gassa

I nodi della rete
di Giancarlo Livraghi
aprile 2011


Disponibile anche in pdf
(migliore come testo stampabile)

Pubblicato anche in InterLex il 2 maggio 2011


Le balordaggini degli e-book


Può sembrare bizzarro questo mio scrivere “a puntate”, come un tempo si faceva con i romanzi. Spero che i lettori non lo trovino fastidioso. Un giorno, probabilmente, raccoglierò tutto in un solo testo più organico. Ma non so quanto tempo ci vorrà per arrivare a una ragionevole “maturazione”. Intanto l’argomento è “fluido”, confuso, aggrovigliato. L’evoluzione è incerta e disorientata.

Non è irragionevole seguire un percorso inevitabilmente intriso di dubbi, condizionato da un graduale apprendimento – e basato, per quanto possibile, sui fatti, non su vaghe ipotesi o azzardate elucubrazioni di chi ha scarsa esperienza pratica.

Questa è la terza “puntata”. Le prime due sono:
Le malattie infantili degli “e-book” – ottobre 2010
Far morire gli e-book perché possano nascere – marzo 2011
(con due parti aggiunte poi come post scriptum).

Il titolo di questo mio terzo (o quinto) capitolo deriva dalla rinnovata serie di testi che pubblica Manlio Cammarata, con cui è in corso un dialogo che aiuta ad approfondire – e anche a mostrare come ci possano essere, giustamente, differenze di opinione.

Li raccoglie in una serie intitolata Questa balorda fase di sviluppo degli e-book e spiega così il motivo. «Incomincia qui una breve esplorazione della “filiera” dell’e-book. Per capire che cos’è un e-book e quali sono i problemi di questa prima fase. Che Giancarlo Livraghi considera “balorda”. E sotto molti aspetti coglie nel segno».

Il suo punto di vista e il mio sono diversi. E proprio questo rende il dialogo interessante. Manlio Cammarata si concentra specificamente sul “mondo degli e-book” come “addetto ai lavori”, pioniere concreto di un’ipotetica nuova editoria elettronica. La mia prospettiva e un’altra. Ragiono soprattutto come lettore. Anche, ovviamente, come autore – e, in più, mi baso su conoscenze pratiche di editoria, fin dai tempi in cui, mentre studiavo all’università, lavoravo come bibliografo e bibliotecario. Esperienza che poi è continuata, in vari modi, per tutta la mia vita. Le nostre origini culturali sono simili. Giornalismo, comunicazione, scrittura. Tutti e due siamo in rete dall’epoca, che sembra remota, in cui si andava per bbs. Tutti e due abbiamo un sito web da quindici anni. Ma lui ora si sta affezionando agli e-reader, nonostante le loro malattie infantili. Io continuo a diffidarne – anche se la mia inguaribile bibliofilia non è mai stata “condizionata dal supporto”.

Così ritorniamo al punto di partenza. Che cos’è un e-book?

La definizione tecnica (come spiegato da Cammarata) è questa. «Quando parliamo di e-book, non parliamo di un libro riprodotto in qualche modo su un computer, ma di una nuova forma di libro, con particolari caratteristiche di rappresentazione del testo». Cioè «Il vero e-book è nato un paio di anni fa, grazie a una tecnologia nuova e ancora oggi poco evoluta: quella della “carta elettronica” (e-paper) o dell’“inchiostro elettronico” (e-ink)».

Ma è inevitabile che la definizione sia un po’ confusa. La maggior parte delle persone non bada alla precisione tecnica. È facile pensare che “e-book” e “libro in elettronica” siano la stessa cosa.

Non è solo un problema lessicale. Se si vuole restringere la definizione a una particolare tecnologia (ancora balbettante e mal funzionante) che potrebbe essere in qualsiasi momento superata da un’altra, occorre comunque capire in termini più ampi l’evoluzione generale del “libro non stampato” (evitando, spero, di usare un aggettivo ambiguo come “digitale”).

Più che badare al vocabolario, è importante chiarire di che cosa si sta parlando. Come ho già scritto, varie volte, in altri casi, quando si pone la socratica domanda ti estì si rischia la cicuta. Ma spero di poter continuare a cercare di capire senza che si apra l’armadietto dei veleni.

In modo un po’ grossolano, in questa fase dell’evoluzione, potremmo distinguere tre categorie di libri “non di carta”.

  • Quelli che ci sono da quarant’anni e offrono una varietà di risorse. Dal “puro testo”, che ognuno può leggere così com’è o impaginare (e stampare) come preferisce, ai vari sistemi di word processing. Dal “generico ma efficace” pdf a forme più evolute che permettono di fare edizioni anastatiche. Basterebbero quelle tecniche, con le loro possibili evoluzioni, se non ci fosse la nuova proposta della “carta elettronica” che (si dice) ha una leggibilità paragonabile alla carta stampata.

  • I cosiddetti tablet. Esistono da dieci anni. (Che fine hanno fatto, intanto, i “palmari”?). I tablet sono “arnesi da viaggio”, per quando si ha bisogno di uno strumento leggero e poco ingombrante. Sono follemente costosi (più dei computer) e considerati “cose da ricchi”. I sostenitori dei “nuovi” e-reader dicono che sono superati, perché non offrono né e-papere-ink. È probabile che nella confusa evoluzione delle tecnologie siano un episodio, in attesa di una “convergenza” che offra un’equilibrata gamma di scelte secondo le esigenze dei lettori.

  • E ora, da due anni, c’è la malaticcia infanzia di quelli che “vorrebbero essere” gli unici a meritare di chiamarsi e-book. Hanno l’ambizione di proporsi come progenitori di una, non meglio identificata, “nuova editoria” – di cui finora non si vedono neppure le pallide luci dell’alba.

Prima di proseguire, apriamo una parentesi. Nel già citato articolo, Manlio Cammarata ironicamente scrive: «I cultori del libro tradizionale, come l’amico Giancarlo Livraghi, si disperano. Dove è andata a finire l’arte di impaginare?»
L’amichevole provocazione merita una risposta. È vero che sono affezionato ai libri stampati – soprattutto per leggerli, ma anche come oggetti che mi fanno un’insostituibile compagnia. Ma non sono “cultore esclusivo” di alcun modo di fare libri. Sono convinto (come ho sempre detto e scritto) che “amare i libri” vuol dire capirli in tutte le loro forme. Dal rotolo di papiro al manoscritto su pergamena, dal testo inciso nel marmo a ciò che leggiamo e scriviamo con un computer.
Certamente non mi “dispero” per il “balordo sviluppo” degli e-book. Se fossi maligno, potrei dire nunc est bibendum, come Orazio in morte di Cleopatra – e gioire del loro fallimento. Ma, al contrario, preferirei che guarissero delle malattie infantili e diventassero, davvero, un altro modo utile per leggere. Permettendo una ragionevole “arte di impaginare”, oggi resa difficilissima, se non impossibile, dalle rozze tecnologie degli e-reader.

Nelle leggende che circondano gli e-book ci sono alcune fondamentali contraddizioni. Si dice che (grazie a e-paper ed e-ink) sono “come un libro stampato” (o addirittura, in certe condizioni di luce, “meglio”). Ma contemporaneamente gli aggeggi oggi disponibili costringono a “disimpaginare” per evitare che un libro, prodotto in quel modo, diventi illeggibile. Non è ancora possibile capire se ci si sta avvicinando all’intenzione originaria, una realizzazione in “similcarta” dei libri così come li conosciamo – o se stia nascendo una difficilmente definibile “nuova editoria”. Da questa impasse bisognerà trovare una via d’uscita.

Per cominciare, bisognerebbe definire un “formato”. Per andare incontro ai desideri dei lettori, forse potrebbero essere più di uno. Ma pochi (è necessario che siano più di due?) e ragionevolmente “standardizzati” per evitare di dover fare troppe impaginazioni diverse o di subire la violenza di una destrutturazione, che può solo rendere più difficile e faticosa la lettura o togliere ad autori, editori e redattori la possibilità di “costruire” il libro come vogliono.

Come già osservato nelle “puntate precedenti”, un fattore inquinante è il prezzo. Tutti gli e-reader sono troppo cari, anche in quell’assurda dimensione “9x2cm” che è inutilmente piccola. Quelli di dimensioni un po’ più ragionevoli hanno prezzi ancora più esagerati. Così c’è un’altra infezione che complica il quadro clinico delle “malattie infantili”. Un ulteriore approfondimento su questa distorsione è in un recente articolo di Manlio Cammarata E-bo...ok, il prezzo è ingiusto.

Se non si risolvono questi problemi, non andiamo verso una “nuova editoria”, ma rischiamo di fare un drammatico salto indietro nel tempo, a cinquecento o cinquemila anni fa, quando un copista sbagliava a copiare, pasticciava l”ortografia, scriveva senza punteggiatura, non metteva spaziature fra le parole, eccetera. Oggi i guasti sono diversi, ma il rischio è lo stesso: la mancanza di una cultura del “fare libri”. Già nei libri stampati, purtroppo, c’è un degrado. Con gli automatismi tecnici, è peggio.

Stranamente, si può rischiare anche di cadere nella sciocca malattia che affligge troppi siti web, con l’invadenza di balordi “effetti grafici” a scapito dei contenuti e della leggibilità. Nulla che possa remotamente somigliare al fascino artigianale di un poco leggibile, ma esteticamente splendido, codice miniato.

Le tecnologie non aiutano. Quelle dei “nuovi e-book” si basano su elaborazioni ancora immature, provvisorie, male evolute e mal funzionanti – che creano molti più problemi di quanti ne possano risolvere. Insomma siamo alle solite: tecnologie pensate secondo la logica unilaterale degli ingegneri, senza badare alla funzionalità per quello che dovrebbero fare.

Ad abundantiam c’è il problema del plagio. Che è sempre esistito, ma con la facilità del “copia e incolla” si è moltiplicato.

Non si tratta dei soldi, cioè del dibattuto “diritto d’autore”. Ma del furto di pensiero e di idee – o, peggio, deformazione. Inseguire tutti i copiatori o manipolatori è impossibile – ma almeno è opportuno che ci sia un “testo certo di riferimento”, come può essere assicurato da un libro stampato con il consenso e la verifica dell’autore.

Alcuni laudatores delle nuove tecnologie si entusiasmano all’idea di libri “condivisi”, che ognuno cambia come gli pare. Se è un gioco in cui tutti partecipano d’accordo, o un palese scherzo su opere ben note, può essere divertente. Ma quando diventa manipolazione non bene identificabile come tale, aperta a ogni forma di inganno o di stupidità, il risultato può essere mostruoso.

Con i “nuovi e-book” l’imbroglio è facile? Pare di no. Ma è sempre meglio tenere gli occhi aperti quando si aprono troppe possibilità a incauti o maligni “copisti”.

E soprattutto – al centro del vortice marasmatico c’è la sciagura del walled garden, il “giardino cintato”. Roba da feudalesimo medioevale. Il risultato è che non solo gli e-reader sono grottescamente cari, ma anche incompatibili fra loro.

Ci vuole una rivoluzione copernicana. Mettere al vertice di ogni sviluppo o esperimento le esigenze dei lettori e la qualità dei libri. L’umanesimo e la cultura. Non abborracciate tecnologie – né miopi, quanto rapaci, pretese di chi sta vendendo discutibili accrocchi a prezzi da gioielleria.

Intanto, per fortuna, ci sono i libri di carta. Che nulla, all’attuale “stato dell'arte”, può sostituire. Con tutto il rispetto e la simpatia per ogni altra possibilità che possa nascere, questa è una constatazione confortante.


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