Offline Riflessioni a modem spento


Il computer
a manovella

novembre 2005



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
Vedi anche altre rubriche
e tre libri:
  La coltivazione dell’internet  
L’umanità dell’internet
Il potere della stupidità
 
 

 



Un gentile e attento lettore, che ha una notevole memoria, mi ha ricordato un articolo di otto anni fa: Il computer a manovella. L’avevo pubblicato nell’ottobre 1997 – riprendendo un tema di un anno prima, L’arte della leggerezza (ottobre 1996). L’occasione per ritornare sull’argomento è il progetto del MIT di realizzare davvero una macchina con quelle caratteristiche.

Naturalmente non avevo fatto alcuna “profezia”. Mi ero limitato a qualche ragionamento sui percorsi possibili verso tecnologie meno balorde e più efficienti – che avevo poi sviluppato nel dicembre 1997 con l’ironico titolo Finalmente! tutto funziona. Avevo verificato tutte le ipotesi con persone molto più preparate di me nelle specifiche tecnologie. Il “sogno” che descrivevo era realizzabile allora – e ovviamente lo è ancora di più oggi, con una più ampia (forse eccessiva) gamma di soluzioni possibili. Gli anni passano... ma non si vede la fine di una deriva disastrosa, con soluzioni sempre più complicate e sempre meno efficienti, che hanno portato non solo a un enorme spreco di denaro, ma anche a ogni sorta di disfunzioni (vedi Il paradosso della tecnologia e La stupidità delle tecnologie).

Prima di alcune osservazioni generali, che mi sembrano sempre più di attualità, vediamo com’è il “computer a manovella” che si sta progettando. L’idea è buona, intelligente, orientata nella direzione giusta. Se e quale sarà l’applicazione pratica rimane da vedere – ma intanto l’impostazione del progetto suscita alcuni dubbi.

Quel computer, per ora, non esiste. È un modello di cui sono definite le caratteristiche, ma non sono chiari i tempi di realizzazione. Si tratta di un laptop, cioè di un computer portatile, dal prezzo teorico di cento dollari (“teorico” perché dicono che non sarà messo in commercio, ma distribuito da organizzazioni governative alle scuole nei “paesi in via di sviluppo” – soprattutto in Africa). È pensato per i bambini. Infatti, anche se non lo è, ha l’aspetto di un giocattolo.


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Il fatto di avere una manovella, cioè di poter caricare la batteria anche in assenza di corrente elettrica, non è l’unica caratteristica rilevante di un prodotto di questo genere. Deve anche essere semplice, robusto, poco soggetto a guasti, facilmente riparabile – e ovviamente basato su tecnologie opensource. Deve avere un sistema operativo nitido, poco ingombrante, poco soggetto a incepparsi (cosa sostanzialmente facile – ma “controcorrente” rispetto alle tecnologie oggi dominanti).

Ci sono due ovvie domande. La prima è: perché solo ora?  Che soluzioni di questo genere siano possibili è chiaro da più di vent’anni. La risposta evidente è “meglio tardi che mai”. Ma non basta. Dobbiamo continuare a chiederci, con paziente e implacabile ostinazione, perché siamo costretti a subire le conseguenze di sistemi sempre più complessi e sempre meno funzionali.

L’altra, che mi sembra importante, è: perché uno solo?  Per quanto meritevole possa essere l’iniziativa del MIT, è sconcertante che non ci siano altre proposte del genere. Potrebbero svilupparsi in diverse parti del mondo, con tecnologie già disponibili o realizzabili senza grandi difficoltà. L’effetto più desiderabile di questa (tardiva) novità sarebbe uno sviluppo esteso di prodotti efficienti, semplici, robusti, affidabili e compatibili. Cioè il contrario della tendenza purtroppo dominante.

Potremmo chiederci anche: perché solo i bambini?  È importante, certo, dare alle nuove generazioni strumenti di conoscenza e formazione. Ma ciò non significa che ci si possa “dimenticare” degli adulti. O che la cultura possa essere “esportata” senza un adeguato contributo di risorse locali.

Il prezzo, certo, è un fatto importante. Sappiamo da molti anni che è possibile produrre ottimi computer a meno di cento dollari. (Metà del prezzo, comunque, si elimina usando software gratuito). Siamo, da un’esagerata quantità di tempo, vittime di un mercato impazzito in cui spesso prevalgono prodotti inefficienti e assurdamente cari. Da vent’anni stiamo aspettando che si arrivi a una situazione più ragionevole, in cui chi vuole può acquistare macchine più complesse, ma chi non ne ha bisogno possa trovare facilmente, a prezzi contenuti, software e hardware adeguati alle sue esigenze. Qousque tandem?

Ma il prezzo non è tutto. Occorrono macchine meno complicate, meno delicate, meno soggette a incepparsi per i più stupidi motivi. Più affidabili, più robuste, più facilmente riparabili (e con una disponibilità di pezzi di ricambio che non si esaurisca al passaggio di ogni labile moda). Utili, certo, in condizioni difficili, come quelle di paesi (o aree) con uno scarso sviluppo industriale e una disponibilità poco diffusa di energia elettrica. Ma non solo. Offrire computer robusti e funzionali all’Africa è un dovere civile e sociale. Ma ciò non significa che sia ragionevole tenere arretrata l’Europa (come il resto del mondo) nel marasma dell’inefficienza e dello spreco.

Molti, da noi, si chiedono se potranno comprare (se e quando esisterà) il nuovo laptop del MIT (anche a me piacerebbe averne uno). La risposta è no. Come già spiegato, sarà distribuito solo per canali istituzionali in paesi africani e in altri “in via di sviluppo”. Lo potranno avere solo i bambini, attraverso le scuole. Forse per questo ha l’aspetto di un giocattolo... nulla di male, naturalmente, che abbia colori vivaci invece del solito deprimente grigiastro (o di un più elegante, ma monotono, nero). L’importante, però, è capire che non si sta giocando.

Un’ipotesi maligna è che si voglia evitare di “disturbare” le grandi imprese del hardware e del software, che potrebbero essere fra i finanziatori dell’istituto in cui si sta sviluppando il progetto. Non è del tutto assurdo immaginare che si possa arrivare a un commercio clandestino... computer sottratti ai bambini africani cui sono destinati per essere venduti di nascosto a collezionisti americani o europei.

Quando, dieci anni fa, nacque la radio a manovella, applaudita come “una risorsa per l’Africa”, fu messa in vendita anche da noi. Con la promessa (non so quanto mantenuta) che una parte del ricavato sarebbe andata a beneficio dei paesi in cui ce n’è più bisogno. Perché con il computer non si può fare la stessa cosa?

Come abbiamo visto, quello che stanno progettando è un laptop, cioè un portatile. Giusto, forse, per lo scopo specifico cui è destinato. Ma è ovvio che sarebbe utile sviluppare anche un desktop, cioè un computer da tavolo, con le stesse caratteristiche (e probabilmente avrebbe un costo ancora più basso). Avrebbe la manovella? Non so. Ci sono altre possibilità, come l’uso di risorse rinnovabili. Si potrebbe anche caricare la batteria con un sistema a pedali, come le biciclette che si usavano per le radio da campo ai tempi della prima guerra mondiale. Così si fa anche un po’ di ginnastica...

È vero che da noi non è difficile comprare un computer con cento euro (specialmente quando si usa software opensource). Basta trovare un buon usato. Ma il problema è un altro. Avere macchine più serie, più affidabili, più efficienti. Che con le economie di scala potrebbero scendere anche al di sotto di quella cifra.

Insomma... l’importante sarebbe che l’iniziativa del MIT non rimanesse un “caso isolato”. Potrebbe muoversi l’India, cui non mancano le risorse tecniche e professionali. O la Cina, se non fosse preoccupata di un’eccessiva diffusione di strumenti informativi. O anche qualche paese più “piccolo”, ma dotato di competenze qualificate. E perché non l’Europa, che tanto ha contribuito nella storia allo sviluppo dell’elettronica (vedi la cronologia in questo sito) e potrebbe ritrovare un ruolo importante sviluppando prodotti più sensati e funzionali?

In Italia ci lamentiamo (non a torto) dello spazio troppo ristretto per i nostri programmatori e progettisti. Questa potrebbe essere un’occasione per produrre innovazione autentica e reale utilità – magari anche con un tocco intelligente di design (non è detto che un computer pratico, efficiente e poco costoso debba essere “brutto”). E così andare alla conquista del mondo. Come tante volte le nostre imprese hanno dimostrato di saper fare in altri settori e con altre tecnologie.




Post scriptum
15 dicembre 2005


Una notizia diffusa a metà dicembre dice che probabilmente un’impresa di Taiwan, Quanta, produrrà computer concepiti secondo il modello progettato dal MIT. (Non è un caso che la Quanta sia una finanziatrice dell’istituto, con un “accordo di ricerca” che vale 20 milioni di dollari).

Si dice che i nuovi computer cominceranno a essere disponibili alla fine del 2006, con l’obiettivo di produrre “da 5 a 15 milioni di esemplari” per “avviare progetti pilota” non solo in Africa (Egitto e Nigeria) ma anche in Cina, India, Tailandia, Argentina e Brasile. Si dice anche che “parallelamente sarà esplorata la possibilità di una versione commerciale del prodotto”.

Le dimensioni dell’ipotesi possono sembrare ambiziose, ma sono ovviamente molto limitate – almeno all’inizio – rispetto all’enorme ampiezza del problema. Comunque... dopo tanti anni sprecati ignorando la realtà o proponendo soluzioni sbagliate, speriamo che qualcosa cominci a succedere davvero.

Intanto l’Europa e l’Italia continuano a dormire.




Un altro post scriptum
15 febbraio 2007


Sembrava che anche questa, come altre “buone idee”, fosse caduta nel dimenticatoio. Ma, dopo un anno di silenzio, pare che qualcosa si muova. Secondo una notizia diffusa il 13 febbraio 2007, c’è un nuovo “prototipo”, con caratteristiche un po’ diverse da quelli precedenti, ma con lo stesso genere di qualità e prestazioni.

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Pare che il prezzo sia aumentato a 188 dollari – o forse più di 200. Piuttosto alto, per lo scopo di questa iniziativa, ma (si spera) riducibile con l’aumento delle quantità. Si dice che cinque milioni di questi computer saranno prodotti nel luglio 2007 – con l’obiettivo di arrivare a 50 milioni nel 2008 e a 150 milioni nel 2010. Pare che i primi “esperimenti pilota” siano previsti in Brasile, Libia, Pakistan, Ruanda, Tailandia e Uruguay (forse Etiopia, Nigeria e Palestina).

Ci vorranno mesi, probabilmente anni, per capire se alle intenzioni seguiranno i fatti – e se finalmente idee come questa avranno un’applicazione estesa. Intanto “si dice” che un’iniziativa analoga si stia sviluppando in India.

In Europa c’è qualche sviluppo nell’uso di soluzioni opensource, ma non risulta che ci sia alcun progetto di questo genere. L’Italia continua a dormire.




Gli anni passano...
30 luglio 2010

Sono passati altri tre anni. C’è una sintomatica scarsità di notizie aggiornate. Sembra che sul progetto del MIT sia caduta una coltre di silenzio. Se i “milioni di esemplari” dichiarati fossero stati prodotti e distribuiti, qualcuno lo direbbe. È difficile capire se si tratti di un fallimento totale o di risultati molto inferiori alle ambizioni. Ma certo siamo lontanissimi dall’obiettivo dichiarato “un computer per ogni bambino” (nessuno sa quanti bambini ci sono al mondo, ma si stima che siano due miliardi).

Di un ipotetico progetto indiano non ci sono state notizie fino a quando, il 23 luglio 2010, si è annunciata la realizzazione di un computer da 25 euro. Non resta che aspettare, per vedere se ci sarà davvero nel 2011.

 




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