Questo rapporto ha avuto in tempi recenti poca fortuna. E' vitale per l' attività futura che l'edificio è destinato ad accogliere che, nella fase della sua realizzazione, l'architetto ponga i giusti limiti al suo ruolo progettuale. Oggi sembrano esservi alcuni segnali di una generalizzata ripresa di interesse nei confronti degli edifici teatrali, dopo una lunga fase di involuzione dovuta ad una stasi delle costruzioni che dura, con poche eccezioni, da cinquant' anni e ad altre trasformazioni culturali, che rende opportuna una redefinizione di ruoli. Assumendo alcuni punti di vista esterni al suo lavoro, dei committenti, dei realizzatori e degli utenti, il ruolo dell' architetto è delineabile, credo, in maniera piuttosto precisa.
E impossibile fare bene un teatro senza contatti intensi e prolungati con coloro che dovranno usarlo. Eppure succede spesso che gli architetti non ne sentano il bisogno. I loro risultati sono spesso restauri e nuove costruzioni aberranti dove l'abilità della gente di teatro, abituata ad affrontare qualunque situazione, finisce per farsi complice degli errori degli architetti, correggendone gli effetti spesso con ottimi risultati. E' molto meglio che l' architetto entri in contatto fin dalle prime fasi di impostazione del progetto con gli addetti ai lavori, magari candidati ad utilizzare le strutture progettate.
Ma il lavoro di architettura ha una sua lenta e complessa gradualità, e il rapporto con la gente di teatro non è sempre pacifico. "Se cerchi di portarli su problemi precisi, questa gente si disperde" si lamenta non del tutto a torto Pietro Gambacciani, progettista del Teatro Stabile di Genova in Corte Lambruschini. Quando l'architetto cerca chiarimenti sul funzionamento dell'edificio che egli sta progettando, deve tenere presente che l'atteggiamento dei teatranti, nei confronti dell'oggetto del suo lavoro, pur con le affinità già segnalate, rischia di essere completamente diverso dal suo.
I comici sono abituati a scandire la loro vita con il ritmo delle stagioni (teatrali). Una volta il loro culmine era rappresentato dal carnevale, oggi si preferisce distinguere l'anno in due stagioni: l'invernale e l'estiva, e si prepara nell'una quello che si farà nell'altra. Solo pochi fortunati riescono a sapere cosa sarà di loro con anticipo maggiore. Una grande conquista sarebbe, secondo Strehler, una programmazione triennale. Viceversa, l'architetto alle prese con il progetto di un edificio pensa -come minimo- per decenni. Questo inclina la gente di teatro ad occupare spazi lasciati vuoti da altre funzioni, chiese, fabbriche o cinematografi e a ricorrere in generale a soluzioni di fortuna che, se spesso sono le migliori nella realizzazione di uno spettacolo, possono risultare problematiche nella logica di una realizzazione definitiva.
Ogni teatrante è inoltre portato dal suo lavoro a un certo (giustissimo) narcisismo e a desiderare un teatro a proprio gusto e misura, monumento concreto alla sua "bravura". L'attore abituato a ruoli classici potrà pensarlo di marmo, il megalomane grandissimo, la famosa interprete di drammi borghesi si troverà a suo agio in un interno un po' soffocante. Basta girare un po' per i teatri e conoscere chi li adopera per rendersene conto. Ma la persona giusta a cui chiedere la realizzazione di queste fantasie è lo scenografo, o al massimo l'arredatore, non l'architetto. Questi potrà accondiscendere ad esse nei limiti del buon gusto ed evitando che esse condizionino in modo troppo sensibile i risultato definitivo.
Avvicinandosi al palcoscenico oltre il limite delle esigenze dei singoli teatranti, o meglio di tutto ciò che è destinato a trasformarsi nel breve periodo, l' architetto deve guardarsi da altre seduzioni, più sottili ed ambigue di quelle degli attori: le sirene della teatrologia, contro le quali Peter Brook afferma:
"Diffido delle generalizzazioni assolute sulla natura del teatro. Quando mi si dice, per esempio, che il quadro scenico è un ostacolo a un reale contatto fra l'attore e il pubblico, quando mi viene spiegato, in dettaglio, e in un modo teoricamente impeccabile, che questo quadro separa la scena dalla sala, mi rifiuto semplicemente di crederlo. Ho visto attori in quadri scenici dorati in stile rococo in rapporto diretto, intimo (...) con ogni spettatore, dalle poltrone alle gallerie. Per contro ho visto attori in scene centrali che rimanevano distanti e separati. Mi è successo una volta di restare seduto per quattro ore, schiacciato fra cinquanta persone in un granaio di Amburgo, e di partecipare alla rappresentazione in una maniera così intima che sembrava che si stesse prendendo davvero parte alla vita dei personaggi. Ma non traggo alcuna conclusione da questa esperienza esaltante. Questo granaio diventava una sala di piena soddisfazione perché si sapeva che tutte le altre erano state bombardate. Il mio piacere, quella notte, dipendeva dal tempo e dal luogo"
Il teatro è sopratutto qualcosa che si fa, concretamente. Pure, a partire dalle teorizzazioni dei "philosophes" del Settecento, si è venuto formando un filone di teorizzazioni sul "dover essere" di un teatro, considerato in linea di principio come il tempio laico dei Valori moderni . Queste teorizzazioni hanno avuto conseguenze dirette in architettura. L'ideologia può dare forma, al massimo, alle facciate dei teatri. Le ragioni della loro esistenza vanno cercate altrove. In tempi recenti, le ideologie hanno avuto fragorose espressioni nella teatrologia degli anni '70, che assumeva esperienze del tutto originali di teatro agito in spazi non destinati originariamente ad accoglierlo a paradigma di un modo di fare teatro "moderno". Il caso dell' Orlando Furioso di Luca Ronconi è esemplare. Esso viene invocato per giustificare ogni genere di scelta, dimenticando volentieri l'eccezionalitá dell'episodio. L' imprevedibile futuro, che il teatro è progettato ad accogliere, non può avere alcun significativo rapporto con singoli eventi passati, ancorché eccezionali. "L' Orlando", o qualunque altro evento, è inutilizzabile come "prova testuale" di procedimenti vólti a definire una relazione effettiva fra architettura e teatro, senza tenere conto del gioco dei ruoli pubblici e privati, regista, attore, amministratori, che lo resero possibile e caratteristico di una precisa stagione culturale.
Il committente di un teatro può essere pubblico o privato. Il primo sarà più attento alle valenze ideologiche della realizzazione. Il secondo, facilmente un teatrante, penserà più volentieri al numero dei posti e in generale alla convenienza economica della impresa. Sponsor privati possono trovare nell' architettura teatrale può alcune interessanti opportunità. Una comittenza mista, pubblica e privata, avanzerà richieste differenti ed spesso contraddittorie. L' architettura è una sede particolarmente adatta alla composizione di queste esigenze diverse e nella loro commisurazione a quelle degli altri utenti dell' edificio.
Nella prassi corrente delle realizzazioni edilizie, i capitolati vengono stesi sulla base dei prezzi unitari di opere e forniture, con l' intesa che i lavori vengano effettuati "a regola d' arte". In un teatro, sopratutto per quanto riguarda opere e forniture specifiche, ma anche opere e forniture "normali", il rapporto con i realizzatori è più complesso: sia perché è con loro che vanno studiate le soluzioni giuste per ogni situazione particolare. Sia perché la "regola d'arte", in palcoscenico, si trova propriamente in questione. Buona parte del lavoro progettuale si svolgerà in collaborazione con i realizzatori, per minuti e laboriosi aggiustamenti delle ipotesi di lavoro. E' opportuno quindi che il progettista verifichi le proposte delle imprese. Frequentemente le soluzioni più giuste sono anche le più economiche.
Pochi sanno che i macchinisti e i pittori di scena italiani sono ancora ritenuti, unanimemente, i migliori del mondo. Si tratta forse dell'ultimo residuo del nostro primato teatrale dei secoli che videro la fortuna dei comici dell'Arte per tutta Europa, la crescita dello splendido giardino del teatro musicale, la diffusione, su scala mondiale, della tipologia architettonica del teatro -appunto- "all'italiana". I tecnici di teatro sono interlocutori estremamente interessanti per gli architetti, perché a loro più vicini per la natura dei problemi che si trovano ad affrontare nel loro lavoro, che li porta ad contatto diretto con i problemi generati da scelte architettoniche differenti e non sempre giuste. Considerando il complesso sistema circolatorio degli spettacoli nel nostro paese sarà facile vedere, nella loro sapienza artigianale, un vero e proprio linguaggio di una comunità viaggiante, e si comprenderanno le ragioni della caparbia resistenza che questa gente oppone ad ogni estemporanea innovazione tecnica.
Le regole per realizzare un buon palcoscenico sono piuttosto semplici. I problemi progettuali riguardano sopratutto il pubblico, le funzioni e le norme ad esso correlate. E' nei suoi confronti che la creatività dell'architetto potrà dare i frutti migliori, prevedendone i ritmi di affluenza e le ragioni dell' interesse. Per una legge quasi fisica, il vuoto teatrale esercita una vertiginosa attrazione su tutti quanti si rivolgono ad esso. Un buon teatro è una struttura capace di trasmettere al proprio pubblico questa attrazione.
La parola in uso per segnalare il buon risultato del lavoro progettuale è "giusto". Giusto, riferito ad un teatro, significa: adatto al sito e al suo pubblico (quello che oggi viene definito "bacino d' utenza"), armonico nel rapporto fra i differenti ambienti, misurato nei confronti dell' intensità delle stagioni drammatiche e in grado di crescere con loro, capace di accogliere altre manifestazioni importanti che si tengono nella regione in cui sorge, adeguatamente fornito di parcheggi e ben collegato, ecc.. Ciò che l'ideologia non è mai riuscita a dimostrare è la necessità dei teatri. Essi rimangono un "lusso", e come tali sono spesso relegati all'ultimo posto dei criteri di decisione e dei capitoli di spesa delle amminisrazioni. Difficilmente si potrà contraddire quel consigliere o quel deputato che vorrà anteporre all'edificazione di un teatro la realizzazione di altri e più "necessari" alla vita come servizi, come strade, scuole, ospedali, ecc. Eppure il teatro è il simbolo, e il luogo fisico, di un'attività che attinge alle radici stesse della vita, e senza la quale forse quest'ultima non si potrebbe chiamar tale. E' una delle tante contraddizioni insanabili.