L’umanità dell’internet
(le vie della rete sono infinite)

omini

di Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it



Capitolo 49
Forum, newsgroup, liste, chat


Una delle caratteristiche della posta elettronica è che si può mandare contemporaneamente lo stesso messaggio a diverse persone. È molto facile per un gruppo di amici – o colleghi di lavoro, o persone interessate a un argomento – costruire un indirizzario e scambiarsi messaggi. Così è nata una “lista” (mailing list) cioè una comunità di dialogo. Grande, piccola, pubblica, privata... dipende dalle scelte di chi la organizza. Ma andiamo per ordine. Le aree dialogo online sono nate in diversi modi, e con diverse tecnologie, prima ancora che ci fosse una cosa chiamata “internet”.

C’erano (e ci sono) le aree di discussione interne a un sistema o comunità (chiamate forum o anche con altri nomi). Si trovavano tradizionalmente nei BBS; oggi anche in una varietà di strutture che spesso assumono l’aspetto di “siti web”. Possono essere “chiuse”, cioè riservate solo agli abbonati a quel servizio o a chi appartiene a una specifica associazione o comunità; o possono essere “aperte” nel senso che chi vuole si può iscrivere e partecipare.

Per esempio ALCEI, l’associazione per la liberà e la cultura della rete, ne ha due: una lista riservata agli associati e un forum aperto a tutti (l’una e l’altro sono tecnicamente mailing list).

Ci sono i newsgroup Usenet, che esistono dal 1979, basati su una tecnologia diversa dall’internet (UUCP unix to unix copy – che più tardi, a partire dal dal 1986, è stata progressivamente sostituita con NNTP network news transfer protocol) .

Ci sono molti documenti online che spiegano che cosa sono e come funzionano i gruppi Usenet. Per esempio What is Usenet e Usenet Info Center. In italiano Generalità su Usenet.

Ce ne sono decine di migliaia, fra cui molti in italiano (con il prefisso it.). Si può accedere in vari modi. Usando il servizio di un provider che offre l’accesso a una specifica lista di gruppi Usenet. O con uno dei software concepiti per questo scopo (se ne trovano parecchi gratuiti e liberamente disponibili). O anche con un browser o un motore di ricerca – o attraverso siti web.

In questi gruppi non si scambiano soltanto news (notizie) ma anche e soprattutto opinioni. Sono aree di discussione; che possono assumere toni tranquilli e pacati, o diventare dibattiti accesi, secondo l’umore dei partecipanti – e il livello di controllo esercitato dal moderatore.

I newsgroup Usenet sono governati da regole precise. C’è una procedura di votazione per la costituzione di un nuovo newsgroup e per le decisioni da deliberare collettivamente. Ci sono norme (fra cui il rispetto della netiquette) che devono essere seguite da tutti i partecipanti e in particolare dai moderatori. Ogni “gruppo di dialogo” è dedicato a uno specifico argomento, con limiti più o meno stretti secondo la natura del tema e i criteri stabiliti dal moderatore e dai partecipanti. Ognuno ha una propria definizione di identità e di regole (policy). Il mondo Usenet ha la sua identità e i suoi principi ispiratori, ma è tutt’altro che un sistema rigido e disciplinato. È spesso confuso, agitato e turbolento.

Il mondo delle mailing list è ancora più vasto e vario. Non è un sistema organizzato o coerente. È impossibile sapere quante sono perché, come dicevo all’inizio, ognuno può organizzare una “lista” come gli pare – piccola o grande, pubblica o privata, con criteri di tema e comportamento o in modo totalmente informale. Sono certamente moltissime. Ne nascono (e muoiono) tante ogni giorno. Conoscerle tutte è impossibile; trovare quelle che ci interessano non sempre è facile... ma ci sono mille modi per scoprirle. I più frequenti sono due. Uno è l’esplorazione della rete: quando troviamo siti o documenti che riguardano un tema che ci interessa, possiamo scoprire se e dove ci sono aree in cui se ne parla. L’altro, e il più importante, è il “passaparola”. Il dialogo con persone che si occupano di un tema specifico ci porta abbastanza facilmente a scoprire dove c’è una “lista” in cui se ne discute.

Prima di entrare in argomenti più specifici, vorrei fare un’osservazione generale. Le liste, come ogni altra area di dialogo o comunità online, cambiano e si evolvono. Come tutte le cose della rete, sono entità viventi, biologiche, mutevoli. Quella che oggi è fin troppo affollata domani potrebbe essere quasi vuota – e viceversa. Quella che ieri ci sembrava affascinante oggi può essere diventata noiosa (perché è cambiata la lista o perché siamo cambiati noi). Quella che sembrava povera di contenuti può improvvisamente ravvivarsi, perché arriva (o ritorna) qualcuno che dice cose interessanti. E così via... Quindi è meglio seguirne più di una, imparare a cogliere i contenuti rilevanti in quello che può essere un mare di banalità o di cose lontane dai nostri interessi. E cancellare l’abbonamento se ci accorgiamo di essere entrati per sbaglio in una lista che non è adatta a noi – o se abbiamo la percezione che sia in declino e che la sua decadenza sia irrimediabile.

Il problema delle liste, come di tante altre cose in rete, è che ce ne sono troppe. L’esperienza ci insegna, un po’ per volta, a scegliere. Ma è meglio evitare la tentazione di “abbonarsi” a troppe cose; specialmente a quelle che ci vengono offerte con un’apparenza diversa dalla realtà, Cioè, per esempio, sembrano servizi “disinteressati” ma in realtà sono iniziative commerciali – o meccanismi per “fare traffico” e raccogliere indirizzi (con conseguente spamming). O sono strumenti per diffondere opinioni “di parte” che non necessariamente siamo interessati a conoscere o a sentire ripetute con esagerata frequenza.

Insomma è importante capire quali cose vogliamo ricevere automaticamente (come accade con le mailing list) e quali preferiamo lasciare dove sono e andare a leggere quando ci pare. Soprattutto quali sono gli argomenti e gli ambienti dove ci interessa avere un ruolo attivo, partecipare al dialogo, e quali invece le cose che vogliamo soltanto leggere. Ci sono molte persone che seguono e leggono liste senza scrivere né partecipare. Questo comportamento è chiamato lurking e può essere più o meno accettato o sopportato secondo il tipo di lista e di ambiente in cui si svolge il dialogo.

Ovviamente la qualità di una lista dipende da due fattori. Le capacità e il comportamento dei partecipanti – e le qualità del moderatore.


Il ruolo del moderatore

Da quando esistono le reti... si discute sul ruolo del “moderatore”. C’è perfino chi crede che possano esistere liste “non moderate”. Può essere vero per gruppi (generalmente piccoli) che si sanno “autogestire”. Ma in generale il ruolo del moderatore è importante, se non indispensabile. Come ho già detto (capitolo 31) esistono due soluzioni tecniche. Una è la lista “filtrata”: tutti i messaggi arrivano al moderatore, che decide quali mettere online o quali no. Questo è evidentemente il sistema più efficace, ma ha due problemi. Costa molto tempo e fatica al moderatore. E anche se chi svolge quel compito lo fa molto bene può essere sempre accusato da qualcuno di “censura” (o di essere troppo “permissivo” e di pubblicare cose poco interessanti).

L’altro è più semplice: tutto va automaticamente online, il moderatore interviene “a posteriori” per correggere o cancellare (ma per quanto veloce possa essere qualcuno dei messaggi cancellati sarà già stato letto da chi si è collegato nel frattempo). In liste di questo genere di solito è abbastanza raro che il moderatore prenda provvedimenti “drastici”, come cancellare un messaggio; se qualcosa non va è più probabile che intervenga nella lista per commentare, criticare o consigliare.

In ogni caso il moderatore ha l’indiscutibile diritto di blacklisting, cioè di escludere una persona dalla sua lista (può essere una “sospensione” per un periodo di tempo, cioè un ammonimento; o un’eliminazione definitiva). Qualcuno può pensare che questo non sia “democratico”, ma anche un accanito sostenitore della libertà in rete, come me, deve riconoscere che è necessario.

Naturalmente ci dev’essere la massima libertà di opinione e un buon moderatore non deve mai intervenire solo perché qualcuno esprime un’opinione diversa dalla sua, o da quella prevalente nella lista. Ma ci sono comportamenti che non sono accettabili e che possono mettere in crisi un’intera comunità. (Fra questi ci possono essere anche cose apparentemente banali, come intervenire troppo spesso, parlare di cose che non interessano alla maggior parte dei partecipanti, ripetere le stesse cose, o mandare testi troppo lunghi).

Un buon moderatore, di solito, scrive in privato e gentilmente alla persona; nella maggior parte dei casi chi sta sbagliando capisce e il problema è risolto. Ma se qualcuno non capisce e insiste con un comportamento sbagliato e fastidioso, un intervento “radicale” è legittimo e necessario. Le liste sono tante... ognuno può, se vuole, trasferirsi dove pensa che il suo comportamento possa essere accettato. O metter su una lista per conto suo, dove potrà sbizzarrirsi come vuole.


Il compito del maggiordomo

Il majordomo non è una persona. È un software. Ce ne sono altri, con nomi diversi, che hanno lo stesso compito. Serve a gestire la lista. Quando qualcuno chiede di iscriversi, il majordomo gli dà il benvenuto e lo inserisce nella lista di indirizzi cui andranno automaticamente tutti gli interventi in quella lista. In alcuni casi l’iscrizione è automatica; in altri è assoggettata all’approvazione del proprietario (owner) della lista. Se c’è bisogno di un’approvazione il majordomo avverte che ci sarà un tempo di attesa e poi dà conferma quando l’iscrizione è avvenuta.

Quando una mailing list è gestita da majordomo (o da un software analogo) il comando per iscriversi (“abbonarsi”) è subscribe. Per “cancellarsi” dalla lista (cioè “disdire” l’abbonamento) il comando è unsubscribe. Spesso il majordomo, quando ci si abbona alla lista, segnala le caratteristiche e l’argomento del gruppo di dialogo cui si parteciperà e presenta (se c’è) la policy.

È meglio leggere attentamente le “istruzioni” su come iscriversi, perché diversi “maggiordomi” possono avere impostazioni leggermente diverse e gli automatismi sono sempre “stupidi”, cioè non sanno eseguire un comando se non è esattamente come se lo aspettano. Alcuni sistemi (per esempio siti web) offrono un modulo “predefinito” per iscriversi a una lista. Ma attenzione a quei moduli che chiedono troppe informazioni non necessarie... possono essere violazioni della privacy o fonti di “commercio di indirizzi”, cioè fabbriche di spamming.


Che cosa vuol dire off topic

Ciascuna mailing list o altra area di dialogo può avere un tema più o meno definito. Qualche “divagazione”, ogni tanto, è inevitabile e può essere gradita – se è interessante. Ma in generale è meglio non essere off topic, cioè “fuori tema” o “fuori luogo”.

Alcuni (fra cui io) ogni tanto dicono “fuori topo”. Lo scherzo è meno stupido di quello che sembra, perché topos in greco significa luogo. Infatti si parla di “toponomastica” e la “topologia” non è lo studio dei ratti.

Questo è uno dei motivi per cui è meglio conoscere un po’ l’ambiente prima di cominciare a scrivere. Le caratteristiche di una lista possono essere evidenti dal suo nome o definizione, o descritte della sua policy; ma solo osservando il comportamento di chi è già pratico di quell’ambiente possiamo capire bene che cosa “rientra nel tema” e che cosa no. Uno dei compiti, difficili e importanti, di un buon moderatore è proprio definire i limiti dell’off topic: per evitare dispersioni inutili ma anche non eliminare interventi che, anche se escono dai “confini” del tema, possono dare un contributo interessante.


Il filo del discorso (thread)

Non sempre è facile seguire il “filo del discorso”. In un dialogo dove molte persone diverse intervengono su temi diversi i dialoghi si accavallano. Accade anche che si sfasino i tempi: cioè che qualcuno risponda a un messaggio senza aver letto quelli che nel frattempo sono stati scritti da altri. In parte, non c’è rimedio; con un po’ di esperienza impariamo a non confonderci. Ma per seguire un thread (filo) spesso è utile un buon uso dei subject, come abbiamo visto nel capitolo precedente a proposito della posta elettronica.


Chat

Fin qui abbiamo parlato della comunicazione che i pedanti chiamano “asincrona”. Non c’è contemporaneità; ognuno legge e scrive quando gli pare. Se invece è una conversazione “sincrona”, cioè tutti sono collegati contemporaneamente, abbiamo le chat (chiacchiere). Anche questa è una cosa tutt’altro che nuova. Ci sono state le chat fin dai primi sistemi di collegamento (compreso il minitel, che ha avuto una particolare diffusione in Francia). C’erano chat sui BBS quando quasi nessuno aveva un collegamento all’internet.

Per dialogare su BBS italiani con persone in città diverse, occorreva per molti collegarsi a un servizio lontano. Le chat erano soprattutto notturne (lo sono ancora oggi perché, indipendentemente dalle tariffe telefoniche, di giorno molte persone hanno altro da fare); e c’erano sistemi come “itapac” che permettevano di collegarsi fuori dalla propria area telefonica pagando meno della tariffa interurbana.

Oggi c’è un numero infinito di ambienti che offrono propri servizi chat; alcuni “generici”, altri dedicati a specifici argomenti. Il servizio internazionale più noto e comunemente usato è IRC (internet relay chat) che esiste dal 1988; dieci anni dopo è nato un altro sistema, oggi diffuso, che si chiama ICQ.

ICQ è onomatopeico: I seek you, “io ti cerco” – perché offre anche la possibilità di “trovare” persone online se sono collegate e vogliono essere “reperibili”. Anche altri sistemi (compresi alcuni fra i più “antichi” in rete) permettono di usare instant messaging cioè di mandare un messaggio “immediato” a un’altra persona che sia online in quel momento – e, se vogliamo, invitarla a un dialogo in chat.

C’è un numero “potenzialmente infinito” di chat room (“stanze” – su IRC si chiamano channel). In quasi tutti i sistemi (fuorché quelli che sono costruiti per il dialogo con una specifica persona) ognuno può aprire la sua “stanza” e può decidere se la vuole “aperta” o “chiusa”: cioè se l’esistenza della stanza deve essere visibile a tutti, e se tutti possono entrare quando e come vogliono; o se l’accesso deve essere riservato alle persone con cui ha precedentemente concordato di aprire un dialogo e stabilito un “appuntamento”. Chi apre una stanza (o “canale”) ne è “proprietario” e assume automaticamente il diritto di controllo, compreso quello di espellere una persona (e impedirle di rientrare) se si comporta in un modo “non accettabile”.

In quasi tutte le chat è possibile mandare messaggi “pubblici” (che tutti possono leggere) o “privati” (che legge una sola persona). L’arte di combinare i due sistemi non è facilissima, ma con un po’ di pratica si impara. In alcuni sistemi (per esempio in IRC) un messaggio privato si chiama whisper (“bisbiglio” o “sottovoce”).

Una cosa che può imbarazzare chi la fa, ma di solito diverte tutti gli altri, è il fenomeno dei “privati scappati”. Cioè qualcuno manda per sbaglio un messaggio “privato” a tutti quanti; o qualcun altro risponde pubblicamente a un “privato”.

Come nelle liste e nei newsgroup, anche nelle chat è bene saper ascoltare e capire l’ambiente. Ci sono linguaggi e comportamenti che in alcune situazioni sono accettabili in altre no. È molto facile cercare di “stupire”, di attirare l’attenzione, dicendo qualcosa che dà fastidio agli altri; ma è anche molto stupido. A parte il rischio di essere espulsi, non è un modo per farsi accettare e per sviluppare un dialogo interessante.

Se ci troviamo in una situazione che non ci piace, perché qualcuno ci infastidisce o perché l’andamento del dialogo non ci interessa... uno dei vantaggi dell’internet è che è facile andarsene. Se in un ambiente si mescolano conversazioni che ci interessano con altre che ci danno fastidio (o semplicemente sono troppo ingombranti) una delle soluzioni è aprire un’altra stanza, mandando messaggi “privati” ai nostri amici perché ci raggiungano.

Per molti la chat è la prima esperienza di comunicazione “collettiva” in rete. Ci siamo passati quasi tutti. Alcuni continuano per molto tempo. Altri dopo un po’ (ma possono essere mesi o anni) abbandonano le chat o diradano la loro presenza. Dipende dai “cicli di vita” e dall’esperienza personale di ciascuno, ma credo che per molti la chat sia un’esperienza iniziale, che diventa meno frequente man mano che si sviluppano altre attività in rete.

Nel mio caso, per esempio... nei primi anni di uso della rete (non era ancora “internet”) passavo molte ore in chat. Non tutti i giorni... ma abbastanza spesso, quando avevo una sera libera. Mi è servito molto per capire la rete; e anche per incontrare persone con cui poi si è consolidata un’amicizia. A quei tempi durante il giorno usavo il computer solo per un’ora o due. Oggi dedico molto più tempo a scrivere (e anche a leggere, gestire e-mail, eccetera) e c’è un limite alla quantità di ore che sono disposto a passare davanti a un monitor. Ho anche molte altre occasioni di dialogo in rete. Così non trovo più il tempo (né la voglia) di stare in chat.

In molti sistemi di chat è abituale, se non necessario, usare un alias (o nickname) cioè uno pseudonimo. Questo ovviamente permette di definire come vogliamo la nostra identità. Può essere (e spesso è) del tutto trasparente: cioè l’alias è il nome vero, oppure dopo un po’ tutti sanno che “Einstein” in realtà è Gigi Rossi che si diverte a recitate la parte dello stupido. Ma qualche volta può essere un modo per nascondersi o “travestirsi”.

Ci sono funzioni come whois che permettono di scoprire chi si “nasconde” dietro un alias o nickname; ma se il “travestito” usa una malbox che non è il suo nome, identificarlo diventa meno facile.

Fin che è un gioco, può essere divertente. Ma se il rapporto con una persona, per qualsiasi motivo, va oltre i limiti di una semplice chiacchierata... è sempre meglio sapere chi è prima di andare oltre. Parlerò nel capitolo 51 di identità, responsabilità e “anonimato” in rete.


Scherzare e giocare

Scherzare e divertirsi non fa mai male. E spesso giocando s’impara. Dei vecchi tempi in cui andavo in chat ricordo alcuni memorabili “cazzeggi” in cui si parlava di nulla ma ci si divertiva molto.

C’è una ricca tradizione di scherzi e umorismo in rete; e ogni tanto si rinnova.

Come già detto, occorre un po’ di prudenza con gli scherzi, perché non sempre tutti hanno lo stesso senso dell’umorismo. Un’altra cosa da evitare, per quanto possibile, è la “rifrittura” di vecchie storielle, aneddoti o pagine ironiche che circolavano in rete cinque o dieci anni fa e che qualcuno ripropone come nuove. Naturalmente non tutti le conoscono... ma è meglio pensare prima a chi le stiamo mandando e magari metterci una piccola premessa come “credo che questa sia vecchia, ma se qualcuno non la conosce...”.

A proposito di liste e dialogo online... non so da quanti anni circoli questa storiella (una delle infinite varianti sul tema “quante persone occorrono per avvitare una lampadina”) che è stata pubblicata in una lista italiana il 25 luglio 1998. Chiedo scusa a chi l’aveva già letta...

*Domanda: Quanti iscritti a una mailing list ci vogliono per cambiare una lampadina?*

Risposta: 1.331

1 per cambiare la lampadina e per annunciare alla mailing list che la lampadina e' stata cambiata

14 per condividere esperienze simili e discutere su diverse tecniche di sostituzione della lampadina

7 per avvertire dei potenziali pericoli insiti nel cambio di una lampadina

27 per evidenziare gli errori grammaticali e di ortografia negli interventi fino a quel momento pubblicati

53 per accendere flame causate dalle discussioni sugli errori contenuti nei messaggi

41 per evidenziare gli errori grammaticali e di ortografia nelle flame

156 per scrivere al moderatore lamentandosi della discussione sul cambiamento della lampadina e dell'improprio uso della mailing list

109 per inviare messaggi sul fatto che la mailing list non si occupa di lampadine e per proporre di trasferire questa discussione su un'altra mailing list

203 per chiedere di interrompere il cross posting dello stesso messaggio su piu' mailing list

111 per difendere la discussione in corso sulla mailing list dicendo che tutti usano le lampadine e quindi gli interventi sono in linea con l'argomento della mailing list

3 per inviare messaggi contenenti i link trovati negli URL che sono in linea con l'argomento della mailing list, i quali rendono la discussione pertinente

306 per discutere qual e' il metodo migliore per cambiare le lampadine, dove comperare le lampadine migliori, qual e' la marca di lampadine che si adatta meglio alle rispettive tecniche e quali sono le marche da evitare

27 per inviare gli URL dove si possono vedere esempi di lampadine diverse

14 per avvertire che gli URL non sono corretti e invitare a postare quelli corretti

33 per quotare tutte le discussioni pubblicate fino a quel momento per intero e aggiungere "Anche io"

12 per inviare messaggi che avvertono dell'intenzione di cancellarsi dalla mailing list perche' non sopportano la discussione sulle lampadine

19 per quotare coloro che hanno scritto "Anche io" per aggiungere "Anche noi tre"

4 per suggerire che occorre la FAQ sulle lampadine

48 che suggeriscono la creazione di it.hobby.lampadine

47 che avvisano che it.hobby.lampadine esiste gia'

143 per chiedere se qualcuno ha mai cambiato una lampadina

Spesso uno scherzo spiega più di tanti discorsi seri. Per concludere... alcune osservazioni sul gergo. Anche in altri campi si usa comunemente una mistura di inglese e di italiano (con conseguenze qualche volta grottesche quando parole che “suonano simili” hanno un significato molto diverso). È ovvio che questo accada nell’internet, che è nata nel mondo di lingua inglese e che usa prevalentemente l’inglese per ogni comunicazione internazionale. Sentiamo usare comunemente parole come “cliccare” (anche da persone che non hanno alcuna idea del suo significato) e non è facile evitare di dire e scrivere cose come “linkare”. Nel testo che ho appena citato vediamo qualche esempio dell’uso abituale di termini inglesi nell’italiano.

Abbiamo già visto nei capitoli precedenti che cosa significano parole come flame e sigle come FAQ;. Un’altra sigla di uso comune è URL per indicare un indirizzo web.

Flame vedi capitolo 42. FAQ frequently asked questions vedi il capitolo 37. URL uniform (o universal) resource locator vedi World Wide Web nell’appendice 1.

Nel prossimo capitolo riparleremo del gergo della rete. Intanto può essere utile chiarire alcuni termini che compaiono in questo messaggio ironico e che si trovano abbastanza spesso nei dialoghi online. Cross posting vuol dire riprodurre un messaggio da una lista a un’altra. In alcuni casi è un servizio utile... ma rischia di diventare spamming se la stessa cosa viene diffusa troppo, o nei posti sbagliati. (Posting non significa “spedire” ma “affiggere” cioè mettere un testo dove può essere letto pubblicamente; talvolta ne nasce il neologismo italiano “postare”).

Infatti poster in inglese vuol dire “manifesto”. Ma se invece di un cartellone affisso è un documento pubblico e collettivo di opinione... in inglese si chiama “manifesto”, come in italiano.

“Quotare” ovviamente deriva da quoting (citare). Sembra semplice, perché è una parola di origine latina; ma “quotare” in italiano ha altri significati...

Il gergo dei computer, più ancora di quello della rete, contiene molti termini che sono già abbastanza strani in inglese e diventano ancora più bizzarri in italiano. Ma ormai siamo abituati a usarli... per esempio save non significa “salvare”; string non vuol dire “stringa”; una library (raccolta di “pezzi di programma” che si usano nei software) è una biblioteca, non una libreria.

Un mio amico si era un po’ offeso quando un collega americano gli aveva detto che una certa struttura in un software era “spaghetti”; gli ho spiegato che non era una critica alla cucina italiana, ma voleva soltanto dire “fili attorcigliati”. Un altro mio amico, che conosce i “doppi sensi” del termine, ne ha approfittato per intitolare un suo libro Spaghetti hacker (alla maniera di spaghetti western... ma anche con altri significati). Eccetera eccetera...

Si potrebbero citare molti altri esempi: ma in generale se si bada al “contesto” non è difficile capire il senso delle parole (in italiano o in altre lingue) anche se non le conosciamo ancora o se sono usate in un significato diverso da quello che ci è abituale.





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