Le Sezioni Unite risolvono il contrasto sulle conseguenze del licenziamento inefficace nell' area di stabilità obbligatoria

 

Con la sentenza in epigrafe le Sezioni Unite risolvono il contrasto giurisprudenziale evidenziatosi anche in seno alla Suprema Corte relativamente alle conseguenze della mancata o intempestiva comunicazione dei motivi nell'ipotesi di licenziamento individuale soggetto al regime di stabilità obbligatoria[1]. In contrasto con l'orientamento prevalente, che riteneva tale ipotesi riconducibile alla cd. tutela reale di diritto comune, una recente pronuncia della Cassazione aveva riproposto la tesi dell'applicabilità dell'art. 8 l. 604/66, sulla scorta delle analoghe conclusioni cui prima la Suprema Corte poi la stessa Corte Costituzionale erano giunte in tema di licenziamento disciplinare[2]. Neppure la l.108/90, forse anche per la fretta con la quale era stata emanata in vista della vicina scadenza referendaria, era riuscita a risolvere i dubbi già evidenziati in precedenza dalla più attenta dottrina e giurisprudenza sulle conseguenze del licenziamento inefficace in area di tutela debole.

Con riferimento alla possibilità di distinguere tra licenziamento orale e licenziamento privo di valida comunicazione dei motivi, parte della dottrina aveva rilevato come l'inefficacia in senso stretto si avrebbe solo quando difetti un elemento esterno all’atto stesso, come la forma; mancando invece il contenuto l’atto sarebbe nullo[3]. Tuttavia, poiché negli atti unilaterali recettizi la forma ed il contenuto coincidono, non vi sarebbe alcuna differenza tra nullità ed inefficacia[4].

L'inefficacia propriamente detta conseguirebbe all’omessa comunicazione dei motivi, dove il difetto di forma riguarda un elemento esterno, vale a dire la giusta causa o il giustificato motivo, che non è costitutivo del negozio ma soltanto un requisito per la sua validità[5].

L’opinione diffusa fino ad oggi aveva considerato l’inefficacia dell’art. 2 in senso lato, cioè di inidoneità dell’atto a produrre qualunque effetto a causa della mancanza di un requisito essenziale[6].

Nel caso dei licenziamenti, la sanzione prevista dall'ordinamento nell’ipotesi di mancanza di forma è testualmente quella dell'inefficacia che, unitamente alla nullità e all'annullabilità, rientra nella più ampia categoria dell'invalidità. L'inefficacia, tuttavia, può assumere due diversi significati: o quello per cui l'atto non produce effetti ma è comunque valido[7], oppure quello per cui esso è invalido e quindi non produce effetti[8], senza alcuna differenza pratica con la nullità[9].

Va ricordato che gli atti unilaterali recettizi, come il licenziamento, producono effetti nel momento in cui giungono a conoscenza del destinatario; per la validità dell'atto occorre dunque che questo sia dichiarato ed indirizzato correttamente.

Ora, nei casi in cui la legge impone una determinata modalità di comunicazione, la conoscenza comunque avuta dell'atto da parte del destinatario non può rilevare[10] e la forma diviene un elemento della fattispecie la cui mancanza provoca l'invalidità dell'atto[11]. Il recesso, in particolare, sarebbe composto da una manifestazione di volontà del datore, dalla forma per estrinsecarlo e dalla comunicazione della volontà, per cui non sarebbe valido un licenziamento che difettasse di uno di tali requisiti[12].

Si è invece  sostenuto che il licenziamento non sarebbe un atto tipico a forma scritta ma, purché la sua comunicazione sia certa, potrebbe risultare anche in forme atipiche, ancorché univoche[13].

Per quanto attiene alle conseguenze della mancanza di forma scritta del licenziamento, esse non sono controverse nell'ipotesi in cui il datore è soggetto al regime di stabilità reale, applicandosi certamente quest'ultimo. Nel caso in cui invece manchino i presupposti per l'applicazione dell'art. 18 della L.300/70, la prevalente dottrina e giurisprudenza riteneva applicarsi la cosiddetta tutela reale di diritto comune, mentre una autorevole ma minoritaria corrente di pensiero propendeva per l'applicazione dell'art. 8 dellal.604/66[14].

Tale tentativo giurisprudenziale viene oggi smentito dalle Sezioni Unite le quali, preferendo l'interpretazione letterale della norma, ritengono che anche dopo la riforma della l.108/90 le conseguenze della mancanza di forma e quelle dell'omessa comunicazione dei motivi siano inequivocabilmente accomunate dalla legge.

La sentenza non manca di rifarsi anche ai lavori parlamentari relativi all'emanazione della l.108/90 che evidenziano come le proposte tese a distinguere forma e motivazione del licenziamento non siano state inserite nel testo definitivo.

Questa prospettazione non contrasta neppure con la diversa interpretazione data oggi all'art. 7 l.300/70, in quanto in quel caso la sanzione della nullità, prevalente fino agli anni 80', era frutto di un'interpretazione giurisprudenziale e non del dato normativo[15].

Accomunando le due ipotesi previste dall'art. 2 l.108/90, la soluzione restrittiva dell'applicazione dell'art.8 l.604/66 perde moltissimo credito, contrastando evidentemente con il dettato normativo. Tranne poche sentenze di merito, infatti, la giurisprudenza  e la dottrina non avevano mai posto in discussione che al licenziamento orale in regime di stabilità obbligatoria si applicasse (almeno) la tutela reale di diritto comune[16]. Conseguentemente, unificando le conseguenze, si sbarra altresì la strada a tentativi di distinzioni tra le due ipotesi.

Passando poi ad individuare le conseguenze della mancata o tardiva comunicazione dei motivi, e quindi anche del licenziamento orale, la Corte esamina attentamente l'evoluzione normativa dell'istituto, con particolare riferimento ai lavori parlamentari. Si tratta di capire se le  conseguenze del difetto di forma e dei motivi debbano farsi rientrare nel sistema della tutela reale od obbligatoria  o se siano riconducibili all'istituto dell'inefficacia di diritto civile e se quindi debbano prescindere dalla verifica dell'esistenza o meno della giusta causa o giustificato motivo di licenziamento.

Nel primo caso, verrebbe posto l'accento non tanto sul modo in cui il licenziamento viene posto in essere, quanto sull'inadeguatezza dell'atto a risolvere il rapporto, considerando l'uso del termine inefficacia del tutto improprio.

Anche l'individuazione della ratio della norma  del 1966 costituisce argomento a favore della seconda tesi, accolta ora dalle Sezioni Unite. La prima normativa  organica limitatrice dei licenziamenti, infatti, aveva avuto come scopo essenziale quello di permettere al giudice il sindacato sulle scelte del datore di lavoro in aziende con un certo numero di dipendenti, ma detto scopo non poteva essere efficacemente raggiunto se il recesso non fosse stato intimato per iscritto.

Quindi la Corte ha buon gioco nel respingere le tesi dottrinarie, che avevano trovato qualche eco nella giurisprudenza di merito e da ultimo anche di legittimità, per secondo le quali il licenziamento viziato nella forma e  soprattutto nella comunicazione dei motivi potesse essere ricondotto, come quello disciplinare, a quello ingiustificato con conseguente applicazione del regime reale o obbligatorio a seconda delle dimensioni aziendali.

Sulla scorta di tali argomentazioni, anche la prospettata questione di costituzionalità per cui le conseguenze del difetto di forma o comunicazioni dei motivi per le imprese minori sono più gravi della mancanza di giusta causa o giustificato motivo, perde rilievo, trattandosi di situazioni , e quindi di sanzioni, strutturalmente diverse tra loro.

Per inciso, la Corte conferma anche l'orientamento consolidato per cui il licenziamento orale (o in generale quello inefficace) non deve essere impugnato nei 60 giorni ma nell'ordinario termine prescrizionale[17].

A questo punto, esclusa la possibilità di ricondurre le conseguenze dell'inefficacia del licenziamento al sistema dell'art. 8 l.604/66, l'unica soluzione possibile è quella di ricorrere ai principi generali per l'inadempimento nei contratti continuativi a prestazione corrispettiva. Qui la Corte richiama il recente orientamento emerso relativamente alla retribuibilità degli intervalli non lavorati in caso di pluralità di contratti a termine in cui sia risultato illegittima l'apposizione del termine e quindi il contratto sia stato considerato a tempo indeterminato fin dall'origine. Le Sezioni Unite avevano recentemente risolto il problema in senso negativo, sul presupposto che l'erogazione della retribuzione in assenza di prestazione costituisca un'eccezione che deve essere oggetto di apposita previsione di legge o contratto (ad esempio, ferie, malattia, etc.). Nei casi in cui la prestazione è sospesa, manca il sinallagma funzionale ma restano in vita gli altri obblighi connessi all'esistenza in vita del rapporto, sussistendo il sinallagma genetico[18].

Tale orientamento viene analogicamente esteso al licenziamento inefficace per cui il lavoratore non avrà diritto automaticamente alle retribuzioni perdute ma al solo risarcimento del danno subito, che sarà solo eventualmente, e non automaticamente ex art. 18, commisurato alle retribuzioni.

La soluzione adottata dalla Corte, pur non in contrasto con il regime della tutela reale di diritto comune elaborata dalla dottrina e giurisprudenza prevalenti fino ad oggi, comporta tuttavia notevoli differenze.

Già in precedenza si erano evidenziate alcune importanti distinzioni tra la tutela reale di diritto comune e l'art. 18 l.300/70[19].

A ciò va aggiunto che il risarcimento del danno deve essere provato dal lavoratore, su cui grava l'onere di dimostrare che il danno subito è corrispondente alle retribuzioni perdute, eventualmente anche facendo ricorso a presunzioni. Il datore di lavoro, d'altronde, potrà provare che l'inadempimento è dovuto a cause a lui non imputabili o imputabili al creditore ex art. 1218 cc , come ad esempio nel caso in cui il lavoratore abbia rifiutato di riprendere servizio. Dovrà altresì essere sottratto l'aliunde perceptum mentre il comportamento del creditore che ritardi di far valere il proprio diritto potrà comportare una riduzione dell'ammontare del risarcimento ex art. 1227 cc o addirittura potrà essere interpretato come acquiescenza tacita al recesso.

In conclusione, il rapporto resterà comunque in vigore essendo il licenziamento tamquam non esset e quindi ai fini dell'anzianità e di ogni altro fine che non sia quello del risarcimento del danno dovrà considerarsi  come mai interrotto. Per la quantificazione del danno, invece, si dovrà tenere conto delle regole ordinarie sull'inadempimento delle obbligazioni.

Si ha l'impressione che con la sentenza in oggetto la Suprema Corte abbia voluto lasciare aperto per le aziende di minori dimensioni uno spiraglio che permetta di evitare le gravi conseguenze del licenziamento inefficace, soprattutto quando la pronuncia intervenga dopo molto tempo, con effetti dirompenti sull'economia della piccola impresa. Pur non rinnegando formalmente la tesi della nullità di diritto comune, la Corte sembra indicare al giudice di merito le varie possibilità concesse dall'ordinamento per mitigarne le conseguenze, salvaguardando soprattutto le ipotesi in cui il datore di lavoro abbia tenuto un comportamento corretto o quello in cui il lavoratore tenti di ricavare ingiustificati vantaggi.

Si tratta ora di vedere come si orienterà la giurisprudenza nell'applicazione dell'importante principio enunciato dalla Corte e come le singole ipotesi saranno risolte volta per  volta.

 

Marco Mocella



[1] Cass. S.U. 27/7/99 n°508 in Guida al Diritto, 1999, 32, 30 ed in Mass. Giur. Lav., 1999,  1061 con nota di Papaleoni; in Foro It., 1999, 2818. .

[2] Cass. 23/12/96 n°11497 in Foro It., 1997, I, 461; in Giust. Civ., 1997, I, 933; in Mass. Giur. Lav., 1997, 283; in Not. Giur. Lav.,  1997, 64; in Dir. Lav., 1997, II, 306. Per l'applicabilità dell'art. 8, Cass.23/11/92 n°12486 in Riv. It. Dir. Lav., 1993, II, 355; Pret. Milano 22/11/93 ivi, 1994, II, 545;  Trib. Milano 9/2/94 in Lav. Giur. 1994, 913 con nota di D'avossa; Pret. Milano 12/11/91 in Or. Giur. Lav., 1991, 921; Pret. Parma 18/6/96 in Foro It., 1997, I, 330; Trib. Milano, 9/4/97 in Or. Giur. Lav., 1997, 450. In dottrina Pera, Le novità nella disciplina dei licenziamenti, Padova 1993, 68 ss; Papaleoni, Licenziamento disciplinare e nullità di diritto comune in Riv. It. Dir. Lav., 1995, II, 653; Marino, Il vizio di forma del licenziamento viziato nella procedura: una svolta di rilievo, ivi, 1993, II, 357ss; Pera, Ancora sul vizio di forma nella zona della tutela debole contro il licenziamento in Giust. Civ., 1997, I, 938.

Per il più recente orientamento in materia di vizi procedimentali del licenziamento disciplinare in dottrina Montuschi, Il licenziamento disciplinare secondo il diritto vivente in Riv. It. Dir. Lav., 1996, I, 28; Magnani, Il licenziamento disciplinare e i rimedi al recesso illegittimo in Riv. It. Dir. Lav., 1996, I, 55; Tazzi, Sul licenziamento disciplinare nelle piccole imprese in Dir. Lav., 1993, II, 434. In giurisprudenza Corte Cost. 23/11/94 n°398 in Resp. Civ., 1995, 516 con nota Nogler; in Riv. It. Dir. Lav. 1995, II, 3 con nota di Pera; in Riv. Crit. Dir. Lav., 1995, 249 con nota di Amato; in Riv. Giur. Lav., 1995, II, 443 con nota di Di Francesco; in Giur. Cost., 1995, 571 con nota di Scartozzi; in Giur. It., 1995, I, 471 con nota di Di Francesco; in Dir. Lav., 1995, II, 253 con nota di Battista; in Dir. Lav., 1994, II, 507 con nota di Mocella; in Mass. Giur. Lav., 1994, 664 con nota di Gramiccia; in Giust. Civ., 1995, I, 2757 con nota di Nannipieri.; Cass. 20/5/94 n°4938 in Rep. Foro It., voce Lavoro (rapporto), 1994, 1511. Vedi infra  nota 15.

Per la prevalente tesi della nullità di diritto comune Cass. S.U. 21/2/84 n°1236 in Foro It., 1984, I, 2552; Cass. 8/7/88 n°4521 ivi, 1988, I, 3592; Cass. 22/1/91 n°542 ivi, 1992, 1142 con nota di De Luca; Cass. 3/6/92 n°6741 in Giust. Civ., 1993, I, 81 con nota di Papaleoni; Cass. 4/3/92 n°2596 ivi, 1993, I, 840 con nota di Proietti; Cass. 7/9/93 n°9390 in Mass. Giur. Lav., 1993, 671; Cass. 23/6/97 n°5596 in Mass. Utet, 1997, 546; Cass. 28/10/97 n°10624 in Guida Dir., 1997, 44, 72 (per gli obblighi contributivi); Cass. 20/2/99 n°1444 in Guida Lav., 1999, 14, 54. Per la giurisprudenza di merito Pret. Milano 12/10/93 Barbieri/Trust Srl in Lav. Giur., 1994, 53; Pret. Foggia, 14/7/92 in Dir. Prat. Lav., 1992, 49, 3343; Pret. Macerata, 8/2/91 in Foro It., 1992, I, 276. Per l'applicazione della tutela di diritto comune in ipotesi di nullità diverse dal licenziamento orale Cass. 4/2/92 n°1159 in Giust. Civ., 1992, I, 2123 (sul licenziamento per causa di matrimonio); Cass. 9/9/95 n°9549 in Not. Giur. Lav., 1995, 769 (sul licenziamento nel periodo di interdizione).

[3] Mazziotti, Forma e procedura dei licenziamenti in Carinci, La disciplina dei licenziamenti dopo le leggi 108/1990 e 223/1991, Napoli 1991, 72; Napoletano, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, Napoli 1990, 97; Ballestrero, I licenziamenti, Milano 1975, 95; Gianpiccolo, Dichiarazione recettizia, in Enciclopedia del diritto, XII, Giuffrè, Milano 1964, 389; Giorgianni, Forma degli atti (diritto privato), ivi, XVII, 1968, Giuffrè, Milano 1968, 993; Liserre, Forma degli atti (diritto civile) ivi, XIV, 1989; Ferri, Forma e contenuto degli atti giuridici in Riv. Dir. Comm., 1990, I, 1; Scalisi, Inefficacia  in Enciclopedia del diritto, 1971, 325; Mirabelli, Dei contratti in generale in Commentario Codice civile, Torino 1958, 371; Sacco, Il contratto, Torino 1993; Macione, Appunti sulla forma degli atti unilaterali. Sul principio di libertà delle forme in Studi in onore di M. Giorgianni, Napoli, 1988.

[4] L’intimazione del recesso, quale atto unilaterale recettizio, produce effetto dal momento in cui giunge a conoscenza, effettiva o legalmente presunta, del lavoratore. Scagliola, Le dichiarazioni dell’imprenditore e del prestatore di lavoro nei licenziamenti individuali, Milano 1974, 14. In giurisprudenza Cass. 28/5/90 n°4929 in Mass. Giur. Lav., 1990, 1016. Sulla presunzione legale ex art. 1335 c.c. vedi Cass. 2/7/88 n°4394 in Not. Giur. Lav., 1988, 524; Cass. S.U. 18/10/82 n°5394 in Foro It., 1983, I, 2206; Giur. It., 1983, I, 1, 1142; Giust. Civ., 1983, I, 869 con nota di Vallebona; Mass. Giur. Lav., 1982, 806; Not. Giur. Lav., 1983, 73; Or. Giur. Lav., 1983, 1213. Napoletano, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali cit., 97; De Luca Tamajo, Disciplina dei licenziamenti individuali in Le nuove leggi civili commentate, a cura di De Luca Tamajo e D’Antona, 1991, 180-1; Balletti, Riassunzione o risarcimento del danno in I licenziamenti individuali a cura di Ferraro, Napoli 1990, 87. E’ stata pertanto ritenuta valida la comunicazione del recesso a mezzo telex (Cass. 11/4/80 n°2319 in Not. Giur. Lav. 1980, 500) o consegnata a mano da incaricati del datore di lavoro, non essendo necessario l’utilizzo del servizio postale (Cass. 1/6/88 n°3716 in Mass. Giur. Lav., 1988, 472).

[5] Mazziotti, Forma e procedura, cit., 75.

[6] Cass. 1/8/91 n°8483 cit.; Cass. S.U. 21/2/84 n°1236 cit.

[7] E' questa l'ipotesi dell'atto inefficace per il mancato avveramento della condizione sospensiva. Con riferimento al licenziamento, può richiamarsi l'ipotesi del licenziamento intimato durante i periodi di irrecedibilità (malattia, servizio di leva), purché non dovuto esclusivamente a tale motivo, nel cui caso l'atto è nullo (Cass. 8/7/97 n°6171 in Mass. Utet, 1997, 607). Problematica particolare è quella del licenziamento ex art. 2110 cc, che parte della dottrina ritiene svincolata dalla normativa sui licenziamenti individuali, mentre altri ritengono essere una fattispecie tipizzata di giustificato motivo. L'articolo, che costituiva in origine uno dei primi vincoli formali al potere di recesso del datore, appare oggi superato dalla successiva evoluzione normativa.

[8] Scalisi, Inefficacia (Dir. Priv.) in Enc. Dir., XXI, 1971, 322; 16, 182; in motivazione Cass. 5/8/96 n°7176 in Riv. It. Dir. Lav., 1997, II, 600.

[9] Rubino, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, 94.

[10] Giorgianni, op. cit., 1001.

[11] Ravera, op. cit., 184.

[12] Cass. 21/3/86 n°2035 in Mass. Giur. Civ., 1986.

[13] Marino, La comunicazione scritta del licenziamento nell'interpretazione della Corte di Cassazione in Riv. It. Dir. Lav., 1998, II, 335; Cass. 28/3/97 n°2835 in Mass. Utet, 1997, 265. Cass. 17/6/85 n°6900 in Riv. It. Dir. Lav., II, 523 con nota di Bollani.

[14] Vedi supra nota 2.

[15] Cass. 8/7/88 n°4521 in Foro It., 1988, I, 3592 ed  in Mass. Giur. Lav., 1988, 689; Cass. S.U. 21/2/84 n°1236 in Foro It., 1984, I, 2552;  in Mass. Giur. Lav., 1984, 338; in Giust. Civ., 1984, I, 1784 con nota di Papaleoni ed in Riv. It. Dir. Lav., 1984, II, 682 nota di Orsi Vergiati 1784. In dottrina Ziliotti, Commento all’art.2 in Galantino, La disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi, Torino 1993, 37; Proto Pisani, Giudizio di legittimità dell’impugnazione dei licenziamenti in Foro It., 1990, V, 367; Papaleoni, Licenziamento disciplinare e nullità di diritto comune in Riv. It. Dir. Lav., 1995, II, 651; Id., Area debole, vizi formali, regime applicabile in Mass. Giur. Lav., 1999, 1072; Pizzoferrato, Licenziamento disciplinare irrituale e conseguenze sanzionatorie nell’area c.d. di libera recedibilità in Dir. Rel. Ind., 1995, 2, 199; Panariello, Licenziamento disciplinare e piccole imprese: le garanzie formali e la loro rilevanza formale in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1990, 691.

[16] Cfr. nota 2.

[17] Cass.S.U. 18/10/82 n°5394 in Not. Giur. Lav., 1983, 73; Cass. 21/2/84 n°1236 cit.; Cass. 24/6/97 n°5611 in Not. Giur. Lav., 1997, 527.

[18] Cass.S.U. 5/3/91 n°2334 in Foro It., 1991, I, 1100; in Or. Giur. Lav., 1991,  314; Cass. 7/2/96 n°976 in Guida al Diritto, 1996, 18, 51; Cass. 14/4/99 n°3705 in Guida al Lavoro, 1999, 24, 35.

[19] In particolare le cinque mensilità che costituiscono un risarcimento minimo forfettizzato (Corte Cost. 23/12/98 n°420 in Guida al Diritto 1999, 2, 92) e l'indennità sostitutiva della reintegra.

 

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