CORTE DI CASSAZIONE - Sez. lav. - 8 giugno 1999 - Pres. Buccarelli - Est. Sciarelli - P.M. Giacalone (concl. conf.) - ENEL s.p.a. (avv. Coletti) c. Panigada Francesco (avv. Dolfi)

(conferma Trib. Pavia 16/12/95)

 

Potere direttivo - Limiti - Ordine illegittimo - Jus resistentiae - Sussiste

 

(artt. 2086, 2104, 2106 cc; artt. 2167, 2108 cc; art. 12 cc; art.1362-1371 cc; artt.1374-1375 cc; artt. 113, 115, 116 cpc; art. 5 bis R..D.L. 15/3/23 n°692 conv. L.17/4/25 n°473; L.30/10/55 n°1079).

 

E' illegittima la sanzione disciplinare irrogata al lavoratore che, avvalendosi dello jus resistentiae, non ottemperi ad un ordine che esuli dalle mansioni previste dal contratto collettivo di lavoro (Nella specie, al lavoratore era stato richiesto lo svolgimento di mansioni non urgenti durante il turno di reperibilità, in contrasto con quanto previsto dal contratto collettivo di lavoro per i dipendenti elettrici dell'ENEL del 21/2/89.

 

Limiti al potere direttivo e jus resistentiae del prestatore di lavoro

La sentenza annotata affronta il delicato problema dei limiti al potere direttivo del datore di lavoro e del relativo dovere di obbedienza del prestatore di lavoro.

Nella fattispecie, ad un lavoratore dipendente dell'ENEL era stato richiesto di provvedere, durante il proprio turno di reperibilità, alla sostituzione di alcune lampade delle quali era stato segnalato il guasto. Poiché durante il turno di reperibilità il CCNL prevedeva che potesse richiedersi al dipendente soltanto il lavoro straordinario non programmabile, il lavoratore si era rifiutato di adempiere, ritenendo che non rientrasse nell’ipotesi contrattuale la richiesta di sostituzione di lampade guaste da vari giorni. Conseguentemente,  era stato assoggettato ad un (lieve) provvedimento disciplinare.

La sentenza in epigrafe ritiene illegittima la sanzione disciplinare irrogata al lavoratore in quanto quest’ultimo sarebbe titolare di uno jus resistentiae in tutti i casi in cui l'ordine impartito esuli dalle previsioni contrattuali o legali, poiché il potere direttivo e quello gerarchico sussisterebbero soltanto all'interno dei limiti imposti dalla legge e dal contratto. Unico correttivo sarebbe il rischio di incorrere in sanzioni disciplinari che il prestatore di lavoro si accollerebbe nell'ipotesi di rifiuto di adempiere quando ritenga l’ordine non conforme a norme legali o contrattuali (Sulla legittimità di sanzioni disciplinari al lavoratore che rifiuti di svolgere lo straordinario previsto dal contratto Pret. Biella, 9/2/88 in Not. Giur. Lav., 1988, 46; Pret. Milano 4/1/85 in Lav. Prev. Oggi, 1985, 1771; Pret. Milano 5/3/81 in Lavoro 80, 1981, 471).

La decisione in esame offre numerosi spunti di riflessione sia in ordine al potere di direzione e controllo del datore di lavoro, sia riguardo ai corrispondenti obblighi del prestatore.

In generale, il potere direttivo viene normalmente giustificato con la necessità di coordinare la prestazione lavorativa del singolo nell'organizzazione aziendale e costituisce l'elemento di maggior rilievo per distinguere il rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo. (In senso lato, il potere direttivo è anche detto potere di conformazione o di specificazione della prestazione. In proposito vedi soprattutto Suppiej, La struttura del rapporto di lavoro, II, Padova 1963; Persiani, Contratto di lavoro ed organizzazione, Padova 1966; Perulli, Il potere direttivo dell’imprenditore, Milano 1992 e, per un riepilogo dei diversi orientamenti, v. Gaeta, Tesauro, La subordinazione, Torino 1993, I, 83-84. In giurisprudenza, tra le tante, Cass. 9/6/94 n°5590 in Giur It., 1994, I, 1, 1576; Cass. 14/7/93 n°7796 in Riv. It. Dir. Lav., 1994, II, 317 con nota di Nogler).

In tal senso, il potere direttivo si caratterizza come un potere giuridico in senso stretto che costituisce anche la fonte immediata dell’obbligazione lavorativa cui corrisponde una posizione di subordinazione del lavoratore caratteristica del rapporto di lavoro. In  questo contesto, tale potere rientra nella tutela dell’interesse creditorio, anche se le prerogative di vantaggio che spettano al datore di lavoro risultano attenuate dalle limitazioni che l’ordinamento giuridico ha apprestato in funzione di tutela del lavoratore.

In particolare, poiché l’assoggettamento del lavoratore al potere datoriale può implicare, nelle ipotesi di inadempimento, una possibile responsabilità disciplinare, la dottrina ha individuato una serie di limiti sia  dal punto di vista formale e procedurale, sia da quello sostanziale. Mentre i primi hanno ottenuto una sistemazione legislativa con l'art. 7 della l. 20/5/70 n°300 (vedi Montuschi, Potere disciplinare e rapporto di lavoro, Milano, 1973), più incerti si sono invece rivelati i secondi.

Limiti fondamentali al potere direttivo del datore di lavoro furono dapprima individuati nei diritti costituzionali del lavoratore (Crisafulli, Le norme programmatiche della Costituzione in La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano 1952) e, succssivamente, dopo l’emanazione della l.20/5/70 n° 300, nelle disposizioni in questa contenute direttamente incidenti sull’attività organizzativa dell’imprenditore (v. Suppiej, Il potere direttivo dell’imprenditore ed i limiti derivanti dallo Statuto dei lavoratori in Riv. Dir. Lav., 1972, I, 2ss). In tale contesto, la dottrina tende a qualificare il sindacato degli atti organizzativi dell’imprenditore alla stregua di limiti esterni direttamente rinvenibili nella legge ovvero, in mancanza, alla stregua di limitazioni funzionali riconducibili comunque alle obbligazioni contrattuali, utilizzando talora  le categorie dell'abuso di diritto e dell'eccesso di potere (In particolare Cass. S.U. 2/11/79 n°5688 in Foro It., I, 1248 con nota di Barone; in questa Rivista, 1980, I, 357 ed in Riv. Giur. Lav., 1979, I, 1025 con nota di Di Majo; Cass. 5/4/90 n°2831 in Riv. It. Dir. Lav., 1991, II, 183. In dottrina Bigliazzi Geri, Contributo ad una teoria dell'interesse legittimo nel diritto privato, Milano 1967; Suppiej, La struttura del rapporto di lavoro, cit., 138; R. De Luca Tamajo, Potere disciplinare e potere di recesso nell’individuazione della condotta antisindacale in Dir. Lav., 1972, I, 38ss). Altra parte della dottrina, seguita dalla giurisprudenza, individua invece i limiti al potere direttivo nelle clausole generali di buona fede e correttezza. Queste costituiscono dei limiti funzionali al potere imprenditoriale il cui compito sarebbe quello di controbilanciare tale potere consentendo al lavoratore un controllo sulle finalità stesse delle scelte imprenditoriali e sulle loro modalità attuative (In dottrina, Tullini, Clausole generali e rapporto di lavoro, Rimini 1990, 133; Mazzotta, Variazioni su poteri privati, clausole generali e parità di trattamento in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 1989, 95; Balletti, La cooperazione del datore di lavoro all'adempimento dell'obbligazione di lavoro, Padova 1990, 163; Di Majo, Limiti ai poteri privati nell'esercizio dell'impresa in Riv. Giur. Lav., 1983, 341ss; Id., Clausole generali e diritto delle obbligazioni in Riv. Crit. Dir. Proc. Civ., 1984, 549. Cass. 3/2/93 n°1336 in Dir. Prat. Lav., 1993, 875 con nota di Mannacio; Cass. 7/11/91 n°11870 in Not. Giur. Lav., 119, 735.).

A queste limitazioni del potere direttivo corrisponde l'obbligo del prestatore di lavoro di osservare le direttive impartite dal datore di lavoro e di adempiere anch'egli alla sua prestazione secondo buona fede e correttezza (Pret. Torino 5/5/87 in Giur. Piem., 1988, 418). Disconoscere tale potere direttivo o negarne l'esistenza, costituisce, indipendentemente dalla natura e dalla gravità della mancanza, un inadempimento grave, qualificato dalla giurisprudenza come insubordinazione. Quest’ultima non coincide necessariamente  con il rifiuto di adempiere alle direttive dell'imprenditore, ma comprende qualsiasi comportamento che ne possa pregiudicare il corretto svolgimento nell'ambito aziendale, unitamente ad un elemento intenzionale di contestazione verso l'uso legittimo dei poteri imprenditoriali (Cass. 7/2/98 n°1307 in Mass. Utet, 1998, 935; Pret. Nola, 24/3/98 in Lav. Giur., 1998, 792; Cass. 3/3/92 n°2573 in Riv. It. Dir. Lav., 1993, II, 223 con nota di Caro; Cass.2/7/87 n°5804, ivi, 1988, II, 261). Tuttavia, se il merito della scelta imprenditoriale non può mai essere contestato dal lavoratore senza incorrere in sanzioni disciplinari (Mengoni, Il contratto di lavoro nel diritto italiano in Il contratto di lavoro nel diritto dei paesi membri della CECA, Lussemburgo, 1965, 475), sorge la necessità di stabilire dove il dovere di osservanza si arresti dinanzi ad un uso illegittimo del potere direttivo.

Parte della dottrina ritiene che al lavoratore spetti uno jus resistentiae che gli consenta la possibilità di rifiutare l’adempimento, allorquando nell’esercizio del potere direttivo si travalichino i limiti esterni al suo esercizio consistenti nella tutela delle libertà fondamentali e della dignità dei lavoratori, o nell’ipotesi in cui si pretenda dal lavoratore un adempimento al quale egli non sia tenuto per contratto (Sul punto vedi Pera,  Diritto del lavoro, Padova, 1991, 437ss).

Tale conclusione può essere condivisa. Infatti, la stessa giurisprudenza ne ammette il fondamento quando, ad esempio, l'ordine del datore di lavoro sia illecito o nocivo della salute della persona del lavoratore o di altri prestatori di lavoro, configurandosi in tali ipotesi un vero e proprio obbligo di disapplicare l'ordine (Cass. Pen. 30/5/89 in Mass. Giur. Lav., 1990, 470; Cass. Pen. 22/2/90 in Not. Giur. Lav., 1991, 319; Cass. 26/1/94 n°774 ivi, 1994, 508 con nota di Massart). Ugualmente legittimo è stato ritenuto il rifiuto del prestatore di adempiere ad ordini lesivi del diritto alla riservatezza, della dignità ed integrità della persona (Cass. 9/4/93 n°4307 in Mass. Giur. Lav., 1993, 426 con nota di Gragnoli; Pret. Milano 12/1/95 in questa Rivista, 1995, I, 2267 con nota di Pera) o quando l'ordine sia stato lesivo di altri diritti costituzionalmente riconosciuti al lavoratore. (ad esempio il diritto di voto, su cui v. Pret. Milano 29/11/80 in Not. Giur. Lav., 1981, 292).

Più problematiche appaiono invece le fattispecie, come quella in esame, nelle quali l'ordine impartito, pur non del tutto conforme alle norme contrattuali, non appaia esorbitante o contrario a norme di legge o a principi costituzionali.

In primo luogo, poiché anche il lavoratore è tenuto ad adempiere alla propria obbligazione lavorativa secondo buona fede e correttezza, potrebbero ritenersi dovute anche prestazioni non esattamente dedotte in contratto.

Inoltre, rifiutando di obbedire ad un ordine non palesemente in contrasto con norme costituzionali, di legge e di contratto collettivo il lavoratore pone in discussione la stessa autorità del datore di lavoro. Ciò è ancora più evidente nelle imprese ed unità produttive di minori dimensioni, nelle quali il rapporto tra imprenditore o dirigente e prestatori di lavoro è particolarmente stretto.

Pertanto, una soluzione maggiormente equilibrata potrebbe essere quella di considerare il prestatore di lavoro tenuto al rispetto degli ordini ricevuti se questi non appaiano in troppo palese ed evidente contrasto con norme costituzionali, di legge e di contratto collettivo.

 

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