girasole

La coltivazione dell’internet


Capitolo 5
L’economia connessa:
biologia, agricoltura, coltivazione

Si sta diffondendo il concetto di network economy, come una nuova concezione non solo dell’economia, ma soprattutto della società in cui viviamo. Vent’anni fa si cominciava a parlare di società dell’informazione; oggi si fa strada una definizione diversa: la società della relazione. L’imperio dei grandi mezzi di massa "a senso unico" ha portato a una diffusione senza precedenti dell’informazione. Ma la "società connessa" è qualcosa di diverso; accentua i valori delle relazioni, delle comunità, rispetto al puro e semplice concetto di "informazione". Credo che davvero si possa pensare a una "nuova economia"; la forza di questa ipotesi sta nel fatto che non è sostanzialmente nuova, ma si basa su valori ed esperienze radicate nella storia dell’umanità; che erano in ombra, ma non eliminate, nell’omogeneità e standardizzazione della cosiddetta "era industriale".

I nuovo sistemi di comunicazione non "creano" una nuova cultura umana, una nuova economia o una nuova società. Ma rendono possibile lo sviluppo di tendenze, comportamenti e relazioni che ci permettono di creare nuova ricchezza. Fra i molti testi che approfondiscono questo argomento, quello che diede più diffusamente l’avvio al dibattito fu un articolo pubblicato da Kevin Kelly nel settembre 1997 – che poi divenne un libro (di cui è uscita una traduzione italiana nel 1999). È venuto il momento, dice, di andare oltre il concetto di "società dell’informazione".

La Rivoluzione Digitale oggi è all’onore dei titoli. Ma sotto la turbolenza della corsa in avanti, che spinge incessantemente i cicli vorticosi dei gadget tecnologici e delle cose che "bisogna avere", si muove strisciante una rivoluzione più profonda – l’Economia della Connessione. Questa nuova economia emergente rappresenta un sussulto tettonico nella nostra comunità, un cambiamento sociale che riordina le nostre vite più di quanto mai possano fare mere tecnologie, hardware o software. Offre nuove, diverse occasioni e ha le sue proprie nuove regole. Chi saprà giocare secondo le nuove regole avrà successo; chi non lo saprà fare perderà.

Tutto questo può sembrare un po’ enfatico. Chi scrive quelle parole fa parte di una comunità culturale (la cosiddetta Silicon Valley) che da anni si muove nelle reti come un pesce nell’acqua e considera l’interattività elettronica come un comportamento abituale e naturale. Possono gli altri, in America e nel resto del mondo, vivere nel "mondo connesso" con così spontanea disinvoltura? Credo che non sia così difficile come può sembrare. Presto o tardi, in un modo o nell’altro, quello è il mondo verso cui ci stiamo avviando; le occasioni che la "società connessa" offre sono disponibili a tutte le persone o le organizzazioni che le sanno cogliere. Non è raro che in situazioni nuove, e in evoluzione turbolenta, gli "ultimi" diventino i "primi". L’importante è capire che non si tratta solo di uno sviluppo nella tecnologia, ma di un’evoluzione nei rapporti umani; e che non si realizza solo all’interno di un ambito ("internet") ma più diffusamente nella società e nell’economia.

L’era dei grandi calcolatori è tramontata. Le tecnologie più promettenti si basano sulle connessioni più che sulla potenza di calcolo. E poiché la comunicazione è la base della cultura, ogni sviluppo a questo livello è molto rilevante.

Una delle conseguenze è che la ricchezza in questo nuovo regime viene dall’evoluzione, non dalla "ottimizzazione" dell’esistente.

La ricchezza non si conquista perfezionando il noto, ma imperfettamente cogliendo l’ignoto. L’ambiente ideale per coltivare l’ignoto è la suprema agilità e flessibilità delle reti. Addomesticare il nuovo significa abbandonare il noto di grande successo – disfare ciò che si è perfezionato.

Questo pensiero non è nuovo (per esempio cinquant’anni fa Joseph Schumpeter parlava di distruzione creativa). Ma assume un significato particolare nella fase evolutiva in cui ci troviamo; può aiutarci a capire quanto possa essere insoddisfacente, se non pericoloso, cullarsi nelle vecchie abitudini.

L’osservazione tecnologica da cui parte il ragionamento è che il fattore determinante non è più la potenza di un singolo elaboratore ma l’infinita complessità che deriva dalla connessione di un numero sconfinato di piccoli terminali. Ognuno di questi "microchip" svolge un compito semplice; il valore del sistema è l’interconnessione. Ma il fatto importante (come sempre) non è ciò che accade nella tecnologia. Sono le possibilità che nascono nei sistemi di relazioni umane.


I princìpi della nuova economia

Vorrei riassumere alcuni concetti, ispirati dai libri di Kevin Kelly e Gerry McGovern e da parecchie altre fonti – ma ancor più dall’osservazione di fenomeni che hanno già trovato una conferma concreta.


  • La forza dello stormo; il potere della decentralizzazione

La società e l’economia sono e saranno sempre più governate da sistemi di rete: s’intende la rete di rapporti umani, non l’uso di questa o quella tecnologia. È la logica dello stormo, dove è l’interazione collettiva, non quello che sembra l’uccello-guida, a definire direzione e comportamento. Le strutture devono essere più interattive e meno gerarchiche; ma ciò non significa anarchia. L’esperienza dimostra che nelle collettività umane il percorso non può essere affidato solo all’intelligenza condivisa della rete; l’anima dell’impegno comune non elimina il bisogno di leadership.


  • I "ritorni crescenti"; l’auto-nutrimento dei sistemi connessi

«Il valore di una rete cresce del quadrato del numero dei suoi componenti». Ma non è necessario ragionare in termini matematici per constatare che nelle reti di relazioni umane si trovano "circoli virtuosi" capaci di auto-nutrirsi. Non si tratta delle tradizionali "economie di scala" ma di un processo più dinamico, dove un piccolo aumento di energia può produrre grandi risultati. Come nei sistemi biologici.


  • Nutrire la rete: i valori condivisi arricchiscono tutti

Il concetto di rete-comunità va molto oltre il concetto di outsourcing. Aumentare il valore della rete è più importante che aumentare il valore della singola impresa. La conoscenza condivisa arricchisce tutti i componenti di una "rete" – cioè di una comunità umana che condivide un’attività e un obiettivo. Tutti i partecipanti alla comunità ne traggono beneficio e ricchezza, ma qualcuno più degli altri: chi ne è il motore, l’ideatore, la guida.


  • Uscire dalla stasi, gestire il mutamento

Nell’economia connessa ci si comporta come una comunità biologica in un ecosistema. Co-evoluzione e "infezione" ne sono le caratteristiche. Restare isolati su un asettico "picco" porta all’isolamento. Bisogna saper dare forza a ciò che appare periferico, nutrire ciò che a prima vista sembra un fastidioso contagio, non chiudersi in ciò che si è consolidato ma dar vita all’imprevisto.


  • Vivere nel flusso: scegliere squilibri sostenibili

La vecchia economia si basava sul perfezionamento dell’esistente. La nuova si nutre di continuo cambiamento. La creazione di nuovi posti di lavoro può e deve essere

maggiore della perdita dei vecchi; ma la generazione di nuove opportunità è molto più importante della "difesa" di ruoli in estinzione. Questo richiede formazione e trasformazione continua. Un sistema che cerca stabilità tende alla stagnazione. Per ottenere innovazione sostenibile occorre gestire uno squilibrio continuo.


  • Il predominio della relazione: usare tecnologie, costruire fiducia

La base dell’economia connessa sta nelle relazioni umane. Il confine fra "interno" ed "esterno" all’impresa, fra produttore e consumatore, diventa fluido. Il sistema si serve delle tecnologie, ma è basato sulla fiducia. Su questo tema ritornerò nei prossimi capitoli, perché è uno dei punti fondamentali.


Concetti nuovi con radici antiche

Se tutto questo fosse nuovo, sconosciuto, inesplorato, avrei molti dubbi sulla realizzabilità concreta della "nuova economia". Ma il fatto è che nessuna di queste cose è estranea alla natura umana. Si tratta di comportamenti che hanno radici antiche nella storia della nostra specie – e più in generale nel concetto stesso di essere vivente. Lo scambio di servizi e attenzioni apparentemente "disinteressate" non solo non è nuovo, ma è un elemento indispensabile di qualsiasi società umana. Il concetto di comunità è antico quanto l’umanità - anzi più antico, perché ha radici in tempi remoti dell’evoluzione.

John Perry Barlow, uno dei più noti filosofi della rete fin dalle sue origini, scrisse su Wired nel 1998 che per capire la natura dell’internet è meglio pensare secondo i criteri dell’agricoltura.

La mia convinzione – radicata in un personale balzo dal 19° al 21° secolo – è che le abitudini mentali dell’agricoltura sono molto più adatte per capire le qualità essenzialmente biologiche dell’economia dell’informazione di quanto possano esserlo i vizi meccanicistici della visione industriale del mondo.

Un pensiero analogo fu espresso da Thomas Malone (che dirige il centro di coordinamento scientifico del MIT) in un’intervista del luglio 1998.

Se crediamo che la gestione centralizzata, comando e controllo, dall’alto al basso, sarà sempre meno diffusa, che cosa la deve sostituire? Il concetto di coltivazione.

Seth Godin definisce due tipi di marketer: il cacciatore e l’agricoltore.

Andare a caccia di clienti vuol dire caricare un fucile e sparare finché si colpisce qualcosa. Si può interrompere per un po’ di tempo e non ci vuol molto per ricominciare; qualcosa finisce nel carniere.
Coltivarli vuol dire seminare, piantare, mondare, innaffiare e nutrire. Se si abbandona il compito per un mese si può perdere tutto il raccolto. È molto più prevedibile, ma richiede impegno e attenzione continua. D’altro lato, la coltivazione è "scalabile"; più si impara, più si può semimare e raccogliere.

Il 5 ottobre 1999 a Milano, in un convegno sulle nuove tecnologie organizzato da Mediaforce, Arno Penzias (premio Nobel per la fisica 1978 e per molti anni vice presidente per la ricerca di Bell Laboratories – AT&T) ha ribadito lo stesso concetto. Le concentrazioni urbane e la centralizzazione del lavoro, portate dalla rivoluzione industriale, sono una breve parentesi nella storia dell’umanità. Con i nuovi sistemi di comunicazione e di organizzazione non si ritorna all’economia agricola, ma all’unione lavoro-famiglia e alle piccole comunità residenziali; cioè al modo di vivere degli agricoltori.

Quando mio figlio era piccolo – dice Penzias – mi vedeva uscire con i giocattoli per portarli ad aggiustare; così credeva che il mio mestiere fosse riparare giocattoli. Ora lui e sua moglie gestiscono una casa editrice; hanno l’ufficio in casa e a turno si occupano dei bambini. I miei nipotini non hanno dubbi su che mestiere facciano i loro genitori, perché li vedono al lavoro. Come è sempre stato nelle famiglie dei contadini.


La nuova economia (e la rete)
come fenomeno biologico

Tre o quattro anni fa, se in un convegno o una lezione dicevo che l’internet è un sistema biologico, incontravo disagio e perplessità. Oggi ci sono abbastanza spesso reazioni diverse, come «Non ci avevo pensato, ma mi sembra vero». Il cambiamento è probabilmente dovuto al fatto che oggi ci sono molte più persone con un’esperienza pratica della rete.

Ma questo concetto (benché sia sostenuto da molti dei migliori autori sull’argomento) non ha ancora la diffusione che merita. A chi osserva la situazione partendo dalle tecnologie, sembra un’idea bizzarra. Il computer è una macchina lineare a codice binario. Le tecnologie elettroniche e di rete (e, sempre più, le telecomunicazioni) sono basate su sistemi digitali. Ma l’errore sta proprio nel pensare che sia la struttura tecnologica a determinare il funzionamento del sistema, che invece deve basarsi su ciò che è utile per l’interazione umana.

Non è un caso che la struttura dell’internet sia molto più simile a quella del cervello umano che al funzionamento di una macchina elettronica. Molti fra i migliori studiosi dell’argomento si riferiscono alla biologia. Perfino la CAIDA (Cooperative Association for Internet Data Analysis) dell’Università della California (San Diego), in un documento rigorosamente tecnico sulla topologia della rete, dice: «L’infrastruttura dell’internet può essere considerata l’equivalente di un ecosistema». Questo è tutt’altro che un concetto teorico e astratto. Ne derivano conseguenze rilevanti per chi (persona, organizzazione o impresa) vuole operare efficacemente con i nuovi sistemi di comunicazione.

Non solo è più ragionevole, ma soprattutto è concretamente più utile pensare alla rete come un sistema vivente che come a un aggregato di macchine, software e protocolli. Come vedremo nei prossimi capitoli; e sempre più, man mano che ci avvicineremo alle soluzioni pratiche.

Nella società connessa vale, oggi più che mai, l’antica massima socratica: «Più so, più so di non sapere». L’arte del conoscere è la maieutica. Panta rei, tutto scorre, tutto cambia continuamente. Vivere nel flusso, cogliere le occasioni inaspettate, è il vero segreto del successo.

L’internet è solo uno degli strumenti. Ma è il più adatto, il più intimamente connesso alla realtà della nuova economia. Può essere la palestra, il campo di sperimentazione per esperienze utili a tutta la gestione dell’impresa.





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