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Il terzo settore e le nuove tecnologie

Un esame dell'influenza del progresso tecnologico sul terzo settore può essere svolta considerando due aspetti diversi: Mentre del primo punto mi occuperò nei capitoli successivi, vorrei ora spiegare più dettagliatamente il secondo. L'influenza delle nuove tecnologie sul terzo settore va molto al dì là del loro utilizzo come strumento gestionale e di comunicazione. Esse determinano, come qualsiasi innovazione tecnologica dall'inizio della rivoluzione industriale, una sostituzione del lavoro manuale con quello automatico. Il mercato del lavoro si trasforma e questo è un dato di fatto che neppure gli analisti più ottimisti negano. Scrive Negroponte [17]: "Assisteremo alla perdita di molti posti di lavoro a causa di sistemi completamente automatizzati, che cambieranno in modo radicale il lavoro impiegatizio come è già avvenuto nella fabbrica per quello operaio. L'idea del posto fisso di lavoro per tutta la vita sta già cominciando a sparire." Questo porterà quindi ad un aumento della disoccupazione che non è ancora chiaro se e quando potrà essere riassorbita dall'espansione dell'economia. Si tratta nella maggior parte dei casi di una disoccupazione tecnologica in cui il fattore discriminante sarà il possesso di determinate conoscenze piuttosto che la classe sociale. Inoltre il processo di diffusione delle reti informatiche tenderà a creare un'interfaccia meccanizzata tra i rapporti interpersonali, rendendoli, sia all'interno che all'esterno del luogo di lavoro meno gratificanti dal punto di vista umano. Il terzo settore, che non è ne pubblico ne privato, si trova stretto, con lo stato che perde sempre di più la sua capacità di coesione sociale, in un processo di globalizzazione che vede le entità nazionali perdere sempre di più importanza. In particolare nei PVS, ma in maniera meno evidente anche nei paesi industrializzati, i governi devono cedere sempre più spesso alle esigenze dei grandi gruppi di interesse privati. Il settore privato vede entità di dimensioni sempre crescenti gestite con una logica sempre meno umana e più automatizzata, in cui le preoccupazioni sociali raramente sono autentiche, essendo in genere finalizzate alla creazione di buoni rapporti con i mass-media. Le organizzazioni private nell'era digitale seguono un ben preciso processo evolutivo. Al momento della nascita sono piccole, formate da poche persone motivate e creative, disposte a a lavorare duramente in quanto credono nel proprio lavoro. Esse hanno una dimensione umana, gli errori sono sicuramente frequenti e sono in grado di porsi interrogativi morali sulla propria attività. Poi crescono, in genere in tempi molto rapidi, diventano dei giganti burocratici, dotati di vita propria (le risorse umane sono sempre più sostituibili ed intercambiabili), stabiliscono da sé i propri obbiettivi. I lavoratori sono al servizio dell'organizzazione e non viceversa. L'evoluzione è guidata dalle tecnologie, che tendono in misura sempre maggiore a sostituire il lavoro umano. La finalità è l'esistenza dell'organizzazione che non è più in grado di porsi scrupoli morali. Scrive Colombo [5]:
Il capitalismo cambia sotto i nostri occhi in modo così radicale che in passato avrebbe potuto essere rappresentato solo dal racconto fantascientifico. Le democrazie industriali si avviano a diventare campo di gioco di poche proprietà di dimensioni gigantesche. La quantità quando raggiunge simili dimensioni finisce per avere un valore morale. Non può essere messa in discussione senza che sia messa in discussione l'intera concezione della società che in ogni caso risulta profondamente cambiata.
Il terzo settore in questo processo finisce per svolgere sempre di più un ruolo di ammortizzatore sia economico che sociale. Economico perché con la sua azione permette di aiutare i nuovi disoccupati sia attraverso aiuti concreti sia offrendo la possibilità di impegnare il proprio tempo in un'azione socialmente utile. A questo proposito dice Rifkin[24]:
Con gli occupati che dispongono di più tempo libero e i disoccupati che hanno tutto il tempo esiste la possibilità di sfruttare il lavoro inutilizzato di milioni di persone indirizzandolo verso funzioni produttive al di fuori dei settori privato e pubblico. Talenti ed energie di occupati e disoccupati possono essere efficacemente diretti verso la ricostruzione di migliaia di comunità locali e la creazione di una terza forza che riesca a sopravvivere indipendentemente dal privato e dal pubblico.
Sociale perché la partecipazione ad un'attività del terzo settore basata sull'impegno volontario, sulla fiducia reciproca, sulla conoscenza personale, su una condivisione di valori morali, permette di ricreare all'esterno del luogo di lavoro un ambiente accogliente e produttivo di soddisfazioni personali, sfuggendo alla meccanizzazione e all'informatizzazione dei rapporti provocati dalle nuove tecnologie.
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1999-10-19