L’umanità dell’internet
(le vie della rete sono infinite)

omini
di Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it



Capitolo 17
Che cosa vuol dire “interattività”?


Da circa otto anni ragiono, dialogo e scrivo su cose che riguardano l’internet. Fin dall’inizio ho dovuto constatare che non è facile intendersi sul significato di una parola, che è fondamentale per tutto ciò che riguarda i sistemi di comunicazione. Gli anni passano... ma i dubbi e i malintesi continuano. Eccomi così, ancora una volta, a cercare di spiegare che cosa intendo dire quando parlo di

“interattività”

Sentiamo e leggiamo questa parola usata in tanti modi diversi, spesso in modo ambiguo. È uno solo il significato di “interattività” che mi sembra utile per un uso efficace della rete. Altri, naturalmente, possono interpretarla in modo diverso. Ma vorrei almeno chiarire in che senso è usata in questo libro – come in altre cose che ho scritto.

Sentiamo dire che un’interfaccia è “interattiva” perché se diamo un certo comando, o premiamo un certo pulsante, esegue un ordine; o perché se scegliamo una domanda, in una serie già predisposta, ci dà la risposta precostituita. Sarebbe come dire che è “interattiva” una macchinetta per la distribuzione del caffè o la spia della pressione dell’olio sul cruscotto della nostra automobile.

Sentiamo dire che un cd-rom è “interattivo” perché ci permette di scegliere che cosa vogliamo leggere o vedere, e in risposta a certi nostri comportamenti può emettere suoni o parole standardizzate. A questa stregua, è interattivo anche un juke-box, o una bambola che dice “mamma” quando le schiacciamo il pancino.

Sentiamo chiamare “interattivo” un gioco che segue una logica precostituita e non ci fa “vincere” se non ci comportiamo secondo le regole stabilite da chi ha scritto il programma. Per quanto raffinato, complesso, ingegnoso e divertente possa essere il gioco, non è più interattivo di un giocattolo elettrico che accende una lucina quando il bambino sceglie la risposta giusta; e grugnisce se la risposta è sbagliata. Di questo passo, si potrebbe definire “interattivo” un biglietto della lotteria “gratta e vinci”.

Cerchiamo di semplificare: se ciò con cui “interagiamo” è una macchina, o un programma automatico, e non una persona, non si tratta di “interattività” nel senso di cui si parla in queste pagine.

Ci sono anche situazioni umane, per esempio trasmissioni televisive, che si definiscono “interattive”, perché il pubblico può rispondere facendo un certo numero di telefono, e “votare”; o perché arrivano direttamente al conduttore, in diretta, le telefonate dei telespettatori. Questa è interattività “finta”. Perché qualcuno, unilateralmente, stabilisce le regole, definisce i criteri, governa il dialogo come vuole; e tutti gli altri non possono far altro che muoversi all’interno di piccoli spazi ben definiti.

Il quadro non cambia quando un’emittente televisiva si serve anche di collegamenti internet. Come fa la Cnn con l’inserimento di chat e come fanno talvolta anche alcuni programmi italiani. Anche quando gli interventi non sono falsi, cioè costruiti “ad arte” da chi gestisce il programma, sono pur sempre “filtrati” e controllati: vanno in onda solo quei commenti o quelle domande che il conduttore sceglie di citare. Il sistema non è più “interattivo” di quanto sia sempre stata la “posta dei lettori” sui giornali.

Contrariamente a un’opinione diffusa negli ambienti televisivi (non è facile capire quanto sia ignoranza e quanto sia intenzionale manipolazione) l’internet non è la televisione – e la televisione non è “interattiva”. E non cambierà la situazione se un giorno, invece di usare il telefono per “partecipare” a un programma televisivo, lo spettatore potrà premere un pulsante. Ci sono anche sistemi online che seguono quel vecchio e banale modello; e così facendo dimenticano, o tradiscono, la vera natura della rete.

Se e quando la televisione digitale ci darà 500 canali, video on demand, collegamenti con giornali, riviste, biblioteche, cineteche eccetera... lo spettatore (se lo vorrà) avrà più potere, perché avrà più scelta. Ma non sarà una situazione “interattiva”. Se no dovremmo chiamare “interattivo” il telecomando, o il dito che volta la pagina di un giornale, o la mano che sceglie negli scaffali di una libreria o di un supermercato.

“Interattività”, ogni volta che ne parlo in questo libro, significa una cosa completamente diversa. Un dialogo ad armi pari, in cui nessuno ha privilegi, in cui tutti hanno la stessa “quota di voce” e lo stesso diritto di parola. Questo è il terreno su cui deve imparare a muoversi chi vuol fare comunicazione nella rete, che non sia solo una “brutta copia” di metodi è meglio riservare a quei mezzi per cui sono nati. Questa è la possibilità che si offre a ognuno di noi – se abbiamo la voglia, la pazienza e la curiosità di esplorare nuovi orizzonti, cercare nuovi stimoli, scambiare idee e opinioni con tante persone che in nessun altro modo avremmo l’occasione di conoscere.

L’interattività, così definita, è la caratteristica fondamentale dei nuovi sistemi di comunicazione. E ci offre possibilità interessanti di dialogo e scambio che non sostituiranno mai altri modi di dialogo (come il telefono, la “carta stampata” e soprattutto l’incontro personale) ma hanno una loro caratteristica, una loro identità, un loro linguaggio. Tanto è vero che la comunicazione in rete viene usata anche da persone che si vedono tutti i giorni.






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