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I nodi della rete
di Giancarlo Livraghi
17 – settembre 2002


La nascita di un sorriso
 
Ovvero l’arte perversa di complicare le cose semplici


Credo che a pochi lettori interessi sapere in quale anno è nata la prima “faccina” :-) – o smiley, o emoticon – di cui poi è diventato abituale l’uso nell’internet, con un’infinità di varianti (vedi il capitolo 50 di L’umanità dell’internet). Anche per chi, come me, è curioso in generale di storia, e in particolare di quella della rete, non è fondamentale capire se l’origine sia stata nel 1979 o nel 1982.

Ma accade spesso che da un piccolo episodio, apparentemente insignificante, si possa trarre un segnale su cose di non poco rilievo.

Il 13 settembre 2002 è stato annunciato, con una certa solennità, l’esito di una lunga e laboriosa ricerca. Otto mesi di lavoro, “parecchie” persone coinvolte, mobilitate le risorse del “system and networking research group” della Microsoft e della Carnegie Mellon School of Computer Science. Restaurate e controllate montagne di vecchie registrazioni. Alla fine di questa monumentale esplorazione, Mike Jones a Redmond ha concluso che il primo smiley era stato usato da Scott Fahlman il 19 settembre 1982.

Pare che nessuno, in quel lungo e complicato lavoro, si sia dato la pena di controllare altre fonti, disponibili da tempo, da cui risulta che la faccina sorridente era stata inventata da Kevin MacKenzie nel 1979 (vedi la cronologia in appendice a L’umanità dell’internet). È molto probabile che sia questa la data più attendibile. Ma il problema è un altro.

  • Perché si è fatta così tanta fatica per “scoprire” qualcosa che già si sapeva – e oltretutto sbagliare?


  • Perché in tutto quel processo nessuno ha mai dato un’occhiata ad altre fonti?


  • Perché alla fine è stata diffusa e riferita acriticamente la “notizia” senza controllare se esistessero altre informazioni?

Lo studio della storia dimostra come in molti casi interpretazioni altrettanto superficiali e mal documentate siano state accettate come “verità rivelata”, con conseguenze che non solo sconvolgono le conoscenze storiche ma portano a eventi drammatici e talvolta tragici.

Lo studio delle scelte pratiche fatte da imprese, governi e istituzioni di ogni specie dimostra come decisioni sbagliate, talvolta catastrofiche, derivino da errori non meno banali.

Lo studio delle organizzazioni umane dimostra come si imbocchino spesso percorsi tortuosi, complessi, lunghi e faticosi per arrivare a conclusioni che si potrebbero ottenere molto meglio con metodi più semplici e veloci.

L’esperienza dimostra che la complessità del metodo e l’abbondanza di risorse tecniche non offrono alcuna garanzia sulla qualità dei risultati. Un piccolo errore (od omissione) può corrompere irrimediabilmente tutto il processo e la “credibilità apparente” che deriva dall’elaborazione può trasformare qualsiasi sciocchezza in ciò che sembra una verità indiscutibile.

La superficialità e l’arroganza sono spesso la causa della stupidità, che è la più grande forza distruttiva nella storia del genere umano – come vicende recenti confermano con preoccupante frequenza. Il paradosso della tecnologia è solo una delle tante conferme.

Credo che non sia tempo perso badare ogni sorta di segnali – anche piccoli come quello che ho citato. Perché non siamo mai abbastanza attenti nell’evitare complicazioni inutili o banali errori di disattenzione. E non siamo mai abbastanza bravi nel cogliere le soluzioni semplici che ci danno un buon motivo per sorridere.


 
Cinque giorni dopo l’uscita di questo articolo, il 18 settembre 2002,
il Corriere della Sera e altri giornali hanno pubblicato con evidenza,
come se fosse vera, la notizia della “scoperta” fatta dalla Microsoft.
Questa “bufala”, in sé, non è importante. Ma è un ennesimo sintomo
di quanto poco ci si possa fidare dei mass media.
 


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