Letica e le imprese
Intervista di Anna Fata a Giancarlo Livraghi
per il convegno
Etica e benessere in azienda
Senigallia, 3 giugno 2008
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È possibile parlare di etica o sarebbe più corretto parlare di etiche?
Credo che letica sia una e che i princìpi fondamentali debbano essere chiaramente definiti, capiti e praticati in ogni attività e relazione umana. Solo quando i concetti di base sono chiari e condivisi è ragionevole derivarne applicazioni specifiche a singoli settori di attività (o di impresa).
Il processo contrario (partire da esigenze particolari per risalire ai valori generali) può essere meschino e deviante. Molte cosiddette deontologie sono in realtà difese settoriali o travestimenti di privilegi corporativi, con ambiguità che confondono il quadro e un po troppo spesso tradiscono la dichiarata intenzione di rispettare criteri etici.
Come fare per evitare che letica diventi solo un contenitore vuoto, un attributo aziendale ostentato per vendere di più?
Qui occorre fare una netta e severa distinzione. Se unimpresa davvero rispetta, in ogni fase e momento del suo agire, chiari criteri di correttezza e trasparenza, merita di trarne tutti i vantaggi che derivano dai rapporti di fiducia con tutti i suoi interlocutori (non solo i consumatori di prodotti o utenti di servizi). Ha anche il diritto di vantarsi del suo comportamento (offrendo a tutti la possibilità di verificare la verità e credibilità di ciò che afferma). Se così facendo vende di più meglio per tutti.
Ma se (come spesso accade) la vanteria è infondata, o esagerata, o non attinente alle reali priorità, si tratta di un inganno. Che non è solo una violazione etica, ma anche un rischio: perché la scoperta della millanteria si può tradurre in una perdita di fiducia che incrina la credibilità dellimpresa.
Uno dei motivi per cui si cade in questo genere di autolesionismo è lesagerata attenzione alle strategie di breve periodo. Un manager accumula incentivi per profitti di corto respiro, un proprietario si arricchisce con la vendita dellimpresa o con la sopravvalutazione del titolo in borsa eccetera. Chi verrà dopo dovrà raccogliere i cocci. Come diceva Madame de Pompadour, aprés nous le dèluge. Passata la festa e gabbato il mercato, a lasciarci la testa sarà qualcun altro.
Come evitare di cadere in quel che Max Weber definisce etica della convinzione e privilegiare letica della responsabilità?
Credo nelletica come principio assoluto: quello che Immanuel Kant chiamava limperativo categorico. Ma questo è fondamentalmente un valore individuale. Molte volte sono stato rimproverato per eccesso di eticità (e ne ho anche pagato le conseguenze). Non cè rimedio. Questa è la mia scelta, sono incapace di cambiarla, se qualcuno mi considera ridicolo o sciocco forse ha ragione, ma scendere a compromessi è contro la mia natura.
Quando si tratta di imprese, o comunque di situazioni collettive, ciò che conta è letica della responsabilità. Se qualcuno in privato fa cose che ad altri possono apparire sgradevoli, e se ciò accade a uno con se stesso o fra adulti consenzienti, si tratta di scelte personali, irrilevanti dal punto di vista del benessere collettivo. Perciò è centrale, in ogni ragionamento di questo genere, il concetto di responsabilità.
Se qualcuno commette un errore in buona fede, cioè non sapendo di nuocere, può essere umanamente comprensibile e perdonabile. Ma nei fatti è responsabile delle conseguenze, indipendentemente dalle sue intenzioni.
E viceversa se qualcuno è fortunato, cioè ottiene risultati positivi senza essersi seriamente impegnato per raggiungerli, è inutile invidiarlo. Lesito è quello che conta se è fortuna buon per lui e per tutti. Ma dobbiamo ricordare che la fortuna è imprevedibile, perciò le responsabilità devono essere attribuite in base a una reale capacità di agire, con metodo e continuità non a qualche episodico successo casuale.
Etica laica ed etica religiosa: è possibile un punto di incontro e di conciliazione, specie in un contesto economico?
Su questo tema sono schierato: la responsabilità civile deve essere laica. Ognuno è ovviamente libero di credere e praticare la religione che sceglie, ma non è accettabile che imponga ad altri le sue convinzioni. Le religioni sono tante e allinterno di ciascuna ci sono varie e diverse interpretazioni dei doveri. Sono irrinunciabili le libertà di pensiero che abbiamo ottenuto con il rinascimento, con lilluminismo e con lo sviluppo della scienza sperimentale.
Sono molte le minacce di regresso verso lintegralismo, lassolutismo, limposizione aprioristica di dettami arbitrari legittimati dallattribuzione a una volontà divina interpretabile solo da questa o quella gerarchia clericale. E non si tratta solo delle religioni. Ci sono filosofie dellessere e dellagire che, se imposte arbitrariamente come regola, sono altrettanto inaccettabili.
Alcune osservazioni su questo argomento, che mi sembrano rilevanti, si trovano in un mio libro, Il potere della stupidità (http://stupidita.it). In particolare in un capitolo intitolato La stupidità del potere (è anche online: http://gandalf.it/stupid/cap10.htm).
Letica viene spesso percepita come limite. Come spostare il focus dellattenzione sullaltra faccia della medaglia, ovvero, come fare percepire le possibilità che essa comporta?
Ci sono due errori filosofici contrapposti e ugualmente devianti. Uno è quello che Jean-Jacques Rousseau chiamava le bon sauvage: luomo è per natura buono, generoso, gentile è la civiltà che lo corrompe. Laltro è che tutta lumanità sia per sua natura malvagia ed egoista (homo homini lupus) e afflitta da un peccato originale di cui non si può liberare senza una dogmatica imposizione dallalto e una forzata obbedienza a uninsindacabile gerarchia.
Alcuni recenti studi di antropologia e paletnologia confermano un fatto fondamentale: la natura umana è geneticamente e storicamente definita da un equilibrio fra le spinte individuali (che possono essere egoistiche e aggressive) e una coesione sociale indispensabile alla sopravvivenza della specie. Ciò che chiamiamo etica è una condizione necessaria di ogni comunità che si possa definire umana. Ma ci sono anche comportamenti asociali e distruttivi che è necessario tenere sotto controllo.
Nella realtà pratica di tutti i giorni, e in particolare nel mondo delle imprese, occorre capire che non cè alcuna contraddizione fra etica e successo. Il profitto è necessario, ma non è la giustificazione assoluta. Nessuna impresa si può definire tale se non dà un contributo preciso allutilità collettiva (se qualcuno vive di rendita, buon per lui, ma non ha senso chiamarlo impresa).
Lo sciagurato imperio dellavventurismo speculativo rischia di cancellare il valore delle imprese. Anche in questo ci sono due pregiudizi contrapposti e ugualmente esiziali. Cè chi crede nelletica e odia le imprese, perché le considera irrimediabilmente condannate a nuocere. E cè chi nellidolatria del dio profitto pensa che ogni considerazione morale e civile sia solo un fastidioso ingombro.
Dobbiamo liberarci di queste sciocche superstizioni, se non vogliamo andare verso il suicidio collettivo di tutto il sistema. Un valore fondamentale per la sopravvivenza dellimpresa è la fiducia. Un capitale di immensa fertilità che cresce e si moltiplica negli anni, ma può essere rapidamente distrutto da un tradimento. Concetti come corporate culture e corporate mission non sono ideali astratti, sono risorse concrete e preziose. Quante se ne stanno distruggendo con fusioni, acquisizioni, avventure speculative e miopi strategie del breve?
Leconomia è nata allinterno delletica, tantè che i primi grandi economisti erano professori di economia morale, di etica. Come è avvenuta lestromissione delletica da un contesto che, fin dalle origini, le era proprio? Con quali conseguenze?
Un fatto interessante è che per millenni si è concretamente gestita leconomia senza pensare che dovesse essere una disciplina a parte (the dismal science, come la chiamava Thomas Carlyle).
Alcuni sviluppi recenti negli studi sullargomento stanno finalmente mettendo in crisi quel darwinismo economico (per esempio di Herbert Spencer) che predicava un concetto (sbagliato anche dal punto di vista dellevoluzione) di spietata sopravvivenza del più forte: solo chi prevale ha diritto di sopravvivere, chi è più debole deve sparire (o restare crudelmente assoggettato). Un modello di suicidio collettivo in cui sono condannati anche i predatori, perché lo sterminio della società civile porta allestinzione del mercato (vedi Levoluzione dellevoluzione).
Se la sua domanda sottintende che sia venuto il momento di ricollocare lo studio (e la pratica) delleconomia in un quadro più ampio di cultura civile e sociale, credo che abbia perfettamente ragione.
Un eccesso di consapevolezza rischia di bloccare lazione: come raggiungere il giusto mezzo tra gli estremi?
Cercare il giusto mezzo vuol dire rassegnarsi a un compromesso, con soluzioni deboli ed equilibri incerti. È concettualmente più valido, e praticamente più efficace, partire da una prospettiva diversa. Non cè alcuna contraddizione intrinseca fra il successo e letica, fra il profitto e la correttezza.
Un fattore importante è la motivazione. Di tutto il personale dellimpresa e anche di tutto linsieme delle strutture e organizzazioni coinvolte (quando non è solo un gergo di moda, è sensato parlare di stakeholder). Lesperienza dimostra che un impegno cosciente e condiviso (anche nei valori etici) con strutture più aperte e meno gerarchiche (circuiti di qualità) genera un forte aumento della produttività. Un insieme armonioso di benessere ed efficienza non è un sogno, né una favola nel regno delle fate. È una realtà concreta e una forte risorsa competitiva.
Si parla tanto di glocale, ovvero di conciliazione tra globale e locale. Concretamente, secondo lei, come è possibile realizzarlo?
Ci sono neologismi di cui è meglio diffidare. Glocale è un esempio di questo genere. I problemi non si risolvono con i giochi di parole, con le mode lessicali o con generalizzazioni insulse. Che ci troviamo in una economia globale è un fatto, non rimediabile con protezionismi, isolazionismi o egoistiche miopie.
Come cogliere le occasioni, anziché aver paura dei problemi, è difficilmente definibile secondo formule semplicistiche e generiche. Ogni prodotto, mercato, impresa, situazione ha una sua identità particolare. Ci sono categorie di mercato e di cultura che sono sorprendentemente omogenee: poco o nulla cambia fra il luogo in cui siamo e situazioni analoghe in parti remote del pianeta. In altri generi di attività ci possono essere rilevanti differenze regionali anche allinterno dello stesso paese.
Ogni impresa degna di questo nome ha una sua intrinseca superiorità in qualcosa tecnologia, competenza, esperienza, capacità di relazione, patrimonio di fiducia, spesso una combinazione di diversi fattori. Ognuno può ridefinire il concetto di mercato, identificando le aree di presenza, e di potenziale sviluppo, in cui ha le risorse vincenti (che non sono nicchie, ma ambienti e situazioni con unautonoma identità).
Ci sono metodi e discipline che possono essere utili per definire e applicare precise strategie. Ma nulla può sostituire lintuito personale, lesperienza, limpegno e la passione che sono alla radice di ogni impresa di autentico e durevole successo.