MANCANZA DI FORMA E OMESSA COMUNICAZIONE DEI MOTIVI NEL REGIME DI TUTELA OBBLIGATORIA DEL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE

 

I

 

 

Il licenziamento orale nell’area di tutela c.d. obbligatoria non é inefficace ma illegittimo, con obbligo per il datore di lavoro di riassunzione o di pagamento dell’indennità di cui all’art. 8 l.15 luglio 1966 n.604, quale modificato dall’art. 2 l.11 maggio 1990 n.108

 

Pret. Parma 18 giugno 1996, est. Federico, Gambardelli ed altro c/Soc. Gia - Gruppo arredamenti[1]

 

Licenziamento orale nell’area di tutela c.d. obbligatoria - Obbligo di riassunzione o pagamento di indennità

 

INDICE

1- La sentenza in epigrafe

2- Inefficacia, invalidità e nullità dell’atto

3- Forma e formalità secondo la giurisprudenza

4- Omissione, ritardo o genericità della comunicazione dei motivi

5- Le conseguenze dell’omissione della forma scritta e della mancanza o tardiva comunicazione dei motivi

6- Conclusione: la necessità di un intervento del legislatore o della Corte Costituzionale

 

------------------

 

1. La pronuncia in epigrafe si inserisce nel dibattito giurisprudenziale sulle conseguenze dei vizi formali del licenziamento, vivo in dottrina e giurisprudenza già prima dell’emanazione della L.108/90.

Quest’ultima, infatti, lungi dal portare chiarezza in materia, ne ha piuttosto accentuato la rilevanza, estendendo a tutti i datori di lavoro sia l’obbligo di forma e motivazione del licenziamento sia la relativa sanzione.

Già la Corte Costituzionale, nel pronunciarsi sulla legittimità del nuovo assetto normativo, aveva distinto il caso del licenziamento orale, inidoneo a produrre qualunque effetto sul rapporto di lavoro, dal licenziamento disciplinare intimato senza il rispetto della prescritta procedura - considerato nullo dalla precedente dottrina e giurisprudenza[2] - al quale conseguirebbero invece le stesse sanzioni del licenziamento ingiustificato[3]. La Corte, nel recepire la distinzione tra difetto di forma e formalità dell’atto introdotto dalla giurisprudenza più recente, aveva involontariamente aperto la strada ad analoghe interpretazioni per l’ipotesi di omissione della procedura prevista dall’art.2 L.108/90[4].

Successivamente la Cassazione, in una recente sentenza[5], distinta l’ipotesi della mancanza di forma scritta, assolutamente inidonea ad interrompere il rapporto[6], da quella della omessa o tardiva comunicazione dei motivi, ha affermato che anche a quest’ultima può estendersi la stessa sanzione comminata per il licenziamento disciplinare, recependo in tal modo la distinzione tra forma e formalità dell’atto. Le conseguenze del vizio sostanziale del licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo quindi sono state parificate a quelle del vizio formale per difetti attinenti la procedura.

Da notare che la Corte, nel definire tale orientamento, ha fatto uso del termine “parallelismo delle tutele”, generalmente adoperato in altro contesto e con differente significato[7].

La sentenza in epigrafe diverge dalla prevalente dottrina e giurisprudenza, nonché dalla pronuncia n° 398/94 della Corte Costituzionale.

Il Pretore, infatti, nell’accogliere l’attuale orientamento giurisprudenziale in tema di licenziamento disciplinare viziato nella procedura, ne estende l’ambito di applicazione anche all’ipotesi del licenziamento orale, sulla base di due ordini di considerazioni: da un lato evocando generici motivi di equità; dall’altro richiamando la lettera della legge che unifica il difetto di forma e di motivazione in una sola norma, facendone discendere come unica conseguenza l’inefficacia.

Quest’ultima, a differenza della nullità, presuppone per sua natura che l’atto sia valido pur se improduttivo di effetti e comporterebbe, quindi, l’impossibilità per il datore di giustificare il licenziamento, come per il licenziamento disciplinare privo dei requisiti formali prescritti. Alla stessa conclusione porterebbe la rubrica dell’art. 2 L.108/90 intitolata “Riassunzione o risarcimento del danno”[8].

Il Pretore, nell’annotata sentenza, coglie anche l’occasione per chiarire la terminologia giuridica adoperata dal legislatore (inefficacia, invalidità e nullità dell’atto), nonché per distinguere tra elementi essenziali dell’atto e requisiti successivi alla formazione dello stesso, la cui mancanza determinerebbe la cd. inefficacia successiva, vero fulcro di tutta la costruzione giuridica della sentenza.

 

 

2. L’inefficacia é specificamente indicata dal legislatore come la sanzione del licenziamento privo della forma scritta o del quale non siano stati tempestivamente comunicati i motivi.

Proprio per il licenziamento orale era stata evidenziata la differenza tra nullità ed inefficacia del licenziamento[9]. L’atto orale esiste ma non produce effetti in quanto manca della forma richiesta; quello nullo è solo apparente ma non esiste affatto[10], sebbene la giurisprudenza lo definisca indifferentemente inesistente[11] o nullo[12]. Nonostante la lettera della legge, secondo parte della dottrina[13] per il licenziamento orale dovrebbe parlarsi di nullità e non di inefficacia, in quanto l’inefficacia in senso stretto si avrebbe solo quando, pur esistendo il contenuto dell’atto, difetti un elemento esterno all’atto stesso, quale la forma negli atti bilaterali; qualora mancasse il contenuto l’atto sarebbe invece nullo[14]. Negli atti unilaterali recettizi, quale il licenziamento, la forma ed il contenuto (cioè la dichiarazione espressione dell’atto) coincidono, per cui la distinzione tra nullità ed inefficacia perde ogni significato[15].

La vera inefficacia, invece, sarebbe la conseguenza dell’omessa comunicazione dei motivi tempestivamente richiesti dal lavoratore[16]. In questo caso, infatti, il difetto di forma riguarda un elemento esterno, vale a dire la giusta causa o il giustificato motivo, che non è costitutivo del negozio ma soltanto un requisito per la sua validità. Nonostante questo, l’opinione diffusa fino ad oggi aveva considerato l’inefficacia dell’art. 2 in senso lato, cioè di inidoneità dell’atto a produrre qualunque effetto a causa della mancanza di un requisito essenziale[17].

La sentenza, pertanto, analizza l’esatto significato del termine utilizzato dal legislatore sia nella L.604/66 sia nella L.108/90.

Già la Cassazione aveva chiarito che l’inefficacia del negozio (rectius atto) é una categoria più ampia dell’invalidità dello stesso, ricomprendendo sia i negozi invalidi, e quindi improduttivi di effetti, sia quelli validi anche se privi di efficacia. Nel primo caso, l’inefficacia deriva dagli stessi fattori che rendono invalido l’atto, come per il licenziamento orale; nel secondo, deriva da elementi estranei al negozio stesso, talvolta successivi a quest’ultimo (cd. inefficacia successiva)[18].

Il Pretore di Parma, in palese dissenso dalla Corte Costituzionale e dalla Suprema Corte, si spinge fino a ritenere che il licenziamento individuale non possa essere considerato nullo o comunque inidoneo ad interrompere il rapporto neppure se intimato oralmente, ma debba distinguersi l’effetto risolutivo dell’atto, comunque presente, dalla legittimità dello stesso. Poiché il legislatore espressamente dichiara inefficace e non nullo il licenziamento orale, l’interprete non potrebbe accomunare queste due ipotesi, peraltro diverse tra loro: mentre l’atto nullo non può produrre effetti, non é detto che quello inefficace sia nullo; anzi, il concetto stesso di inefficacia presupporrebbe la validità dell’atto[19].

A di là dei rilievi meramente terminologici, il dibattito sulle conseguenze dei vizi formali del licenziamento, mai sopito in dottrina[20], ha trovato nuova linfa nella motivazione della sentenza della Corte Costituzionale n°398/94 e nell’orientamento della Cassazione alla base della stessa. Infatti, la distinzione operata tra vizi formali e procedurali, nonché tra inefficacia e nullità, ha offerto lo spunto ad interpretazioni probabilmente non volute e pur tuttavia facilmente prevedibili.

 

 

3. Alla base della diversità delle sanzioni per il licenziamento privo di forma scritta e per quello intimato senza il rispetto delle procedure vi é la distinzione operata dalla Cassazione tra forma aspetto e forma procedimento.

Tale differenziazione era già stata formulata con riferimento alle garanzie procedimentali dell’art. 7 dello Statuto ed alle conseguenze della loro inosservanza. La giurisprudenza della Cassazione, poi confermata dalla Corte Costituzionale, aveva distinto il concetto di forma “indicativo dell’aspetto in cui l’atto umano si esteriorizza per acquistare rilevanza giuridica” da quello di forma quale “procedimento diretto alla sua formazione”[21].

Alla diversa natura giuridica farebbero seguito differenti conseguenze: nella prima ipotesi, a causa dell’assoluta inesistenza dell’atto, troverebbe applicazione l’art. 18 St. o la tutela reale di diritto comune; nell’altra ipotesi, il recesso sarebbe ingiustificato e la sanzione dipenderebbe dal numero di dipendentti occupati dal datore di lavoro.

Facendo leva su questa distinzione, una parte della dottrina e giurisprudenza di merito[22] aveva assimilato alla procedura dell’art. 7 St. quella dell’art. 2 L.108/90, inerente la richiesta e la consequenziale comunicazione dei motivi, per concludere che in entrambe le ipotesi il licenziamento sarebbe ingiustificato e quindi, mancando i requisiti dimensionali prescritti dall’art. 18 St., sussisterebbe il solo obbligo risarcitorio. La strada era oramai aperta per interpretazioni più restrittive dell’art. 2 della L.108/90 ed é stata infatti percorsa in parte dalla Cassazione[23] e dal Pretore di Parma nell’annotata sentenza fino in fondo: al datore di lavoro che non abbia i requisiti numerici previsti per la reintegrazione si applicherà sempre e comunque la tutela obbligatoria.

Restano fuori, per ora, i casi previsti dall’art. 3 L.108/90 e le altre ipotesi specificamente indicate dal legislatore: licenziamento durante i periodi di malattia, gravidanza, puerperio, servizio militare e chiamata per funzioni pubbliche elettive[24]. A queste fattispecie il legislatore riconnette la stessa sanzione indipendentemente dalle dimensioni aziendali, quale conseguenza della gravità della violazione.

 

4. Va preliminarmente osservato che la comunicazione dei motivi del licenziamento non é un obbligo per il datore di lavoro a meno che non venga richiesta, anche oralmente, dal lavoratore nei termini di legge. In tal caso scatta l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare per iscritto entro un ristrettissimo lasso di tempo le motivazioni alla base del recesso[25].

Avendo l’atto natura recettizia, esso dovrebbe nel termine di soli sette giorni non solo essere spedito ma giungere a conoscenza dell’interessato[26].

L’art. 2 secondo comma della legge 604/66 non é stato sostanzialmente modificato dalla legge 108/90, se non nei termini per la richiesta e la comunicazione dei motivi. La proposta di unificare la comunicazione del recesso con quella dei motivi non é stata, invece, accolta dal legislatore, che ha preferito salvaguardare l’interesse del lavoratore a non veder divulgato il motivo del recesso[27]. Per il licenziamento ingiurioso, peraltro, già in precedenza si riteneva che la comunicazione non potesse essere contestuale al recesso; l’interesse del lavoratore sarebbe stato quindi comunque salvaguardato[28].

La richiesta dei motivi non deve necessariamente essere fatta per iscritto, non essendo prevista la forma scritta analogamente alla intimazione del recesso[29].

Inoltre, sebbene le motivazioni non sono modificabili, é possibile allegare anche successivamente fatti esplicativi ed integrativi[30].

Poiché la comunicazione dei motivi ha lo scopo di garantire al lavoratore la possibilità di conoscere i fatti posti a fondamento del recesso, onde poter valutare se impugnarlo o meno, l’indicazione delle ragioni deve avvenire in forma analitica e completa, nonché rispondere ai requisiti visti in precedenza[31]. Il prevalente orientamento giurisprudenziale e dottrinale equipara, dunque, le conseguenze dell’omessa comunicazione dei motivi con quella tardiva o generica[32].

 

5. Fino all’emanazione della L. 604/66 il nostro ordinamento non prevedeva nessun obbligo relativo alla forma e alla procedura dei licenziamenti. Questi, pertanto, in ossequio al principio generale della libertà della forma degli atti, potevano essere intimati in qualsivoglia forma, orale o scritta, senza necessità di alcuna procedura. La L. 604/66 ha per prima introdotto l’obbligo di forma e motivazione del licenziamento e la successiva L. 108/90 ne ha esteso l’ambito applicativo, aggiungendo altresì in taluni casi l’obbligo di un tentativo di conciliazione. Con specifico riferimento al caso dei licenziamenti disciplinari, lo Statuto dei lavoratori aveva già previsto, all’art. 7, una particolare procedura da adottare.

Come per i licenziamenti collettivi, anche per quelli individuali forma e procedura erano già state introdotte dalla contrattazione collettiva (cfr. accordi del 1950 e del 1965) di cui la legge ha recepito i contenuti.

L’estensione operata dal secondo comma dell’art. 2 della L. 108/90 dell’obbligo di comunicazione per iscritto del licenziamento a tutti i datori di lavoro, con pochissime eccezioni, porta a termine un processo interpretativo iniziato in dottrina e giurisprudenza appena dopo l’emanazione della L. 604/66, tendente a generalizzare tale obbligo. Prima dell’entrata in vigore della L. 108/90, l’obbligo di forma previsto dall’art. 2 L. 604/66 riguardava solo i datori di lavoro con più di 35 dipendenti, ex art. 11, 1° comma. A seguito dell’emanazione della L. 300/70, art. 18, l’obbligo di forma era stato ritenuto applicabile anche alle imprese industriali o commerciali, naturalmente nelle unità produttive con più di 15 dipendenti[33].

Alla luce del nuovo ambito applicativo generale della forma scritta, il licenziamento finisce col divenire un atto formale per il quale la forma scritta è richiesta ad substantiam[34].

La previsione della comunicazione per iscritto del licenziamento risponde, in effetti, all’esigenza di tutelare il lavoratore da arbitri del datore di lavoro, che in taluni casi poteva negare addirittura il recesso[35]. Parte della dottrina e giurisprudenza aveva pertanto richiesto la forma scritta anche per le dimissioni[36].

La tendenza dottrinale tesa ad estendere gli effetti della mancanza di forma scritta ai dipendenti di tutti i datori di lavoro, indipendentemente dal numero di lavoratori occupati e dalla natura imprenditoriale o meno del datore di lavoro, trovava in passato un limite insormontabile, oltre che nel testo dell’art. 2118 c.c., nel generale principio di libertà della forma degli atti. Quest’ultimo rendeva speciali le norme che imponevano una forma particolare per i licenziamenti e pertanto non suscettibili di applicazione analogica.

Connessa a questa problematica è quella del licenziamento per fatti concludenti, cioè quando il licenziamento non è affatto comunicato ma la volontà del datore di lavoro di licenziare è inequivocabile[37]. La legittimità di tale licenziamento, per parte della dottrina, potrebbe essere affermata solo nell’area della libera recedibilità, oggi assai ridotta[38].

Il requisito della forma scritta implica che l’atto sia sottoscritto dall’autore. Non é pertanto stato ritenuto sufficiente il telegramma non sottoscritto in originale dal datore o da un suo rappresentante munito di valida procura[39].

Le fattispecie di invalidità del recesso non regolamentate dalle norme limitatrici dei licenziamenti erano disciplinate dalle norme di diritto comune, per cui invalse, per definire la tutela ad esse accordata, la terminologia di tutela reale di diritto comune[40]. In questo modo si tendeva ad estendere ai lavoratori cui non fosse applicabile l’art. 18 L. 300/70 una tutela quasi equivalente[41]. Tuttavia, laddove quest’ultimo fosse applicabile, era ritenuto prevalente in quanto norma speciale[42].

Questo orientamento espansivo dell’art. 18 St. ha ricevuto l’avallo della Corte Costituzionale che ha ritenuto applicabile a fattispecie diverse da quelle espressamente previste dalla legge la tutela dell’art. 18, purché governate dalla stessa ratio[43].

La tendenza in esame ha ricevuto una quasi totale attuazione con la legge del 1990 sui licenziamenti individuali che, oltre a ridurre fortemente l’ambito di applicazione del recesso ad nutum, ha esteso la tutela dell’art. 18 L. 300/70 a tutti i recessi illeciti e discriminatori (art. 3 L. 108/90).

Le uniche eccezioni all’obbligo di forma scritta sono oggi quelle relative ai datori di lavoro domestici, in ragione della peculiarità del rapporto, e ai prestatori di lavoro ultra sessantenni aventi i requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto (art. 4 L. 108/90)[44], nonché i lavoratori in prova, esclusi ex art. 10 L.604/66 dall’intera legge.

Anche successivamente alla L.108/90, la prevalente dottrina e giurisprudenza hanno ricondotto le conseguenze del licenziamento affetto da vizi formali, mancando i requisiti di applicazione dell’art. 18, alla cd. tutela reale di diritto comune[45]. Ciò perché, a differenza che in passato, vi è ora una specifica norma che estende a tutti i datori di lavoro l’obbligo di forma sanzionandone la mancanza con l’inefficacia dell’atto. Qualora sia applicabile l’art. 18 nella sua nuova formulazione, nessun problema[46]; in caso contrario, al vizio di forma del licenziamento conseguirà l’applicazione dei principi civilistici in tema di inefficacia degli atti[47] e l’azione di nullità (rectius inefficacia) sarà soggetta ai soli termini prescrizionali[48].

Sulla capacità dell’art. 18 Statuto di ricomprendere tutte le ipotesi di licenziamento nullo, annullabile o inefficace ricorrendone i presupposti quantitativi la dottrina é quasi univoca[49].

Anzi, per parte della dottrina a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n°398/94 l’art. 18 St. comprenderebbe tutte le ipotesi di licenziamento inefficace, anche mancando i requisiti numerici[50].

Le differenze tra le due ipotesi non sono trascurabili, in quanto la tutela reale di diritto comune non é soggetta al limite minimo delle 5 mensilità previsto dall’art. 18 Statuto né alle decurtazioni dell’aliunde perceptum; inoltre, il lavoratore non ha la facoltà di optare per l’indennità alternativa alla reintegra pari a 15 mensilità di cui al novellato art. 18 Statuto[51].

Solo una dottrina fortemente minoritaria, unitamente ad una parte della giurisprudenza di merito ritenevano che, mancando i requisiti dell’art. 18 St.,trovasse applicazione l’art. 8 L.604/66[52].

La giurisprudenza ha ricollegato diverse conseguenze alla nullità o inefficacia del licenziamento. Oltre all’ovvia diversità delle sanzioni applicabili, si é ritenuto, ad esempio, che il tentativo di conciliazione dell’art. 5 della L. 108/90 non si applichi al licenziamento nullo e che la decadenza per la mancata impugnazione nei sessanta giorni, non colpisca il licenziamento inefficace[53].

Problematica particolare é poi quella della possibilità di convalidare o rinnovare l’atto nullo.

La giurisprudenza prevalente nega che l’atto nullo possa essere convertito in uno valido[54] e che, qualora si abbia un licenziamento nullo nell’area di libera recedibilità o di tutela obbligatoria, questo possa essere convertito in licenziamento ad nutum, trattandosi di nullità assoluta ex art. 1418 c.c., mentre sarebbe possibile rinnovarlo con un nuovo atto valido[55].

Un’isolata giurisprudenza ritiene invece che il licenziamento inefficace sia rinnovabile con un nuovo atto valido, mentre il licenziamento disciplinare nullo non lo sarebbe[56].

In ogni caso, affinché il licenziamento privo di forma possa essere rinnovato, occorre che le ragioni che giustifichino il recesso siano presenti al momento del rinnovo[57].

A causa della natura recettizia dell’atto di recesso, la sua revoca é possibile solo fino al momento in cui venga a conoscenza dell’interessato[58], fermo restando l’obbligo del risarcimento del danno[59].

Di recente la Cassazione, riprendendo una corrente minoritaria della giurisprudenza di merito, ha ipotizzato una distinzione tra inefficacia derivante da mancanza di forma scritta e inefficacia derivante da omessa o tardiva comunicazione dei motivi[60].

Mentre alla mancanza di forma scritta corrisponderebbe sempre l’assoluta inefficacia dell’atto, alla mancata o intempestiva comunicazione dei motivi corrisponderebbe la sanzione per il licenziamento ingiustificato. In pratica, omettendo la comunicazione della motivazione, il datore di lavoro non potrebbe più fare valere la giusta causa o giustificato motivo che sono alla base del licenziamento. Questo sarebbe pertanto ingiustificato e soggetto alla sanzione della reintegrazione, sussistendo i requisiti dimensionali o, in mancanza, a quella della riassunzione o risarcimento del danno[61].

Il concetto di fondo é che l’inefficacia di cui all’art. 2 L.108/90 non avrebbe nessun significato pratico, se non quello di stabilire un ulteriore caso di invalidità del recesso al quale applicare le normali sanzioni (tutela reale o obbligatoria) a secondo dei requisiti dimensionali. Saremmo di fronte ad un “forza espansiva” dell’art. 8 L.604/66 a tutte le ipotesi di recesso invalido alle quali non sia possibile applicare la reintegrazione[62]. L’ipotesi é suffragata dalla estensione generalizzata operata dalla L.108/90 dell’ambito di applicazione della tutela obbligatori e si fonda sul presupposto che la normativa sui licenziamenti costituisca un sistema chiuso “all’interno del quale sono regolate sia le cause di illegittimità ed invalidità dell’atto che le conseguenze sanzionatorie”[63].

La teoria, seppure basata sugli stessi principi che hanno portato la Corte Costituzionale[64] a distinguere tra licenziamento orale e licenziamento disciplinare nullo, appare tuttavia contrastante con il chiaro dettato dell’art. 2 L. 108/90 e, se possono condividersi le spinte razionalizzatrici della giurisprudenza, non altrettanto può dirsi del metodo adottato nell’annotata sentenza

Spingendosi oltre la Cassazione, il Pretore di Parma nell’annotata sentenza, dopo aver accomunato il vizio di forma e l’omessa comunicazione dei motivi seguendo il dettato legislativo, estende lo stesso ragionamento della prima sentenza al licenziamento orale. Il recesso intimato senza la forma scritta non permetterebbe al datore di giustificare il licenziamento analogamente a quanto accade per il licenziamento disciplinare nullo per difetto di procedura ed al licenziamento del quale non siano stati comunicati tempestivamente e correttamente i motivi.

 

6. L’attuale disciplina dei licenziamenti individuali sconta la sua origine frammentaria e disomogenea; norme sorte in periodi storici completamente diversi dall’attuale non riescono ad adattarsi alle mutate esigenze.

In primo luogo, vi é oggi una corrente dottrinale tendente ad eliminare o comunque ridurre fortemente l’ambito di applicazione della tutela reale[65]. In un simile contesto le interpretazioni estensive dell’art. 18 St. e della tutela reale di diritto comune non potrebbero più trovare posto e sarebbero destinate ad una lenta ma inesorabile erosione, in attesa di un intervento legislativo, frenato per ora probabilmente solo dalle resistenze sindacali.

In mancanza di un correttivo legale, il compito di adattare le norme é affidato alla giurisprudenza ordinaria ed a quella della Corte Costituzionale. Proprio l’intervento di quest’ultima ha introdotto un elemento di perturbazione nel sistema che ha provocato gli interventi giurisprudenziali in esame.

Tuttavia, non può non segnalarsi come, mentre l’interpretazione in tema di licenziamento disciplinare non contrasta specificamente con alcuna norma legale ma solo con consolidate pressi giurisprudenziali, l’innovazione in tema di omessa o tardiva comunicazione dei motivi si scontra con il chiaro dettato legislativo che accomuna quest’ultimo al licenziamento orale.

 La sola strada aperta appare, oltre ad un nuovo provvedimento legislativo, quella di un eventuale intervento correttivo della Corte Costituzionale che avalli, o eventualmente smentisca, l’interpretazione delle sentenze annotate, separando due fattispecie accomunate dal legislatore che, effettivamente, appaiono avere poco in comune. Una cosa é chiedere una determinata forma ad un atto per evidenti ragioni di certezza, come chiarito nella stringata motivazione della sentenza della Corte Costituzionale n°398/94; un’altra é imporre la comunicazione dei motivi in un ristrettissimo lasso di tempo che ben potrebbero essere comunicati anche successivamente in un termine comunque più ragionevole per il datore di lavoro.



[1]La sentenza é stata pubblicata anche  in Foro It., 1997, I, 330.

[2]Cass. 8/7/88 n°4521 in Foro It., 1988, I, 3592 ed  in Mass. Giur. Lav., 1988, 689; Cass. S.U. 21/2/84 n°1236 in Foro It., 1984, I, 2552;  in Mass. Giur. Lav., 1984, 338; in Giust. Civ., 1984, I, 1784 con nota di Papaleoni ed in Riv. It. Dir. Lav., 1984, II, 682 nota di Orsi Vergiati 1784. In dottrina Ziliotti, Commento all’art.2 in Galantino, La disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi, Torino 1993, 37; Proto Pisani, Giudizio di legittimità dell’impugnazione dei licenziamenti in Foro It., 1990, V, 367; Papaleoni, Licenziamento disciplinare e nullità di diritto comune in Riv. It. Dir. Lav., 1995, II, 651; Pizzoferrato, Licenziamento disciplinare irrituale e conseguenze sanzionatorie nell’area c.d. di libera recedibilità in Dir. Rel. Ind., 1995, 2, 199; Panariello, Licenziamento disciplinare e piccole imprese: le garanzie formali e la loro rilevanza formale in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1990, 691.

[3]Corte Cost. 23/11/94 n°398 in Resp. Civ., 1995, 516 con nota Nogler; in Riv. It. Dir. Lav. 1995, II, 3 con nota di Pera; in Riv. Crit. Dir. Lav., 1995, 249 con nota di Amato; in Riv. Giur. Lav., 1995, II, 443 con nota di Di Francesco; in Giur. Cost., 1995, 571 con nota di Scartozzi; in Giur. It., 1995, I, 471 con nota di Di Francesco; in Dir. Lav., 1995, II, 253 con nota di Battista; in Dir. Lav., 1994, II, 507 con nota di Mocella; in Mass. Giur. Lav., 1994, 664 con nota di Gramiccia; in Giust. Civ., 1995, I, 2757 con nota di Nannipieri.

[4]Cfr. Cass. 26/4/94 n°3966 in Foro It., 1994, I, 1078; Cass. 18/5/94 n°4844 in Foro It., 1994, I, 2076; Cass. 23/11/92 n°12486 in Riv. It. Dir. Lav., 1993, II, 357.

[5]Cass. 23/12/1996 n°11497 in Foro It. 1997, I, 461: in Guida al Diritto 29/3/97, p.36; in Mass.Giur.Lav., 1997, 283 con nota di Pelaggi. Contra, Cass. 1/3/96 n°1596 in Foro It., Mass. 1996, 198.

[6] Cass. S.U. 18/10/82 n°5394 in Foro It., 1983, I, 2206; in Giust. Civ., 1983, I, 869; in Or. Giur. Lav. 1983, 1213; Cass. S.U. 27/10/83 n°6068 in Giust. Civ., 1984, I, 1250; Cass. 12/3/83 n°1296 in Not. Giur. Lav., 1982, 226. In dottrina Mazziotti, L’estinzione del rapporto di lavoro: il recesso in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, Torino 1991, 337.

[7]Sul parallelismo di tutele inteso come coesistenza della disciplina della L.604/66 accanto a quella dell’art.18 L.300/70 vedi Corte Cost. 6/3/74 n°55 in Foro It., 1974, I, 959 con nota di Pera; Corte Cost. 8/7/75 n°189 ivi, 1975, I, 1578.

[8]Trattasi delle medesime argomentazioni delle precedenti sentenze in materia: Trib. Torino 22/12/93, Burdin c/Massara in Dir. Prat. Lav., 1994, 269.

[9]Per una rassegna Mocella, La Corte Costituzionale e il regime sanzionatorio del licenziamento orale in Dir. Lav., 1994, II, 507.

[10]Mazziotti, Licenziamenti illegittimi e provvedimenti disciplinari, in Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro - Torino 16-17 maggio 1987, Milano Giuffrè 1988, 162.

[11]Cass. S.U. 2/3/87 n. 2180, in Giust. Civ., 1986, I, 1055.

[12]Cass. 4542/89, in Not. Giur. Lav., 1989, 706; in Mass. Giur. Lav., 1989, 640; in Or. Giur. Lav., 1990, 154; Cass. 1/8/91 n. 8483, in Dir. Prat. Lav., 1991, 2793; Cass. S.U. 21/2/84 n. 1236, cit..

[13]Mazziotti, Forma e procedura dei licenziamenti in Carinci, La disciplina dei licenziamenti dopo le leggi 108/1990 e 223/1991, Napoli 1991, 72; Napoletano, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, Napoli 1990, 97; Ballestrero, I licenziamenti, Milano 1975, 95.

[14]Gianpiccolo, Dichiarazione recettizia, in Enciclopedia del diritto, XII, Giuffrè, Milano 1964, 389; Giorgianni, Forma degli atti (diritto privato), ivi, XVII, 1968, Giuffrè, Milano 1968, 993.

[15]L’intimazione del recesso, quale atto unilaterale recettizio, produce effetto dal momento in cui giunge a conoscenza, effettiva o legalmente presunta, del lavoratore. Scagliola, Le dichiarazioni dell’imprenditore e del prestatore di lavoro nei licenziamenti individuali, Milano 1974, 14. In giurisprudenza Cass. 28/5/90 n°4929 in Mass. Giur. Lav. 1990, 1016. Sulla presunzione legale ex art. 1335 c.c. vedi Cass. 2/7/88 n°4394 in Not. Giur. Lav. 1988, 524; Cass. S.U. 18/10/82 n°5394 cit.. Napoletano, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali cit., 97; De Luca Tamajo, Disciplina dei licenziamenti individuali in Le nuove leggi civili commentate, a cura di De Luca Tamajo e D’Antona, 1991, 180-1; Balletti, Riassunzione o risarcimento del danno in I licenziamenti individuali a cura di Ferraro, Napoli 1990, 87. E’ stata pertanto ritenuta valida la comunicazione del recesso a mezzo telex (Cass. 11/4/80 n°2319 in Not. Giur. Lav. 1980, 500) o consegnata a mano da incaricati del datore di lavoro, non essendo necessario l’utilizzo del servizio postale (Cass. 1/6/88 n°3716 in Mass. Giur. Lav., 1988, 472).

[16]Mazziotti, Forma e procedura, cit., 75.

[17] Cass. 1/8/91 n°8483 cit.; Cass. S.U. 21/2/84 n°1236 cit.

[18] Cass.23/12/96 n°11497 cit.

[19]Il concetto é espresso già da Cass. 26/4/94 n°3966 cit.; Gramiccia, Interferenza dubbia tra tutela reale e obbligatoria in Guida Normativa 12/12/94, 27.

[20]Pera, La cessazione del rapporto di lavoro, in Enc. Giur. Lav. a cura di Mazzoni, V, Cedam, Padova 1980, 149.

[21]Cass. 1/2/92 n°1037 in Dir. Prat. Lav., 1992, 893 con nota di D’Avossa; Cass. S.U. 18/5/94 n°4864 in Giust. Civ., 1994, I, 2481.

[22]Tazzi, Sul licenziamento disciplinare nelle piccole imprese in Dir. Lav., 1994, II, 435; Marino, Dall’inefficacia all’illegittimità del licenziamento disciplinare viziato nella procedura: una svolta di rilievo in Riv. It. Dir. Lav., 1993, II, 358; Papaleoni, La fine del libero licenziamento, Milano 1991, 128.

[23] Cass.23/12/96 n°11497 cit.

[24]In questi casi parte della dottrina e giurisprudenza ritiene esservi tuttavia una mera sospensione e non un’invalidità del recesso.

[25] Sulla nullità del licenziamento in caso di comunicazione orale dei motivi Cfr. Cass. S.U. 18/10/82 n°5394 cit.; Cass. 3/11/77 n°4687 in Riv. Giur. Lav., 1978, II, 939.

[26]Cass. 17/4/85 n°2558  in Rep. Utet, 1985, 2462; Cass. 21/5/91 n°5486  ivi, 1991.

[27]Ziliotti, op. cit., 20. Sulla possibilità per il datore di lavoro di comunicare i motivi contestualmente al licenziamento Cass. 18/4/84 n°2517 in Mass. Utet, 1984, 2475.

[28]Cass. 21/6/79 n°3488 in Giur. It. 1980, I, 1, 505; Cass. 22/1/66 n°557 in Foro It. 1966, I, 1762. In dottrina Pera, La cessazione del rapporto di lavoro, cit., 149; Mazziotti, Forma e procedura, cit., 73; Ziliotti, op. cit., 21. Per la risarcibilità del danno nel caso di comunicazione di motivazione ingiuriosa Cass. 22/1/66 n°557 cit.; Cass. 29/4/81 n°2637 Foro It., 1981, I, 1557; Pret. Parma 13/11/95 Mazza c/Intalpast Srl in Lav. Giur., 1996, 476.

[29]Napoletano, La nuova disciplina, cit., 101; Balletti, op. cit., 94; Ziliotti, op. cit., 21.

[30]Cass. 19/2/88 n°1762 in Riv. It. Dir. Lav. 1988, II, 798; Cass. 29/10/85 n°5308 in Not. Giur. Lav. 1986, 120.

[31]Ziliotti, op. cit., 21; Mazziotti, op. ult. cit., 76.

[32] Cass. 21/11/89 n°5040 in Mass. Giur. Lav., 1990, 54; in Not. Giur. Lav., 1990, 403.

[33]Corte Cost. 6/3/74 n. 55 cit.; Galantino, Diritto del Lavoro, Torino 1991, 382; Ballestrero, I licenziamenti, cit., 276; Genoviva, I licenziamenti, Torino 1988, 20; Roccella, I licenziamenti nella piccola impresa in Dir. Prat. Lav., 1990, 666; Neri Bernardi, I licenziamenti individuali e indennità risarcitoria in caso di tutela obbligatoria del posto di lavoro in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1993, 917; Bertozzi Sambucini, Piccola impresa, nuove norme per i licenziamenti in Dir. Prat. Lav 1990, Inserto n°25..

[34]Cfr. Cass. 17/4/85 n. 2558 cit.; Cass. 29/1/85 n. 519, in Giust. Civ. 1985, I, 2788; in dottrina Niccolai, Gli effetti del licenziamento individuale illegittimo in Lav. Dir., 1982, 119.

[35] Perlingieri, Forma degli atti e formalismo degli interpreti, Napoli 1987, 84; Ferraro, Formalismo giuridico e diritto del lavoro in Dir. Rel. Ind., 1990, 544.

[36] Cass. 9/10/85 n°4902 in Lavoro 80, 1986, 655.

[37]Per una panoramica del licenziamento per fatti concludenti vedi Fidanza, Considerazioni in tema di licenziamento per fatti concludenti, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ. 1974, 230; D’Allura, Note in tema di cessazione del rapporto di lavoro per comportamento concludente, in Dir. Lav. 1992, I, 165; Smuraglia, Il comportamento concludente nel rapporto di lavoro, Milano 1963; Natoli, Licenziamento implicito?, in Riv. Giur. Lav. 1955, II, 106. Ad esempio, non é stato considerato sufficiente l’inizio della procedura  conciliativa: Cass. 28/3/97 n°2835 in Guida al Diritto, 1997, 20, 43; Viceversa é stato ritenuto sufficiente la consegna al lavoratore dell’atto scritto di liquidazione delle spettanze di fine rapporto, peraltro di fatto già interrotto: Cass. 17/6/96 n°6900 in Lav. Giur., 1996, 336.

[38]Ziliotti, op. cit., 17 ss.; Bollani, Forma scritta e licenziamento, in Riv. It. Dir. Lav., 1996, 623

[39] Giorgianni, op. cit., 1001; Sacco, La forma in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, X, Torino, 1982, 217. Sulla possibilità di ratificare l’atto compiuto dal rappresentante senza poteri Cass. 25/3/87 n°2912 in Dir. Prat. Lav., 1987, 2362; Cass. 13/2/87 n°1594 in Giust. Civ., 1987, I, 1066. Analogamente, non é stata ritenuta sufficiente l’impugnazione del licenziamento a mezzo telegramma non sottoscritto in originale: Cass. 26/7/96 n°6749 in Lav. Giur., 1997, 164.

[40]Tullini, La cd. tutela reale di diritto comune, in Quad. Dir. Lav. Rel. Ind., n. 8, 1990, 103 ss..

[41] Cass. S.U. 21/2/84 n° 1236 in Mass.Giur.Lav., 1984, 338; Cass. 23/11/89 n°5040 ivi, 1990, 54; Cass. 3/1/86 n°23 in Dir.Prat.Lav., 1986, 1029; Cass. 18/10/82 n°5394 in Not.Giur.Lav., 1982, 906; Cass. 1/8/91 n°8483, ivi, 1991, 243.

[42]Per alcuni autori tuttavia l’art. 18 è norma omnicomprensiva e la sanzione risarcitoria ivi prevista esclude la tutela reale di diritto comune di tipo retributivo. Vedi Mazziotti, Licenziamenti illegittimi e provvedimenti disciplinari, cit., 116. Tuttavia la prevalente dottrina è di diverso avviso: cfr. Tullini, op. cit., 103. D’altronde, la dizione dell’art. 18 sembra restringere il proprio ambito applicativo alle fattispecie rientranti nei limiti dimensionali previsti dall’art. 35 L. 300/70.

[43]Corte Cost. 22/1/87 n. 17, in Giur. Cost., 1987, I, 118; in Riv. It. Dir. Lav., 1987, II, 431; in Dir. Lav., 1987, II, 130.

[44] Mazziotti, Forma e procedura cit., 71; Ziliotti, op. cit., 22.

[45] Per la giurisprudenza anteriore vedi, oltre alle sentenze della nota 41, Cass. 8/7/88 n°4521 cit.; Cass. 3/1/86 n°23 in Dir. Prat. Lav., 1986, 1029; in Riv. Giur. Lav., 1986, 693; Cass. 2/2/84 n°1236 cit.; Cass. 1/3/96 n°1596 in Mass.Giur.Lav., 1996, 370; Cass. 2/5/96 n°3966 cit.; Cass.23/11/96 n°10697 in Mass.Giur.Lav., 1997, 9. Per la giurisprudnza di merito Pret. Milano 12/10/93 in Dir. Prat. Lav., 1994, 53; Pret. Foggia 14/7/92 ivi, 1992, 3343.

[46] Genoviva, op. cit., 83; Angiello, Sulle conseguenze dei licenziamenti invalidi ed inefficaci in Dir. Lav., 1972, I, 206; Papaleoni, La fine del libero licenziamento cit.; Balletti, op. cit., 95; Ziliotti, op. cit., 25; De Luca Tamajo, op. cit., 183.

[47]Cass. 8/7/88 n°4521 cit.; Cass. 3/1/86 n°23 cit.; Cass. S.U. 21/2/84 n. 1236 cit.; Cass. S.U. 18/10/82 n. 5394, cit.; Cass. 3/1/76 n. 4017, in Mass. Giur. Lav., 1977, 214; Cass. 3/11/77 n. 4687, in Mass. Giur. Lav., 1978, 345; Cass. 22/4/80 n. 2356, in Not. Giur. Lav., 1980, 283.

[48] Da ultimo Cass 29/11/96 n°10697 in Mass. Utet, 1996, 947.; Pelaggi, L’inefficacia del recesso per vizi di forma deve essere punita come l’assenza di giusta causa in Guida al Diritto, 29/3/97, 12, 41.

[49]Genoviva, op. cit., 83; Angiello, op. cit., 206; Papaleoni, La fine del libero licenziamento, cit., 229; Balletti, op. cit., 95; De Luca Tamajo, Disciplina dei licenziamenti individuali, cit., 187; Ziliotti, op. cit., 26.

[50]Gramiccia, op. cit., 25.In giurisprudenza Cass.5/8/96 n°7176 in Mass.Giur.Lav., 1996, 779.

[51]De Luca Tamajo, Disciplina dei licenziamenti individuali cit.,, 184. La decurtazione dell’aliundem perceptum viene da alcuni autori considerata possibile nella tutela reale di diritto comune e non nel caso di applicazione dell’art. 18 Statuto, dopo la novella dell’art. 1 L.108/90. Cfr. Mazziotti, Diritto del lavoro, 1992, 520.

[52]Cass. 8/11/83 n°6610 in Mass. Giur. Lav., 1987, 340; Trib. Milano, 9/2/94 in Foro It., Rep., 1995, voce Lavoro (rapporto), 1588; in Riv. Crit. Dir. Lav., 1995, 220 con nota di Guariso; Pret. Milano 30/4/94 in Foro It., Rep. 1994, voce cit., 1505; Trib. Torino 22/12/93 in Dir. Prat. Lav., 1994, 269; Pret. Milano 12/11/91 in Or. Giur. Lav., 1991, 921; Pret. Foggia 14/7/92 in Dir. Prat. Lav., 1992, 3343; Pret. Macerata 8/2/91 in Foro It., 1992, I, 276. Per la prevalenza del licenziamento disciplinare su quello orale Pret. Parma 8/4/93 in Dir. Lav., 1994, II, 430 con nota di Tazzi. Cfr. Pera, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali in Riv. It. Dir. Lav. 1990, I, 251 ss.; Mazziotti, I licenziamenti, Torino 1991, 72; De Luca Tamajo, Disciplina dei licenziamenti individuali  cit., 183.

[53] Sulla necessità di impugnare entro 60 giorni il licenziamento la maggiore dottrina e la giurisprudenza sono da tempo orientate in senso affermativo: Cass. 18/7/91 n°8010 in Riv. It. Dir. Lav., 1992, II, 1025; Cass. S.U. 2/3/87 n°2180 cit.; Cass. S.U. 1236/84 cit.; Cass. S.U. 19/10/82 n°5394 cit.. In dottrina Cerretelli, Il licenziamento individuale, EDS 1991, 227. Argomento decisivo in tal senso lo si può oggi ricevere dall’art. 5 comma terzo della L.223/91 che, prevedendo l’onere di impugnativa nei 60 giorni per i licenziamenti collettivi, esclude esplicitamente l’ipotesi del licenziamento orale.

[54]Cass. 5/2/93 n°1433 in Dir. Prat. Lav. 1993, 953, con nota di D’Avossa.

[55]Cass. 9/2/88 n° 1377 in Dir. Prat. Lav., 1988, 863. In dottrina, Galantino, Il licenziamento disciplinare ed il recesso ad nutum, ivi, 1990, 2976. Contra Cass. 16/4/94 n°3633 ivi, 1994, 973; Cass. 16/10/86 n°6673 in Giur. Comm., 1987, I, 330; in Not. Giur. Lav., 1987, 181; in Dir. Prat. Lav., 1987, 1370; Cass. 24/3/88 n°2563 in Riv. Giur. Lav. 1989, II, 125. In favore della conversione Cass. 2/2/87 n°819 in Mass. Giur. Lav., 1989, 495; Cass. 11/2/89 n°851, ivi, 205; Cass. 12/5/90 n°4079 in Not. Giur. Lav. 1990, 566; Cass. 10/4/90 n°3034 in Dir. Prat. Lav., 1990, 2145. In dottrina Papaleoni, Licenziamento ad nutum ontologicamente disciplinare: nullità o conversione? in Giust. Civ. 1990, I, 2676; Niccolai, La c.d. tutela obbligatoria fra revoca del licenziamento, riassunzione ed indennità in Mass. Giur. Lav., 1995, 736.

[56]Cass. 21/11/90 n°11218 in Riv. It. Dir. Lav. 1991, II, 449, con nota di Papaleoni, Ancora sulla reiterabilità del licenziamento disciplinare.

[57]Mazziotti, Forma e procedura, cit, 75. Sui principi dell’immutabilità, immediatezza e specificità dei motivi vedi Cass. 17/2/88 n°1700 in Dir. Prat. Lav., 1988, 2073; Cass. 16/10/86 n°6673 cit.; Cass. 23/10/85 n°5304 in Rep. Utet 1985, 2469; Cass. 18/4/84 n°2517 cit.; Cass. 35/5/83 n°3084 in Not. Giur. Lav., 1983, 602; Cass. 10/5/95 n°5093 in Lav. Giur., 1996, 82; Cass. 13/8/96 n°7525 ivi, 1997, 163. Mazziotti, Licenziamenti illegittimi, cit., 113; Balletti, op. cit., 97.

[58] Cass. 26//89 n°465 in Or. Giur. Lav., 1989, 753.

[59] Cass. S.U. 23/4/87 n°3957 in Mass. Giur. Lav., 1987, 1642 con nota di Mannaccio; Cass. 12/10/93 n°10085 in Dir. Prat. Lav., 1993, 3228; in Riv. It. Dir. Lav., 1994, II, 551 con nota di Benvenuti. Contra Cass. 4/10/95 n°10408 in Lav. Giur., 1996, 429.

[60] Cass. 23/12/96 n°11497 cit.. In precedenza, in dottrina Santoro Passarelli, Nozioni di diritto del lavoro, Napoli 1991, 259.

[61]Cass. 23/12/96 n°11497 in Guida al Diritto 1997, 12, 36 con nota adesiva di A. Pelaggi.

[62] Marino, Licenziamento viziato nella forma e tutela obbligatoria in Riv. It. Dir. Lav., 1994, II, 545.

[63]Pret. Parma in epigrafe; contra Di Majo, I licenziamenti illegittimi tra diritto comune e diritto speciale in Riv. Giur. Lav., 1974, I, 272; Ballestrero, I licenziamenti, cit., 104; Romagnoli, Sub. art. 18 in Ghezzi, Mancini, Montuschi Romagnoli, Statuto dei diritti dei lavoratori, Bologna Roma, 1972, 95; Tullini, op. cit., 104; contra Pera, La cessazione del rapporto di lavoro, cit., 178; Dell’Olio, Licenziamento, reintegrazione, retribuzione, risarcimento in Mass. Giur. Lav., 1979, 535.

[64]Corte Cost. 398/94, cit.

[65]Ichino, Il lavoro e il mercato, Milano 1996, p.10 ed in particolare p.105 ss.

 

Torna all'indice degli articoli

Torna al menu principale