per qualunque omissione o lacunosità degli atti[18], talaltra negando alla comunicazione di cui al nono comma lo stesso valore di quella di avvio della procedura e degli atti di recesso[19].

Gli argomenti dell’una o dell’altra tesi sono senza dubbio suggestivi tanto da rendere difficile la scelta. A sostegno della interpretazione restrittiva, infatti, si é autorevolmente sostenuto che il sistema dei rinvii tra il nono e dodicesimo comma dell’art.4 e il terzo comma dell’art.5 induce a collocare fuori dalla procedura la comunicazione finale al sindacato ed agli organi amministrativi, in quanto volta a perseguire fini estranei alla stessa e cioè la formazione delle liste di mobilità[20]; un argomento letterale sarebbe altresì l’uso della congiunzione “e” nel terzo comma dell’art.5 in luogo della disgiuntiva “o” utilizzata invece nel dodicesimo comma dell’art.4[21].

Si é viceversa contestato il valore di tale ultima argomentazione considerando la parola “o” come una disgiuntiva inclusiva[22] e che il dodicesimo comma parla delle comunicazioni al plurale laddove, se avesse voluto fare riferimento alla sola comunicazione del recesso, avrebbe potuto utilizzare il singolare. In quest’ottica si è individuata la ratio della norma nella necessità del controllo sulle scelte imprenditoriali “in quanto rilevanti in una dimensione collettiva e non apprezzabile nell’ambito del singolo rapporto di lavoro”[23]. L’osservanza dei vari adempimenti non sarebbe nella disponibilità delle parti e, quindi,  indipendentemente dall’esito della successiva trattativa, i vizi procedurali non sarebbero sanabili. Inoltre, la comunicazione del nono comma apparterebbe alla vicenda solutoria del rapporto e quindi alla validità dell’atto di recesso[24].

L’individuazione della ratio dell’art.4 appare dunque decisiva al fine di chiarire quali siano le conseguenze dell’omissione dei singoli atti della procedura.

La finalità della comunicazione iniziale alle organizzazioni sindacali é facilmente individuabile nella necessità di porre queste ultime a conoscenza della situazione che ha determinato la necessità di licenziare il personale onde poter valutare se intervenire o meno, con quali strumenti e se addivenire o meno ad un accordo ed a quali condizioni. Conseguentemente, la comunicazione di apertura della procedura é stata definita un “atto a contenuto vincolato”, le cui lacune non potrebbero essere successivamente sanate neanche con il consenso delle parti sociali[25], tanto che neppure il raggiungimento di un accordo potrebbe sanare il vizio iniziale, in quanto lo svolgimento dell’esame congiunto e l’eventuale accordo sarebbero basati su presupposti incompleti[26].

La ratio della comunicazione finale di cui al nono comma, che deve avvenire contestualmente alla comunicazione dei recessi, é invece più complessa, nel senso che essa appare diversa a seconda degli adempimenti previsti dalla norma e dei soggetti destinatari della stessa[27].

 La comunicazione delle modalità applicative é infatti un atto che deve precedere quella dei recessi, giacché logicamente il datore deve prima elaborarle e poi applicarle al caso concreto, individuando i singoli lavoratori da licenziare. Pertanto, le due comunicazioni devono avvenire almeno contestualmente[28], anche se parte della giurisprudenza intende meno rigidamente tale contestualità, ritenendo sufficiente una vicinanza temporale[29].

E’ evidente che mentre la comunicazione dei lavoratori licenziati e dei loro dati anagrafici ha l’obiettivo di consentire alla Pubblica Amministrazione di compilare le liste di mobilità ai fini previsti dalla stessa l.223/91 e non riveste alcun interesse per il sindacato[30], la comunicazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta consente invece un accurato controllo da parte delle OO.SS., che ne sono le principali destinatarie[31]. La possibilità di esercitare il controllo da parte della Pubblica Amministrazione é invece dubbia, non avendo questa alcun potere di intervento; l’unico motivo per cui potrebbe risultare utile la comunicazione agli organismi pubblici delle modalità con cui i criteri di scelta sono stati applicati é subordinato al fatto di ritenere che i lavoratori, in particolare quelli non iscritti ad alcun sindacato stipulante, non potendo richiedere direttamente al datore ex art.2 l.604/66 né i motivi del licenziamento né una copia della procedura possono farne richiesta alla pubblica amministrazione onde vagliare se impugnare o meno i recessi[32].

Pertanto, mentre la comunicazione dei nominativi dei licenziati ed i relativi dati anagrafici potrebbe non far parte della procedura, collocandosi in una fase successiva, quella delle modalità applicative dei criteri dovrebbe invece essere considerata interna alla stessa, costituendone elemento essenziale nonché presupposto logico dei recessi, e quindi comunicata contestualmente a questi.

A ben vedere, la distinzione riecheggia quella tra forma e formalità degli atti proposta recentemente dalla Cassazione in tema di licenziamento disciplinare e anche nell’ipotesi di omessa comunicazione dei motivi, nel senso di collocare una fase della procedura dopo il perfezionarsi dei singoli atti di recesso, non più in grado di inficiarne la validità[33].

Sulla base di siffatte premesse, può ipotizzarsi un meccanismo sanzionatorio articolato a seconda del tipo di omissione e del soggetto destinatario: nel caso in cui venisse omessa la parte destinata all’organo pubblico al fine della compilazione delle liste di mobilità, non dovrebbe derivare l’inefficacia dei recessi ma solo il risarcimento dell’eventuale danno subito[34]; invece, nel caso in cui risulti mancante la parte volta a consentire al sindacato il controllo sulla correttezza delle scelte operate dal datore di lavoro, ne deriverebbe l’inefficacia della procedura[35].

La sentenza in epigrafe ha il pregio di offrire una chiara e puntuale ricostruzione delle prevalenti opinioni emerse in dottrina e giurisprudenza relativamente alle conseguenze della mancata comunicazione di cui al nono comma dell’art.4, ben individuando altresì i termini del problema e la diversa ratio che le due ricostruzioni offrono della previsione in esame. Dopo quest’attenta ricostruzione la Corte ritiene di aderire alla soluzione, consapevolmente minoritaria, che esclude che dall’omissione della comunicazione finale possa derivare la sanzione dell’inefficacia dei recessi sulla base del dato letterale suffragato da ulteriori elementi esterni[36].

Vi é tuttavia un punto in cui la sentenza non convince appieno e precisamente laddove si distingue la mancata predisposizione dei criteri di scelta dall’omissione della loro comunicazione. Tale distinzione appare certamente fuorviante in quanto, omettendo la comunicazione di come i suddetti criteri sono stati elaborati ed applicati si impedisce sia al sindacato sia al singolo lavoratore licenziato sia eventualmente alla Pubblica Amministrazione di controllare che le scelte imprenditoriali siano state effettivamente corrette. Inoltre, la pubblicizzazione dei criteri costituirebbe un’indubbia facilitazione per l’eventuale successivo sindacato del giudice[37].

Parallelamente, sarebbe inconcepibile che il datore di lavoro fosse tenuto a comunicare i motivi del recesso nel licenziamento individuale ma non in quello collettivo, impedendo qualsiasi valutazione, con l’aggravante che nei licenziamenti collettivi il controllo non spetta solo al lavoratore ma anche alle OO.SS.. Non a caso la sanzione per l’omissione della comunicazione dei motivi é la stessa nei licenziamenti individuali ed in quelli collettivi.

Inoltre, se la finalità della norma del nono comma dell’art.4 fosse solo quella di consentire la compilazione delle liste di mobilità, non ci sarebbe motivo di comunicare anche al sindacato i lavoratori e le modalità applicative dei criteri.

Ci si può chiedere se l’inefficacia della comunicazione finale della procedura e quindi dei recessi comporti la necessità per il datore di reiterare l’intera procedura  o se questi sia legittimato ad intimarne nuovi inviando solo l’omessa comunicazione. E’ ovvio che se la comunicazione del nono comma viene considerata elemento esterno alla procedura questa resta senz’altro valida; in caso contrario, si potrebbe ugualmente ritenere che il vizio di una parte non deve necessariamente trasmettersi all’atto[38] o che comunque la legge indica nell’inefficacia della sola comunicazione del recesso e non anche dell’intera procedura la sanzione per l’omissione della comunicazione di cui all’art.4 nono comma[39] e che la stessa ratio della norma, individuata come sopra detto, rende superfluo inficiare l’intera procedura[40].

Va aggiunto che il contrasto giurisprudenziale sopra evidenziato é stato di recente confermato da altre pronunce di segno diametralmente opposto alla sentenza in epigrafe ed é pertanto auspicabile un intervento chiarificatorio delle Sezioni Unite[41].



*[1] E’ opinione prevalente che la legge abbia definitivamente superato la distinzione ontologica tra licenziamento individuale plurimo e collettivo  per cui quest’ultimo si distinguerebbe da quello individuale soltanto per la necessità di utilizzare una specifica procedura. In dottrina Pivetti M., Licenziamenti collettivi e mobilità nella legge 223 del 1991, in Lav. Inf., 5, 1993, 26; Mora, Commento all’art.11 l.604/66 in Galantino, La disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi, Torino 1993, 180; D’antona, Riduzione di personale e licenziamenti: la rivoluzione copernicana della L.223/91 in Foro It., 1993, I, 2028; Id., I licenziamenti per riduzione di personale nella L.223/91 in Riv. Crit. Dir. Priv., 1992, 2, 317; Galantino, Diritto del Lavoro, III ediz., Torino 1992, 436. Già nella previgente normativa in dottrina Mazziotti, Il licenziamento illegittimo, Napoli 1982, 169; Pera, La cessazione del rapporto di lavoro, Padova, 1980, 99; Napoli, La stabilità reale del rapporto di lavoro, Milano 1980. In giurisprudenza Cass. 26/4/96 n°3896 in Lav. Giur., 1996, 865; Cass. 29/1/94 n°895 ibidem, 1994, 1239, 1255; Cass. 21/8/86 n° 538, in Riv. It. Dir. Lav., 1987, II, 593; in Dir. Prat. Lav., 1989, 1217; Cass. 5/4/86 n°3182 in Foro It., Rep., 1986, 1257 , 1254. Contra, per la tesi della distinzione ontologica, introdotta dalla nota Cass. S.U. 27/2/79 n° 1270, in Foro It., 1979, I, 605; in Mass. Giur. Lav., 1979, 193 con nota di Franceschini; ivi, 391 con nota di Riva Sanseverino; in Riv. Giur. Lav., 1979, II, 27 con nota di D’Antona; in Giur. It., 1979, I, 1, 1088; in Dir. Lav., 1979, II, 195 con nota di Branca; in Not. Giur. Lav., 1979, 194; in Or. Giur. Lav., 1979, 355; Cass. 4/5/91 n°4891 in Dir. Prat. Lav., 1991, 1895; Cass. 16/12/88 n°6882 in Dir. Prat. Lav., 1989, 1079; Cass. 14/11/86 n°6736 in Foro It., 1988, 1517; Cass. 6/12/85 n° 6158 in Or. Giur. Lav. 1987, 201; Cass. S.U. 18/10/82 n° 5396 ivi, 1983, I, 1337 e da ultimo in motivazione Cass.23/1/98 N°637 in Guida al Diritto, 1998, 28, 43.

 

[2] D’antona, Riduzione di personale e licenziamenti: la rivoluzione copernicana della l.223/91 cit., 2027ss; Pivetti, Alcune osservazione su licenziamenti collettivi e mobilità nella l.223/91 in Riv. Giur. Lav., 1993, I, 51ss.

 

[3] Persiani, I licenziamenti collettivi per riduzione del personale nella l.223/91: le procedure in Dir. Rel. Ind., 212ss;  Carabelli, I licenziamenti per riduzione di personale, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1994, 235.

 

[4] Cagetti, Sull’obbligo di comunicazione dei criteri di scelta nel licenziamento collettivo e sulle conseguenze del suo inadempimento in Riv. It. Dir. Lav., 1997, II, 628. Per la giurisprudenza anteriore alla l.223/91 Cass. 6/7/90 n°7105 in Mass. Giur. Lav., 1990, II, 440; Cass. 22/1/94 n°599 in Giur. It., 1994, I, 1300. La Corte Costituzionale aveva inoltre dichiarato illegittimo il D.P.R. 1019/60 di recepimento dell’accordo interconfederale del 1950 nella parte in cui rendeva obbligatoria la procedura per tutti gli imprenditori soggetti all’accordo. Cfr. Corte Cost. 8/2/66 n°8 in Riv. Giur. Lav., 1966, I, 201; in Giur. Cost., 1966, 98.

 

[5] Sull’applicabilità o meno della l.223/91 ai datori di lavoro non imprenditori vedi Mazziotti, Riduzione di personale cit., 99; contra Napoletano, I licenziamenti collettivi: la fattispecie in Riv. Crit. Dir. Lav., 1990, 250; Miscione, I licenziamenti per riduzione di personale e la mobilità in La disciplina dei licenziamenti dopo le leggi 108/90 e 223/91 a cura di Carinci, Napoli, 1991, 306.

 

[6] Zoli, La procedura di mobilità: contenuto e natura in Cinelli, Il fattore occupazionale nelle crisi di impresa, Torino 1993, 115ss; Id, La procedura, in Quad. Dir. Lav. Rel. Ind., 1997, 175.

 

[7] Per l’unità della procedura Carabelli, op. cit., 240.

 

[8] La comunicazione deve contenere i motivi che hanno determinato la situazione di eccedenza, i motivi tecnici organizzativi e produttivi a fronte dei quali appaiono inattuabili altri rimedi idonei ad evitare i licenziamenti, ed infine numero, collocazione aziendale e profili professionali del personale eccedentario nonché i tempi di attuazione del programma e le eventuali (ora obbligatorie) misure programmate per evitare le conseguenze sociali dei licenziamenti. Tale contenuto è stato ulteriormente ampliato dalla l.151/97 con l’introduzione  dell’obbligo di  ricorrere a misure sociali di sostegno, di comunicare il personale normalmente occupato ed il metodo di calcolo degli incentivi ed integrazioni al reddito aggiuntivi rispetto a quelli legali, oltre all’obbligo di fornire le informazioni richieste anche in caso di procedura posta in essere da impresa controllata qualora l’avvio della procedura sia stata decisa dall’impresa controllante.

 

[9] L’eventuale rifiuto ingiustificato a trattare potrebbe giustificare l’utilizzo dell’art.28 l.300/70. In dottrina Montuschi, Mobilità e licenziamenti: primi appunti ricostruttivi ed esegetici in margine alla l.223 del 23 luglio 1991 in Riv. It. Dir. Lav., 1991, I, 423; per la carenza delle comunicazioni Persiani, op. cit., 214.

 

[10] In particolare, va segnalata l’introduzione del comma 15 bis dell’art.4 l.223/91 secondo il quale gli obblighi di informazione, consultazione e comunicazione devono essere adempiuti anche nel caso in cui la procedura sia avviata su decisione di un’impresa controllante. Sul punto Granata, La direttiva comunitaria in materia di licenziamenti collettivi e l’ordinamento italiano in Quad. Dir. Lav. Rel. Ind., 1997, 175.

 

[11] Cass. 20/11/96 n°10187 in Riv. It. Dir. Lav., 1997, II, 625 con nota adesiva di Marino, Procedure di consultazione sindacale nei licenziamenti collettivi e omissione delle formalità previste dalla legge ; Trib. Milano 13/7/96 in Foro It., 1996, Rep., voce Lavoro (rapporto di), 2187 ed in Riv. It. Dir. Lav., 1996, II, 669; Pivetti, op. cit., 63. Contra per la necessità di rispettare comunque gli obblighi imposti dalla legge per la comunicazione di avvio della procedura Cass. 18/11/97 n°11465 in Riv. It. Dir. Lav., 1998, II, 627; Cass.10716/97 cit.; Pret. Milano 16/6/93 in Lav. Prev. Oggi, 1994, 639; Pret. Venezia 1/2/93 in Foro It., 1993 I, 2025; Pret. Torino 26/5/93 in Dir. Lav.,1994, II, 23; ; Trib. Milano 16/12/94 in Or. Giur. Lav., 1994, 906; Pret. Milano 18/1/95 in Lav. Dir., 1996, 401; Pret. Milano 3/5/95 in Lav. Dir., 1995, 892; Trib. Napoli  10/4/95 ivi, 1995, 896; Pret. Roma 21/11/95 in Riv. Giur. Lav., 1996, II, 191; Pret. Milano 21/11/95 in Lav. Giur., 1996, II, 241. Questa problematica richiederebbe un maggior approfondimento circa il ruolo dell’organo amministrativo  e la possibilità di valutare le scelte del sindacato ed eventualmente intervenire a tutela dei lavoratori. Il controllo sull’operato del sindacato secondo parte della giurisprudenza sarebbe sottratto anche al giudice che non potrebbe valutare nel merito l’accordo siglato, dal che deriva un affidamento totale nella capacità sindacale di tutelare adeguatamente i lavoratori.

 

[12] Ci si riferisce naturalmente alla comunicazione finale da inviare ai sindacati e all’Ufficio regionale del lavoro e alla Commissione regionale per l’impiego; la mancanza dell’atto di licenziamento, pure prevista dal nono comma, dà luogo invece all’inefficacia dei recessi in ogni caso. In senso diametralmente opposto, parte della giurisprudenza di merito aveva valorizzato la lettera del nono comma ritenendo che il datore di lavoro dovesse inviare le comunicazioni dei recessi ai lavoratori ed agli altri organismi previsti dalla legge contestualmente sia in senso temporale sia materiale, cioè in un unico atto: cfr. Pret. Tortona 10/12/93 in Riv. Giur. Lav. 1994, 72.

 

[13] Mazziotti, Riduzione di personale e messa in mobilità cit.129; Montuschi, Mobilità e licenziamenti: primi appunti ricostruttivi ed esegetici in margine alla l.223 del 23 luglio 1991, cit., 416.

 

[14] In dottrina Del Punta, I licenziamenti collettivi in Papaleoni, Del Punta, Mariani, La nuova Cassa Integrazione Guadagni e la mobilità, Padova, 1993, 330; Carabelli, I licenziamenti per riduzione cit. 254; Mazziotti, Riduzione di personale cit., 129; Miscione, I licenziamenti per riduzione del personale e la mobilità cit., 353; Vallebona, Il licenziamento collettivo per riduzione di personale in Cinelli, Il fattore occupazionale cit., 144-5; Montuschi, Mobilità e licenziamenti cit., 439-40; D’antona, Commento all’art.5 della l.223/91 in Persiani, Commentario alla l.23 luglio 1991 n°223 in Nuove Leggi Civili Commentate, 1994, fasc.4-5, 935; Mora, Commento all’art.11 l.604/66 in Galantino, La disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi, Torino 1993, 218; Liso, La nuova legge sul mercato del lavoro: un primo commento, in Lav. Inf., 1991, 18, 15; Zilio Grandi, Poteri imprenditoriali, riduzione di personale e procedimentalizzazione in Lav. Giur., 1995, 824. In giurisprudenza Cass. 11/3/97 n° 2165 in Foro It., 1998, I, 1536.

 

[15] Rendina, In tema di procedura di mobilità e licenziamenti collettivi per riduzione di personale, anche alla luce della l.236/93 (comunicazioni relative alla procedura, cessazione di azienda e computo dei dipendenti) in Mass. Giur. Lav., 1993, I, 495; De Marchis,  La l.223/91, licenziamenti collettiivi, dimissioni incentivate e vizi di comunicazione in Riv. Giur. Lav., 1993, II, 130-1. Cass.20/11/96 n°10187 cit..

 

[16] Tra le tante Pret. Padova 22/1/97 in Riv. It. Dir. Lav., 1997, II, 856 con nota di Marino; Pret. Busto Arsizio 21/3/93 (ord.) e 18/3/93 in Mass. Giur. Lav., 1993, I, 493 con nota di Rendina; Trib. Milano 31/5/95 in Or. Giur. Lav., 1995, 407; Pret. Monza 31/1/95 in Or. Giur. Lav., 1995, 170; Pret. Genova 29/11/93 in Mass. Giur. Lav., 1993 676; Pret. Potenza 6/10/93 ivi, 1994, 72; Pret. Roma 26/1/95 in Giur. Lav. Lazio, 1995, 493; Pret. Milano 10/11/93 in Or. Giur. Lav., 1994, 302; Pret. Tortona 10/12/93 in Mass. Giur. Lav., 1994, 72; Pret. Cassino sez. Pontecorvo 23/7/93 in Foro It., 1994, 2929; Trib. Milano 16/12/94 in Or. Giur. Lav., 1994, 906; Pret. Venezia 1/2/93 in Foro It., 1993, I, 2025 con nota di D’antona; Pret. Milano 16/6/93 in Lav. Prev. Oggi, 1994, 639; Pret. Torino 26/5/93 in Dir. Lav., 1994, II, 23 con nota di De Marchis; Pret. Varese 13/3/95 in Or. Giur. Lav., 1995, I, 174; Pret. Milano, sez. Rho, 14/11/95 in Lav. Dir., 1996, 403; Pret. Napoli 24/2/95 ivi, 1995, 895; Pret. Napoli 20/4/95 ivi, 1995, 896; Pret. Milano 4/2/97 ivi, 1997, 527; Pret. Padova 22/1/97 ivi, 1997, 529; Pret. Milano 6/8/96 in Riv. Crit. Dir. Lav., 1997, 88; Pret. Milano 26/2/96 ivi, 1996, 644; Pret. Torino 19/3/96 in Lav. Giur., 1996, 411.

 

[17] Così Pret. Pinerolo 12/1/96 in Mass. Giur. Lav., 1996, 396; Pret. Latina 18/5/95 in Mass. Giur. Lav., 442; Pret. Milano 11/2/94 in Or. Giur. Lav., 1994, 110; Pret. Modena 16/7/94 in Riv. It. Dir. Lav., 1995, II, 691 con nota di Pilati

 

[18] Cass.26/7/96 n°6759 in Riv. It. Dir. Lav., 1997, II, 628 con nota di Cagetti; Cass. 18/11/97 n°11465, in Mass. Giur. Lav., 1998, 123 ed in Riv. It. Dir. Lav.,1998, II, 627 con nota di Vallauri, che definisce l’atto di avvio della procedura “a contenuto vincolato”; Cass.30/10/97 n°10716 in Foro It., 1998, I, 1535;  Cass.11/3/97 n°2165 cit.; Cass.27/5/97 n°4685 in Mass. Giur. Lav., 1997, 632; Cass. 17/1/98 n°419 in Dir. Prat. Lav., 1998, 1477.

 

[19] Cass. 20/11/96 n°10187 in Riv. It. Dir. Lav., 1997, II, 625 con nota di Marino ed in Mass. Giur. Lav., 1996, 787 e la sentenza in epigrafe che può leggersi anche in Foro It., 1998, I, 2126.

 

[20] Come si ricava anche dall’art.8 quarto comma della l.236/93 che interpreta l’art.24 della l.223/91 nel senso che il datore di lavoro deve avvalersi della facoltà di mettere in mobilità i lavoratori entro 120 giorni dal termine della procedura, che dunque dovrebbe intendersi conclusa prima della comunicazione di cui al non comma dell’art.4 l.223/91.

 

[21] Cass.10187/96 cit..

 

[22] Cass.6759/97 cit.

 

[23] Cass.6759/97 cit. e 11465/97 cit..

 

[24] Cass.11465/97 cit.; Papaleoni, I licenziamenti collettivi in Papaleoni, Del Punta, Mariani, La nuova Cassa Integrazione Guadagni e la mobilità cit., 330

 

[25] Cass.10716/97 cit., Cass.11465/97 cit.. Mora, op. cit., 207; Montuschi, op. cit., 412. Sull’applicabilità dell’art. 28 Statuto nell’ipotesi di incompletezza dell’informazione iniziale Pret. Milano 25/3/94 in Or. Giur. Lav., 1994, 220; Pret. Milano 5/3/93 in Riv. Crit. Dir. Lav., 1993, 534; Pret. Napoli 26/4/93 in Dir. Prat. Lav., 1993, 837 e Pret. Busto Arsizio 18/3/93 cit.

 

[26] Vedi supra nota §11.

 

[27] Anche da tale contestualità può dedursi che la ratio della norma è quella di rendere certi e immodificabili le modalità applicative dei recessi che costituiscono in sostanza i motivi degli stessi, sostituendo così la comunicazione ex art. 2 della l.604/66. Tale contestualità non deve tuttavia essere intesa come immediatezza potendo seguire di un ragionevole termine i licenziamenti. Cass.11465/97 cit.; Pret. Bergamo 8/10/92 in Mass. Giur. Lav., 1992, 508; contra Pret. Perugia 12/12/92 in Giust. Civ., 1993, 1360; Pret. Perugia 12/12/92 (ord.), ibidem, 1993, I, 1360.

 

[28] Cass.2165/97 cit.

 

[29] Cass.11465/97 cit.; Trib. Bergamo 12/7/94 in Lav. Giur., 1995, 341 con nota D’avossa; contra, per la contemporaneità delle comunicazioni Pret. Roma 21/11/95 in Foro It., Rep., 1996, voce Lavoro (rapporto di), 1293; Pret. Perugia 12/12/92 cit. secondo la quale gli atti devono essere contenuti in un unico documento.

 

[30] Come peraltro risulta implicitamente dalla stessa l.223/91 art. 17; in dottrina Mora, op. cit., 221.

 

[31] Vedi supra. Trib. Milano 16/12/94 cit.; Pret. Venezia 1/2/93 cit.; Pret. Varese 13/3/95 in Or. Giur. Lav., 1995, I, 174.

 

[32] Per l’applicabilità in motivazione cfr. Cass.11465/97 cit.; nell’atto di recesso a seguito  di licenziamento collettivo, invece, non é necessario inserire la motivazione del provvedmento: Cass. 4/2/98 n°1138 in Dir. Prat. Lav., 1998, 1788; Papaleoni, op. cit., 329; Mora, op. cit., 227; Garofalo, Eccedenze di personale e conflitto: profili giuridici in Dir. Lav. Rel. Ind., 1990, 278; Mazziotti, Riduzione di personale cit., 125-6; contra Carabelli, op. cit., 249, nota n°87.

 

[33] Corte Cost. 23/11/94 n°398 in Resp. Civ., 1995, 516 con nota Nogler; in Riv. It. Dir. Lav. 1995, II, 3 con nota di Pera; in Riv. Crit. Dir. Lav., 1995, 249 con nota di Amato; in Riv. Giur. Lav., 1995, II, 443 con nota di Di Francesco; in Giur. Cost., 1995, 571 con nota di Scartozzi; in Giur. It., 1995, I, 471 con nota di Di Francesco; in Dir. Lav., 1995, II, 253 con nota di Battista; in Dir. Lav., 1994, II, 507 con nota di Mocella; in Mass. Giur. Lav., 1994, 664 con nota di Gramiccia; in Giust. Civ., 1995, I, 2757 con nota di Nannipieri; Cass. 26/4/94 n°3966 in Foro It., 1994, I, 1078; Cass. 18/5/94 n°4844 in Foro It., 1994, I, 2076; Cass. 23/11/92 n°12486 in Riv. It. Dir. Lav., 1993, II, 357; Cass. 23/12/1996 n°11497 in Foro It. 1997, I, 461: in Guida al Diritto 29/3/97, p.36; in Mass.Giur.Lav., 1997, 283 con nota di Pelaggi. Contra, Cass. 1/3/96 n°1596 in Foro It., Mass. 1996, 198.

 

[34] Cass.10187/96 cit.

 

[35] De Marchis, L.223/91, licenziamenti collettivi, dimissioni incentivate e vizi di comunicazione in cit., 130; contra Cass.26/7/96 n°6759 cit.; Pret. Torino 19/3/96 in Lav. Giur., 1996, 411.

 

[36] Cioè l’art. 8 della l.236/93 e l’art.17 della stessa l.223/91, che sembrano collocare la comunicazione finale al di fuori della procedura per la riduzione di personale

 

[37] Montuschi, op. cit., 406

 

[38] Cass.13/11/86 n°6673 in Giust. Civ., 1987, I, 330; Mazziotti, Riduzioni di personale cit., 128-129.

 

[39] Pret. Latina 18/5/85 in Mass. Giur. Lav. 1995, 442.

 

[40] Montuschi, op .cit., 427. In tal senso anche Martinucci, Licenziamenti collettivi e vizi procedurali: proposte interpretative in merito alle conseguenze sanziaonatorie in Riv.It.Dir.Lav., 1998, II, 620;

 

[41] Cass.22/4/98 n°4121 in Guida al Diritto, 1998, 24, 70; in Dir. Prat. Lav., 1998, 2516; in Guida al Lavoro, 1998, 34, 20; in Foro It., 1998, I, 2126.

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