La Corte Costituzionale chiarisce l'ambito di applicazione del tentativo obbligatorio di conciliazione.

 

Con la sentenza 6-13/7/2000 n.276 la Corte Costituzionale supera i dubbi di costituzionalità prospettati per la nuova disciplina del tentativo obbligatorio di conciliazione di cui agli artt.410ss cpc, come modificati dal D.Lgs.31/3/98 n.80[1]. Con riferimento all’applicabilità di quest'ultimo al procedimento monitorio, invece, la Corte ribalta l’orientamento delle prime pronunce giurisdizionali che avevano ritenuto obbligatorio anche per i decreti ingiuntivi il tentativo di conciliazione[2].

Le ordinanze sottopongono alla Corte i principali dubbi di costituzionalità della nuova disciplina prospettati dai primi commentatori della riforma e relativi in particolare all’eccesso di delega degli artt.410, 410bis e 412 bis cpc rispetto all’art.11 comma 4 lettera g) della l. 15/3/97 n.59 ed al contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. sotto il profilo della disparità di trattamento tra settore pubblico e privato. Infine, due delle ordinanze dubitano della legittimità dell’estensione della disciplina al procedimento monitorio.

La questione dell’eccesso di delega era stata prospettata subito dopo l'emanazione del D.Lgs.31/3/98 n.80 ritenendosi che la delega contenuta nella l.15/3/97 n.59 non consentisse l’estensione del tentativo di conciliazione anche al settore privato[3]. Si era tuttavia obiettato che la legge delega contemplava anche la previsione di misure organizzative e processuali atte a prevenire e contenere il contenzioso in generale e  non solo nel settore pubblico cd. privatizzato[4]. A questa argomentazione, la Corte aggiunge l’osservazione per cui la previsione di procedure conciliative ed arbitrali è solo apparentemente riferita al settore pubblico, mentre deve ritenersi indirizzata proprio a quello privato, in quanto per i pubblici dipendenti la previsione dell’art.69bis era già esistente, anche se non ancora operante stante il differimento temporale dell’entrata in vigore della legge. Alla stessa conclusione condurrebbe l’uso della congiunzione “anche” utilizzata dal legislatore.

In relazione all’art.24 Cost., invece, si era evidenziato come il tentativo di conciliazione si riveli soltanto  un inutile ritardo per l’attore, senza svolgere un reale ruolo deflativo.

In effetti, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, possono essere posti ostacoli all’accesso alla giustizia solo quando questi siano motivati da rilevanti valori costituzionali e non comportino, comunque, un definitivo impedimento all’azione[5].

Ora, ha buon gioco la Corte a ritenere che il tentativo obbligatorio di conciliazione, ancorché obbligatorio, non impedisca l’esercizio dei propri diritti ma ne determini solo un differimento, peraltro contenuto stante la previsione del limite massimo di durata[6], senza che l’attore subisca alcun pregiudizio visto che la proposizione della domanda stragiudiziale comporta la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza, che la parte può comunque agire, sussistendone i presupposti, in via cautelare e che infine solo l’eventuale inerzia prolungata conduce all’estinzione del giudizio[7].

Meno convincente, invece, appare l’argomentazione relativa all’utilità del tentativo di conciliazione in relazione ad interessi generali, nel caso di specie il tentativo di evitare il sovraccarico dell’apparato giudiziario e di favorire la composizione preventiva delle liti. La Corte non si pone il problema se la riforma abbia o meno la capacità di raggiungere questi risultati, ma afferma invece che “la valutazione degli eventuali limiti della concreta attuazione della legge compete alla P.A.... mentre spetta al legislatore l’adozione di eventuali modifiche che l’esperienza rivelasse opportune”[8].

Un altro profilo di incostituzionalità sottoposto alla Corte riguarda la presunta violazione dell’art.3 Cost., in relazione alla diversa e meno specifica disciplina della domanda ex art.410 cpc rispetto a quella dell’art.69 D.Lgs.29/93, che deve contenere un esposizione sommaria dei fatti e della ragioni poste a fondamento della domanda, deve essere comunicata alla controparte che ha l'obbligo di depositare scritti difensivi e nominare un proprio rappresentante[9].

Per quest'aspetto, la Corte conferma le prime pronunce di merito, richiedendo che la domanda contenga almeno gli elementi atti a identificare la pretesa del richiedente, anche senza richiedere un’esatta identificazione delle pretese e soprattutto delle ragioni giuridiche sottese in quanto la fase conciliativa é per sua natura stragiudiziale[10].

Proprio per tali motivi, anche la lamentata violazione degli artt.3 e 24 Cost. per la mancata possibilità di far ricorso al gratuito patrocinio non avrebbe potuto comunque trovare accoglimento anche nell’ipotesi in cui non fosse stata dichiarata inammissibile dalla Corte.

L’ultima parte della sentenza è relativa all’ambito di applicazione della nuova disciplina, identificato come uno degli aspetti più incerti della legge.

Il problema dell’applicabilità del tentativo obbligatorio di conciliazione al procedimento monitorio si era posto da subito all’attenzione della dottrina e giurisprudenza che, dopo alcune iniziali oscillazioni, si erano prevalentemente orientate in senso positivo[11].

La Corte, invece, ritiene di escludere dall’ambito di applicazione della legge le domande ex art.633ss cpc per un duplice ordine di ragioni.

In primo luogo, ritiene estranei alla legge i casi in cui il processo non si svolga in contraddittorio, come appunto accade per i decreti ingiuntivi, essendo il meccanismo della conciliazione strutturalmente legato al processo di cognizione ordinario[12].

Inoltre, condurrebbero alla stessa conclusione l’inserimento degli articoli sulla conciliazione nella disciplina del processo ordinario e l’esclusione dall'ambito di applicazione solo dei procedimenti cautelari e speciali che comportano, almeno potenzialmente, l'instaurarsi del contraddittorio tra le parti (art.412 bis cpc). La Corte coglie anche l’occasione di individuare i provvedimenti speciali di urgenza di cui al citato articolo in quelli degli artt.18 settimo comma e 28 della l. 20/5/70 n.300 nonché in quello dell’art.15 l.903/77[13].

Nonostante l’intervento della Corte, permangono tuttavia altri dubbi relativi all’ambito di applicazione del tentativo obbligatorio di conciliazione. In primo luogo, sembrerebbe di poter trarre dalle stesse argomentazioni della sentenza la conclusione che la fase di opposizione a decreto ingiuntivo dovrebbe essere preceduta dal tentativo di conciliazione[14]. Altre ipotesi incerte sono quelle della domanda riconvenzionale[15] e della chiamata del terzo[16], nelle due ipotesi di litisconsorzio necessario e facoltativo[17].

Residua, più in generale, il dubbio sulla efficacia del meccanismo prescelto dal legislatore per contenere la crescita del contenzioso del lavoro in mancanza di un’organica riforma del sistema[18].



*[1] Sul quale v. Balletti, La conciliazione pregiudiziale nelle controversie di lavoro in Dir. Lav., 1999, I, 463; Pinto, Il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di  lavoro privato e pubblico in Carinci (a cura di), Commento al D.Lgs. 29/1993, Milano 1999, 1907ss; Id., Controversie di lavoro privato: il tentativo di conciliazione in -----; Mocella, Gli strumenti deflativi del processo del lavoro ed il nuovo tentativo di conciliazione ex art. 410 cpc in Dir. Lav., 2000, 43ss.

[2] V. nota 11.

[3] Balletti, op. cit., 676.

[4] Pinto, Controversie cit., 239; Mocella, op. cit., 63.

[5] Cass. 25/11/80 n.6248 in Foro It., 1981, I, 2259; Cass. 7/10/77 n.4290 in Giur. It., 1977, I, 1, 2093; in dottrina Cecchella, , Il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di lavoro in Mass. Giur. Lav., 1997, 135; Montesano, Vaccarella, Manuale di diritto processuale del lavoro, Milano 1989, 46; Pera, Diritto del lavoro, Padova 1988, 665; Tarzia, Manuale del processo del lavoro, Milano 1987, 18; Barone, La conciliazione stragiudiziale in AA.VV., Le controversie in materia di lavoro, Bologna – Roma 1987, 232; Flammia, Arbitrato e conciliazione in materia di lavoro in Enc. Giur. Treccani, Roma 1988, 7; Assanti, Assanti, Conciliazione in materia di lavoro in Noviss. Digesto Italiano, App. II, Torino 1980, 277; Grandi, Sull’inoppugnabilità della conciliazione in sede sindacale  in Mass. Giur. Lav., 1997, 326.

[6] Corte Cost. 82/92 in Riv. It. Dir. Lav. 1993, II, 23ss, richiamata anche nel testo della sentenza in epigrafe.

[7] Balletti, op. cit., 496-497.

[8] Pinto, op. cit., 340; Balletti, op. cit., 498.

[9] Montemarano, Giustizia privata per il pubblico impiego in Guida al Lavoro, 2000, 32-33, 12; Grandi, La composizione stragiudiziale delle controversie di lavoro nel pubblico impiego in Lav. Pubbl. Amm., 1998, 789ss; Alleva, Controversie di lavoro privato e pubblico: giurisdizione ordinaria e circuiti conciliativi arbitrali in Lav. Giur., 1999, 105; Cecchella, La riforma dell'arbitrato nelle controversie di lavoro privato e pubblico in Mass. Giur. Lav., 1999, 178; Vianello, Controversie di lavoro con la P.A.: il nuovo tentativo di conciliazione in Lav. Giur., 1999, 205.

[10] Così Trib. La Spezia, 23/ç/2000, (ord.) in Mass. Giur. Lav., 2000, 785; Pinto, Controversie di lavoro privato cit., 338; Mocella, op. cit., 54.

[11] In tal senso Trib. Firenze, 11/4/2000 in Guida al Lavoro, 2000, 34, 46.Pret. Ferrara, decr., 27/4/98 in Giust. Civ., 1998, I, 2327 con nota di  Miccolis; Pret. Roma 17/11/98, decr., in Giust. Civ., 1999, I, 295; contra Pret. Torino, sez. Avigliana 18/11/98 in Guida al Lavoro, 1999, 7, 27 con brevi osservazioni di Berti; Pret. Lecce, ord. 13/11/98 in Foro It., 1999, 710; Bonfanti, Processo del lavoro: ancora una modifica con il D. Lgs. 387/98 in Guida al Lavoro, 1998, 45, 14; Tiscini, Il tentativo obbligatorio di conciliazione in Perone, Sassani, Processo del lavoro e rapporto alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Padova 1999, 45.

Nel senso dell'inapplicabilità a tutti i decreti ingiuntivi del tentativo obbligatorio di conciliazione Pileggi, De Luca R., Il tentativo obbligatorio di conciliazione in Dir. Prat. Lav., 1998, (inserto), n°49, XI; Ludovico, Il nuovo tentativo obbligatorio di conciliazione: una riforma problematica in Dir. Prat. Lav., 1999, 2737; Mocella, op. cit., 50. In giurisprudenza Pret. Lecce, 13/11/98, ord., in Foro It., 1999, 710. Per la distinzione tra decreti provvisoriamente esecutivi e non Cecchella, Il tentativo obbligatorio di conciliazione cit., 452; contra Tiscini, Il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie individuali di lavoro ed il procedimento di ingiunzione in Giust. Civ., 1999, I, 298.

[12] Manna, Il tentativo obbligatorio di conciliazione nella riforma degli artt.410 segg. tra deflazione e legislazione (occulta) di sostegno in Riv. Crit. Dir. Lav., 1998, 529; Pileggi, Il tentativo cit.; IX; Tiscini, op. cit., 297; Cecchella, op. ult. cit., 546; Mocella, op. cit., 50-51;.

[13] Balletti, op. cit., 478; Manna, op. cit., 529ss; Cecchella, Il tentativo obbligatorio di conciliazione cit.,. 546; Tiscini, op. ult. cit., 297.

[14] Napoletano G., La composizione stragiudiziale delle controversie é ritenuta essenziale per la riuscita della riforma in Guida al Diritto, 2000, n.28, 44; Manna, Il tentativo cit.,525-6.

[15] Per l'applicabilità del tentativo obbligatorio di conciliazione Cecchella, Il tentativo obbligatorio di conciliazione cit., 452; Luperti, Domanda riconvenzionale e tentativo di conciliazione in Guida al Lavoro, 1999, 21, 13; contra, Pret. Roma, 12/3/99 in Guida al Lavoro, 1999, 32-33, 32. Il convenuto potrebbe non essere in grado di impedire la sospensione del processo in quanto il ricorso potrebbe essergli notificato soltanto trenta giorni prima dell'udienza di comparizione e la domanda riconvenzionale deve essere proposta a pena di decadenza nella comparsa di costituzione da depositare dieci giorni prima. E' stato pertanto proposto di scindere la domanda principale da quella proposta in via riconvenzionale e sospendere eventualmente solo quest'ultima (Ludovico, op. cit., 2736; contra Pret. Napoli, 31/3/99, ord., in Guida al Lavoro, 1999, 21, 14; Pret. Forlì, 29/1/99, ord., in Lav. Giur.,  1999, 668) oppure di proporre il tentativo di conciliazione riservandosi all'esito di proporre entro i venti giorni successivi al suo compimento di formulare la domanda riconvenzionale, senza che si verifichino decadenze grazie al disposto dell'art.410 secondo comma. Tuttavia, in tal caso, il giudice dovrebbe fissare una nuova udienza per la riconvenzionale mentre il giudizio inerente la domanda principale potrebbe essere già in fase avanzata.

[16] Trib. Velletri 7/3/2000 (ord.) in Mass. Giur. Lav., 2000, 785.

[17] Cecchella, Il tentativo obbligatorio di conciliazione cit., 453; contra Tarzia, op. cit., 40.  Sul punto da ultimo Cass. 13/11/97 n°11241 in Foro It., 1998, I, 2512 che ritiene litisconsorzio necessario quello tra imprenditore interponente ed interposto; contra Cass. 23/6/98 n°6214 in Lav. Giur., 1999, 170. La giurisprudenza prevalente ritiene tuttavia che in tema di interposizione non sussista sempre litisconsorzio necessario, ma occorre avere riguardo all’impostazione della domanda: Cass. 6/6/89 n82740 in Foro It., Rep.,  1989, voce Lavoro (rapporto), nn8452, 453; Cass. 22/11/85 n85800, id., Rep. 1986, voce cit., 460; Cass. 21/1/86 n8375, ibidem, n8438.

[18] Mocella, op. cit., 63ss.

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