Il ragazzo con i ricci e la tolfa in primo piano è un agente in borghese.
Scatto una foto, poi un'altra. Lui se ne accorge e dice al superiore al
suo fianco: "Guarda che quello mi ha fotografato". E il capo gli
risponde: "Ma lascia perdere, non vedi che casino... ". Io mi
feci piccolo piccolo. Una scena inquietante, quelle trame, quell'intrigo
nel rapporto del potere con i movimenti.
E a quel punto?
Devo essere sincero, non mi sembrò di aver fatto nulla di speciale. Era
la scoperta dell'acqua calda. I poliziotti infiltrati nei cortei erano la
regola. Ma quando vidi Cossiga giurare davanti al paese e al Parlamento
che quel giorno non c'erano agenti in borghese, capii che c'era qualcosa
che non andava. Qualcosa di molto grave. Mi alzai dal letto e feci il giro
dei giornali che conoscevo con quelle foto. All'epoca collaboravo con
Lotta continua. I radicali ne fecero anche un poster che riempì i muri di
tutta Italia.
Eppure la verità è ancora sepolta.
Sembravano imminenti le dimissioni di Cossiga e invece i giornali si
ricompattarono. Il clima era difficile, anche esponenti del Pci volevano
la mano pesante contro la sinistra extraparlamentare. C'è sempre stata
complicità tra potere e stampa. Quel pomeriggio questa complicità sembrò
incrinarsi. Ma la denuncia fortissima fatta da me e dai miei colleghi
fotografi rinsaldò quella unità. Mi accorsi come un paese intero non
volesse la verità e l'evidenza delle cose. Ancora oggi mi spiace dirlo.
Nonostante le denunce circostanziate anche la stampa più vicina a noi non
volle raccogliere le ammissioni esplicite di uomini delle forze dello
Stato. Nei corpi armati qualcuno non era d'accordo nell'uccidere delle
donne inermi.
Puoi essere più preciso?
Mi capitò che degli esponenti della polizia romana, incontrandomi per la
strada, cercassero di farmi riflettere. Inizialmente sembravano solo
battute di cattivo gusto sul sesso dei protagonisti di quella giornata.
Frasi come: "I nostri colleghi che lei ha fotografato erano maschi e
la ragazza uccisa era donna". Con delle pause insistenti, a
sottolineare le parole. Battute ripetute una volta, due. Allora ho
cominciato a interrogarmi e tutto mi apparse chiaro: hanno ucciso una
donna per non rischiare di colpire un loro collega. Ma per tutti ero il
solito Tano che vedeva complotti.
Poi anche l'incontro con quell'ufficiale...
Un giorno, alcuni mesi dopo l'omicidio, quando l'inchiesta si era ormai
insabbiata, mi trovo in un bar di una centrale piazza di Roma. Un
ufficiale in divisa di un corpo armato dello Stato mi saluta e mi chiede:
"Come va la questione a cui lei è molto interessato, il caso di
Giorgiana Masi? ". Risposi che non avevo purtroppo più avuto modo di
seguirla. Sapevo solo che tutto era stato insabbiato, perchè il calibro
del proiettile che uccise Giorgiana non era in dotazione alle forze di
polizia. Ma questo ufficiale, che evidentemente mi aveva abbordato proprio
per imboccarmi, mi rispose: "Non nelle azioni di ordine pubblico, ma
i tiratori scelti del poligono di Nettuno si allenano con carabine di quel
calibro". Mi salutò e se ne andò.
Quale fu la tua prima reazione?
Lo dissi ai giornali, ma la notizia uscì solo sul quotidiano delle
femministe "Donna" e su "Noi Donne", ma con poco
risalto. Sai, erano voci senza prove. Ma ancora oggi credo che quelle
persone avevano l'intenzione sincera di fare sapere la verità a tutto il
paese. Io collaboravo con giornali incerti, avevo una vita precaria, tutti
i giorni in affanno lavorando per la stampa extraparlamentare. Ma questo
episodio toccò anche la vita e la carriera di altri miei colleghi più
famosi. Tutti hanno potuto sentire il rumore dei colpi d'arma da fuoco.
Puoi fare un esempio?
Sì, ma senza fare il nome del giornalista, uno dei più famosi conduttori
Rai del maggior Tg. Raccontò i momenti della morte di Giorgiana. Disse in
diretta che il gotha della polizia romana, prima degli spari, aveva
parcheggiato le macchine con i cofani vero i manifestanti. Quando si
sentirono i colpi si ripararono dietro i cofani, come se sapessero che i
colpi provenivano dalle schiere della polizia. Quel collega non parlò mai
più in diretta e fu allontanato. Non faccio il nome per discrezione. Ma
dalla notte del 12 maggio '77 fu sepolto per sempre ai servizi culturali.
Raccontò la dinamica dei fatti e gli assassini si accorsero che lui
poteva guidare verso la verità. Forse senza neanche accorgersene.
La vulgata ha sempre riferito che quel giorno anche i manifestanti erano
armati. Cosa rispondi a queste accuse?
I ragazzi non avevano armi. Il corteo si è difeso con i sassi mentre le
macchine intorno alla manifestazione traballavano colpite dai proiettili
esplosi dalle forze dell'ordine. Il segreto sulla morte di Giorgiana tiene
non perchè non lo conosce nessuno, ma perchè lo condividono molti.