Tenerezza
Un prezioso valore trascurato

Giancarlo Livraghi – sttembre 2013

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I sentimenti affettuosi sembrano quasi scomparsi dal vocabolario. Non perché non esistano più nella realtà della vita, ma perché molto spesso sono nascosti (o, perlomeno, non chiamati per nome) – come se si trattasse di imbarazzanti “intimità” di cui vergognarsi. (Mentre altre, in particolare il sesso, sono esibite e sbandierate con tale frequenza, banalità e grossolanità da renderle stucchevoli, sgradevoli e noiose).

Nel 2011 sembrava che stesse nascendo un nuovo interesse per l’empatia. Ma poi è ritornata nel dimenticatoio. Sembrano in decadenza anche simpatia, affetto, comprensione, armonia, passione, gentilezza, buonumore, sorriso. E specialmente tenerezza.

Ovviamente si esprime tenerezza per i bambini (specialmente i neonati). Ma in molti casi è solo cerimoniale manierismo. Talvolta, un po’, per i vecchi, ma con una “compassione” troppo spesso alterata da un esplicito o sottinteso disprezzo per le loro (vere o presunte) debolezze, balordaggini o ingenuità.

Abbondano gli appassionati intenerimenti per cani e gatti. Meno spesso per altri animali “domestici” o addomesticati – compresi cavalli, conigli, criceti, topi, tartarughe, pappagalli, capricciose e dispettose scimmiette, uccelli in gabbia e pesci nell’acquario.

Ci sono affetti estesi (più nel dire che nel fare) anche ad altre specie. Con scelte non sempre ragionevoli. È spontaneo sentire simpatia per gli amichevoli, simpatici e intelligenti delfini. Meno comprensibile voler fare (o immaginare) rischiose coccole a squali, coccodrilli o serpenti velenosi.

Nei rapporti fra umani, vediamo imperversare la rabbia, l’ostilità, l’antipatia, la polemica, il disprezzo, l’egoismo, l’incomprensione, l’ostinazione, l’acredine, l’impazienza, la villania. L’urlo e il mugugno invece dell’ascolto.

Tutto questo non è così dominante nella realtà della vita come sembra nell’ostinata esibizione del peggio in televisioni e giornali (e anche online).

Ma si rischia di imitare il cattivo esempio senza neppure rendersene conto.

I motivi per arrabbiarsi sono tanti. In molte cose è giustificata la paura, l’indignazione, lo sgomento o lo scoraggiamento. Ma con furia indiscriminata, pregiudizi e preconcetti, si confondono i problemi invece di risolverli.

Non si tratta, ovviamente, di arrendersi. Né di fare “buon viso a cattivo gioco”. Ma innervosirsi è autolesionista. Rischiamo non solo di confonderci, ma anche di sfogare la nostra rabbia su chi non è responsabile dei misfatti. In particolare, e ancora peggio, sulle persone che ci sono più vicine.
 

L’amore? È da sempre la più grande fonte di felicità e sofferenza, gioia e dispiacere, emozione e delusione. L’argomento inesauribile di miti, fiabe e leggende, poesie, canzoni, commedie e tragedie, ironie e barzellette, romanzi e novelle, quadri e sculture, prediche e dissertazioni, riti e cerimonie, feste e celebrazioni, profonde o superficiali filosofie e (spesso pseudo) studi scientifici.

Perfino in un clima di grossolana e distorcente banalità sul sesso, come quella di cui siamo circondati, rimane percepito (più di quanto sembra) il fatto che l’amore è qualcosa di diverso da una casuale, effimera avventura, una vicenda di seduzione o conquista, possesso o esibizione, piacere fisico o divertimento. Né riguarda solo la vita di coppia.

Si possono amare cose, luoghi, ambienti, opere d’arte o di letteratura, musiche, idee, pensieri. Anche persone, senza che questo sia un “tradimento” di quelle a cui siamo legati da vincoli sentimentali o famigliari.
 

La passione? Può essere simile all’amore, ma non è la stessa cosa. Non tutti gli amori sono passionali e non tutte le passioni sono amorose. Così l’ho descritta in una pagina, che non ho ancora pubblicato in italiano, sugli antidoti al potere della stupidità.

C’è un’emozione forte che si chiama passione. Al contrario di ossessione o ansietà, è una potente e vivace risorsa.

Ci sono rischi. Possiamo fare sciocchezze e renderci ridicoli quando siamo travolti dall’entusiasmo. Ma è molto più stupido essere passivi, indifferenti, apatici, trascurati o insensibili.

Si può essere sinceramente appassionati di grandi idee o piccoli divertimenti, persone che amiamo o cose cui siamo affezionati, compiti importanti o apparentemente minuscoli dettagli. Comunque, è un modo essenziale di essere umani. Piacevolmente intenso e fortemente motivante.

La passione è una forza vitale, una spinta esaltante alla base dei più importanti e gratificanti successi nell’evoluzione umana. È un formidabile antidoto alla noia, alla depressione, all’inerzia – e alla stupidità.

Come ogni terapia forte, può avere “effetti collaterali”. Ma senza passione non possiamo essere davvero vivi.

Ci può essere passione in ogni genere di attività. Per esempio nel lavoro. Se abbiamo la fortuna di fare un mestiere che ci piace e ci interessa, non è un faticoso obbligo per guadagnarci da vivere. È anche e soprattutto una voglia appassionante di fare sempre meglio, imparare, crescere, capire, progredire.
 

La tenerezza è diversa dall’amore e dalla passione. Non è travolgente, né esaltante. Può essere consapevole o istintiva. È mite, dolce, quieta, sommessa. Ma proprio per la sua delicatezza è una forza straordinaria.

Può essere ricambiata o non. Non è una merce di scambio. C’è gioia, piacere, benessere nel dare anche senza ricevere. Non è mai il caso di aspettarsi “gratitudine”. Ma possiamo essere gradevolmente sorpresi da inattese, intenzionali o inconsapevoli, reciprocità.

Accade spesso che l’ira si scateni contro qualcuno che non è l’origine del problema. Se la persona è arrogante e ostile, merita di essere rimproverata. Se, invece, è aperta a capire, non è solo più umano, ma anche più efficace, cercare di ottenere la sua collaborazione. In questi casi è raro che ci si possa intenerire, ma può essere molto importante la reciproca comprensione.

Un errore diffuso è credere che una persona comprensiva e gentile, capace di tenerezza, sia compiacente e inoffensiva. In generale è poco incline all’urlo, al fracasso o alla violenza. Ma quando si trova davanti a bugie, scorrettezze, imbrogli, cattiverie, intrighi o ingiustizie può rivelarsi molto severa.

Le occasioni di tenerezza possono essere continue e profonde, oppure occasionali e inaspettate. Sono tutte gradevoli e fertili. Possiamo esprimere tenerezza per intenzionale volontà o per un atteggiamento spontaneo di cui non sempre ci rendiamo conto. Comunque sia, è sempre un valore. E non è mai un segno di debolezza, timore, rassegnazione, fragilità o sottomissione.

Non è e non può essere una panacea. Ci sono comportamenti e situazioni per cui intenerirsi sarebbe insensato. Non è raro il caso che qualcuno chieda, o pretenda, tenerezza o comprensione mentre non ne merita. È importante saper riconoscere il diffuso fatto contrario: chi la merita, ma non la chiede.

Sono profondamente grato alle persone che, consapevolmente o no, mi hanno regalato un po’ di tenerezza. E spero di non aver perso troppe occasioni per esprimerla (ovviamente senza dirlo) a qualcuno che merita di riceverla.

Spesso basta un sorriso, uno sguardo, un gesto, un ascolto, una gentile attenzione, un silenzio al momento giusto o un atteggiamento comprensivo per esprimere ciò che non è necessario dire in parole.

Se ci imbarazza chiamarla “tenerezza”, non è necessario definirla. Ciò che conta è il comportamento, non la terminologia.

Non posso evitare di ripetere, in conclusione, il concetto fondamentale. La tenerezza (quella vera) non è una debolezza. Quando è autentica, sincera e ben motivata, è un formidabile atto di forza.



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