Valore e attualità di un libro straordinario
How to Lie with Statistics
di Darrell Huff

marzo 2013

Intervista a Giancarlo Livraghi di Filomena Maggino
Professore di Statistica Sociale – Università di Firenze
Presidente della International Society for Quality-of-Life Studies (ISQOLS)
e dell’Associazione Italiana per gli Studi sulla Qualità della Vita (AIQUAV)

Pubblicata il 18 giugno 2013 nella newsletter aiquav
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(migliore come testo stampabile)


Consiglio la lettura della versione italiana del libro di Huff a tutti gli studenti dei miei corsi fin dalla sua pubblicazione. Conoscevo il testo originale e mi ero sempre chiesta come mai non fosse stato ancora tradotto in italiano. Ogni volta gli studenti reagiscono sottolineando l’estrema attualità del testo.

Non ricordo quando ho letto How to Lie with Statistics per la prima volta. Parecchi, ma non so quanti, anni fa. Mi colpì subito per la limpidezza, la libertà da ogni pregiudizio, la serietà della sostanza accompagnata da un vivace umorismo. Allora come oggi, “unico nel suo genere” su un argomento complesso che Darrell Huff riesce a spiegare con brillante chiarezza.

Non è, come può sembrare dall’ironia del titolo, un manuale per gli imbroglioni. Al contrario, è uno strumento per difendersi dagli inganni e dagli errori nella definizione o interpretazione dei dati.

All’inizio suscitò lo sdegno degli specialisti e degli accademici, offesi dall’irriverenza di un “estraneo” che osava mettere in berlina la loro presunta sapienza e immaginaria infallibilità.

Ma poi furono costretti a riconoscere che dice la verità e che ha uno straordinario valore divulgativo nel rendere l’argomento comprensibile. Fu progressivamente accettato e riconosciuto anche dalla comunità scientifica, fino a essere solennemente celebrato dall’Institute of Mathematical Statistics nel 2005 per il suo cinquantesimo anniversario.

Prima del 2007 erano uscite edizioni in tedesco, spagnolo, polacco e cinese – ma nessuna in italiano. Avevo fatto, nel corso degli anni, parecchi tentativi di convincere vari editori a pubblicarlo. Ma urtavo contro barriere di imbarazzo e diffidenza.

Per uno sciocco pregiudizio, si considera comico un libro che contiene disegni e vignette (non tutte umoristiche). Sembra (mentre non lo è) un testo “poco serio”. Inadatto all’uso professionale e didattico (L’esperienza dell'Università di Firenze, rara avis nel mondo accademico, dimostra quanto sia vero il contrario).

D’altra parte, la statistica è considerata un argomento noioso e faticoso, di improbabile diffusione fra i “non addetti” (mentre il libro di Darrell Huff ha un valore straordinario proprio nell’essere di facile e gradevole lettura).

Insomma un mare di goffe e banali scuse per evitare il rischio di uscire dagli schemi convenzionali.

Ad avere il coraggio è stato un piccolo editore. Quello che, tre anni prima, aveva preso l’altrettanto temeraria decisione di indurmi a rielaborare più organicamente in un libro le osservazioni e i ragionamenti che stavo sviluppando, da diciotto anni, sul potere della stupidità.


Qual è la motivazione che vi ha spinti a farlo? Qual è l’attualità del libro?

Fu un fertile incontro di due desideri. Il mio, inesaudito per tanti anni, di vedere finalmente pubblicato in italiano un libro insolito e brillante, del cui valore ero (e ancora sono) profondamente convinto. Quello di Andrea Monti, l’editore, di rompere gli schemi per proporre opere “fuori dal comune” e più interessanti di ciò che offrono le diffuse abitudini dell’editoria e della distribuzione libraria.

L’attualità del libro sta nel fatto che i concetti più rilevanti sono sostanzialmente gli stessi a distanza di sessant’anni. Gli esempi sono dell’epoca, ma ancora utili e chiari. Però nell’edizione italiana c’è qualcosa in più, che stranamente manca in tutte le edizioni in altre lingue. Anche quelle in lingua originale sono ristampe senza modifiche né aggiornamenti – l’unica differenza è che nelle edizioni inglesi (le più diffuse in Europa) le vignette sono di un autore diverso. (Per l’edizione italiana abbiamo scelto quelle americane, di Irving Geis, secondo noi migliori e più interessanti).

Mi sono assunto, insieme a Riccardo Puglisi, il compito di aggiornare e completare il lavoro di Darrell Huff. Con annotazioni e commenti, introduzioni e appendici, che spiegano metodologie sviluppate nel frattempo, citano anche esempi italiani (o comunque “non americani”).

Dalle recensioni e dalle osservazioni dei lettori mi sembra di poter dedurre che queste aggiunte sono utili e interessanti. Spero che questa opinione sia condivisa da lei e dai suoi studenti.


Ci può fare qualche esempio di “trucchi” di manipolazione dell’informazione statistica?

Nel libro di Darrell Huff ci sono molti esempi. Parecchi altri nelle pagine aggiunte all’edizione italiana. E altri ancora nelle successive osservazioni che si trovano online.

Uno degli esempi più sconcertanti è un’arrogante associazione, su scala mondiale, di persone che si autodefiniscono “super intelligenti”. La misura dell’intelligenza è determinata da metodi di loro invenzione. È l’apoteosi della tautologia. In base a criteri come questo l’animale più intelligente dell’universo potrebbe essere una gallina che depone uova di una particolare dimensione.

Il problema non è nuovo. Due millenni prima che si definisse una scienza chiamata statistica, c’era un’osservazione di Platone. «Sappiamo bene che queste argomentazioni basate sulle probabilità sono imposture, e se non abbiamo molta cautela nel loro uso possono essereingannevoli».

Molti che dissertano su dati statistici dimenticano un’intelligente ironia di Alfred Sauvy «In ogni statistica, l’inesattezza dei numeri è compensata dalla precisione dei decimali». E anche Mark Twain «Le statistiche sono come un lampione. Le possiamo usare per fare luce, ma non come l’ubriaco, che ci si appoggia». Aaron Levenstein «Le statistiche sono come i bikini. Ciò che rivelano è suggestivo, ma ciò che nascondono è più importante». Lewis Carroll (che era un matematico, non solo l’inventore dei simbolici sogni di Alice). «Se vuoi ispirare fiducia, dai molti dati statistici. Non importa che siano esatti, neppure che siano comprensibili. Basta che siano in quantità sufficiente».

(Si trova online una piccola raccolta di citazioni significative).

Le manipolazioni possono anche avere un effetto contrario alle intenzioni di chi le fa. Un esempio poco noto, comunque oggi dimenticato, riguarda le elezioni in Italia il 18 aprile 1948.

Il Fronte Democratico Popolare, coalizione di socialisti e comunisti, commise l’errore di pubblicare l’esito di sondaggi che prevedevano una sua vittoria. Accadde perciò che alcuni fra i meno impegnati dei suoi sostenitori non si sentirono obbligati ad andare alle urne. Mentre tanti che temevano una (improbabile) “sovietizzazione” concentrarono i loro voti sul più forte avversario. Il risultato fu una travolgente vittoria della Democrazia Cristiana.


Sorge spontanea la domanda: ci possiamo fidare della statistica? è sempre manipolabile?

Occorre distinguere fra la matematica (calcolo delle probabilità) e il modo in cui si raccolgono, elaborano e interpretano i dati. Ci sono metodi precisi per determinare il “margine di errore”. Che non può mai essere zero. Perciò nessuna statistica può essere “certamente esatta”. Ma questa esigenza filosofica non impedisce alle statistiche di essere utili e (nei limiti dell’inevitabile incertezza) credibili.

Del resto è nella natura di ogni scienza il dovere di dubitare di se stessa. Ogni teoria deve essere considerata un’ipotesi valida fino al momento in cui nuovi sviluppi sperimentali o metodologici la mettono in discussione.

In pratica, le statistiche sono sempre manipolabili. In tutto il percorso dall’impostazione iniziale fino alle interpretazioni conclusive. Ma le deformazioni non sono necessariamente intenzionali. Molto spesso si tratta di errori non “voluti”, ma ugualmente devianti, che quando sono diffusi come presunte certezze possono avere la pretesa di “dimostrare” tutto e il contrario di tutto.

Ho imparato molto da tanti anni di esperienza nella lettura e interpretazione di dati statistici. Quando studiavo all’università. Poi nella pratica di marketing e comunicazione d’impresa (all’epoca in cui erano cose serie). E di nuovo oggi nello studio di come si evolvono i sistemi di comunicazione.

Sempre e comunque lontano da ogni tentativo di trucco o manipolazione, perché in quel genere di studio e lavoro ciò che serve è avvicinarsi il più possibile alla realtà. Sapendo e imparando che nessun dato statistico può mai offrire certezze è che è sempre desiderabile il confronto con ciò che si può dedurre da fonti diverse, oltre a calcoli ed esperienze pratiche di diversa natura.

Insomma ci possiamo “fidare” delle statistiche se sappiamo che cosa sono e come funzionano. Il problema non è lo strumento, ma l’uso che se ne fa.

Si può usare un cacciavite per avvitare o svitare, ma anche per ferire o uccidere. L’inondazione di numeri con cui ci affliggono continuamente i mezzi di cosiddetta informazione, basata su statistiche mal capite o su dati del tutto immaginari, rischia di far annegare nel marasma anche quelle valutazioni che meriterebbero di essere seriamente approfondite. (Vedi La travolgente cavalcata delle bufale).


Si parla molto, riferendosi alle nuove generazioni, di alfabetizzazione digitale (di cui di fatto non sembrerebbe esserci bisogno) ma poco, per non dire per niente, si discute della alfabetizzazione statistica. Cosa ne pensa?

Sono profondamente disgustato dalle imperversanti sciocchezze che si dicono, si scrivono e purtroppo si fanno sulle “nuove tecnologie” di comunicazione. Compreso un uso insensato di parole come “digitale” e “alfabetizzazione”.

Ho scritto tre libri su questo argomento, oltre a molte cose pubblicate online. Lo sto studiando da più di vent’anni (cioè da quando l’internet era un privilegio di pochi ambienti universitari, si andava per bbs e newsgroup) e continuo a ricavarne più dubbi e perplessità che improbabili certezze.

Abbiamo oggi risorse di comunicazione che, usate bene, sono di straordinaria utilità. Ma da origini semplici, chiare ed efficienti siamo decaduti in un marasma di complicazioni, nelle tecnologie e nel modo di usarle. Per uscirne occorre soprattutto una forte dose di buon senso.

Per quanto riguarda le statistiche, sarebbe importante diffondere come cultura di base la capacità di capirne il significato. Potrebbe bastare una estesa adozione del libro di Darrell Huff nelle scuole medio-superiori – e renderlo testo obbligatorio per la qualificazione al mestiere di giornalista.

Una delle peggiori forme di continua disinformazione è l’interpretazione semplicistica e grossolana di “dati statistici”. Che talvolta è intenzionale inganno, ma più spesso è semplicemente stupidità.

Il problema non riguarda solo le “nuove generazioni”, ma le tante persone di tutte le età che non hanno mai avuto un’adeguata educazione in materia di statistica. Compresi molti che pontificano su ogni sorta di presunti dati senza sapere di che cosa stanno parlando o scrivendo.


Quanto la statistica può rappresentare uno strumento di potere (e in mano al potere) e quanto può invece rappresentare uno strumento di pressione nei confronti del potere? (i nuovi indicatori di benessere potrebbero rientrare in questo discorso).

L’informazione è sempre stata un’arma. È un grande vantaggio avere conoscenze migliori per agire in modo più efficace – e diffondere falsità per confondere gli avversari. Il controllo dell’informazione è una fortissima leva di potere. E questo ovviamente comprende il possesso, l’uso e la diffusione di (veri o manipolati) dati statistici.

Dove c’è democrazia e libertà di opinione, l’informazione “dovrebbe essere” uno strumento di pressione dell’opinione pubblica (cioè dei cittadini) nei confronti del potere. Ma è dolorosamente evidente constatare quanto il “popolo sovrano” sia poco e male informato. Non solo, ma in particolare, dall’imperversate confusione in materia di statistiche.

Quanto agli “indicatori di benessere”, non sono una novità. Il concetto fondamentale di “qualità della vita” era stato chiaramente definito da un centro di studi internazionale, chiamato “Gruppo di Roma”, nel 1980. Ma è troppo spesso dimenticato. È un impegno importante e necessario, oggi più che mai, riportare al centro dell’attenzione i fattori sociali, civili, culturali – anche come metodi di valutazione statistica.

Uno dei fatti più gravi nella fase in cui stiamo vivendo, su scala mondiale, è la demolizione dei valori umani per il perverso e ossessivo predominio della speculazione finanziaria. Comprese le statistiche basate su discutibili unità di misura come il “prodotto interno lordo” o altre improprie definizioni di “ricchezza” o “povertà”.


Qual è a suo avviso l’uso della statistica (in termini di ragionamento) e dei dati statistici (in termini di informazione) nella comunicazione politica?

Può essere usata in vari modi. Seri e utili quando si tratta di individuare problemi – e i metodi per risolverli – o risorse che è opportuno incoraggiare e valorizzare. Inutili o catastrofici quando sono strumentali per sostenere o demolire questo o quello schieramento politico.

Anche l’uso di sondaggi per motivi egoistici, per esempio dai partiti in campagne elettorali, può essere ragionevole o deviante secondo il modo in cui i dati si raccolgono e si analizzano. Già all’epoca in cui scriveva Darrell Huff c’erano casi verificati di successo o fallimento, per motivi che sono spiegati nel suo libro. Ancora al giorno d’oggi ci sono problemi molto simili.

Un fatto curioso – e preoccupante – è la difficoltà di diffondere qualche nozione sulle statistiche a persone che non ne hanno. L’edizione italiana di questo libro irriverente e divulgativo è apprezzata dagli “addetti ai lavori” molto più che dal pubblico cui è destinata.

Il pregiudizio, che sembra difficilmente superabile, è che sia un argomento comunque ostico, difficile, poco interessante per chi non è direttamente coinvolto. Superare questa barriera dovrebbe essere un impegno, consapevole e ostinato, da parte di tutto il sistema didattico e culturale. Con uno strumento molto adatto allo scopo, che è proprio il libro di Darrell Huff.


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