CONVERSAZIONE SUL SOGNO

Giorgio Antonelli - Giugno 2003

Una conversazione si basa sul piacere delle parole, e ci sono parole che producono più piacere di altre. Io ve ne propongo due e da esse avrà inizio questa improvvisazione sul sogno. Le due parole sono: la prima (theós), e l’altra è una parola molto più arcana, più misteriosa, (teshas). Perché inizio da queste due parole? Perchè queste due parole sono apparentate pur appartenendo a due lingue e a due ceppi diversi. Theós è una parola greca che significa Dio, teshas è una parola ittita che significa sogno. Quindi all’origine della nostra conversazione c’è questa apertura sulla divinità del sogno: la stessa parola significa Dio e sogno. Questa comune origine porta il discorso su quelle che io chiamo le tradizioni onirocritiche, cioè le tradizioni degli antichi interpreti del sogno che lavoravano in modo molto diverso da quello che facciamo noi. Una volta Jung ebbe occasione di dire che essi interpretavano allora come interpretiamo noi oggi. Non credo che avesse ragione: è la prospettiva antica sul sogno che è diversa da quella nostra, se non fosse per una cosa che vi dirò dopo e che ci riporta a quella antica. Se noi andiamo alle tradizioni più antiche, la tradizione ebraica, la tradizione greca, e andando più avanti nel tempo la tradizione bizantina, la tradizione medioevale, scopriamo che tutti quanti gli interpreti dei sogni davano quasi per acquisito che le origini del sogno fossero divine.

Ci sono due date importanti per chi lavora sul sogno, le due date sono il 1899 e il 1953. Nel 1899 viene pubblicata l’Interpretazione dei sogni di Freud. Questo evento noi possiamo considerarlo in due modi: o come una sovversione totale – e poi vi dirò perché possiamo intenderla in questo modo – di ciò che era stato detto prima, e presumibilmente Freud pensava che fosse così, oppure possiamo intenderla come un episodio tra i tanti episodi che hanno caratterizzato la storia del sogno.

L’altra data invece, il 1953, è una data in cui un certo ricercatori dell’Università di Chicago scoprono che mentre un bambino sta movendo gli occhi, forse, in quel momento sta anche sognando. È proprio nel 1953 che per la prima volta si scopre questo nesso che poi darà luogo a tutti gli studi sul sonno REM, il sonno dei rapidi movimenti oculari. Il 1953 costituisce uno spartiacque, così come forse potrebbe costituirlo anche il 1899, perché da allora sul sogno si parlerà in modo diverso anche se gli psicoanalisti, probabilmente, continueranno a lavorarci come avevano lavorato i loro predecessori. Ma nel 1953 sul sogno si parla in un modo diverso, e quindi noi, che lavoriamo nel campo della psicologia del profondo, dobbiamo anche prendere l’abbrivio da quella data e dagli studi che sono seguiti e che interessano un numero sterminato di ricercatori. Faccio soltanto due esempi: Hobson e Jouvet. Quello che credo di aver scoperto io, è che gli studi sulla neurofisiologia del sogno confermano l’antica percezione, in un modo che è molto intricato ma che spero di riuscire a raccontarvi stasera. Io non vedo nessuna interruzione, ma vedo soltanto continuità tra quello che gli uomini hanno detto sul sogno millenni fa e quello che gli uomini stanno dicendo sul sogno oggi, con un’unica eccezione che è quella costituita proprio da Freud. Freud è un “caso” per quello che riguarda l’interpretazione dei sogni. Allora ritorniamo indietro e pian piano cerchiamo di arrivare fino ad oggi.

Se voi andate a leggere gli antichi trattati, gli scritti che secoli e anche millenni fa non soltanto gli interpreti dei sogni ma anche gli studiosi o i teologi hanno scritto sul sogno, trovate titoli di questo tipo “I sogni sono mandati da Dio”, oppure trovate espressioni di questo tipo “Il demone entra nella nostra vita, nel più profondo della nostra vita, ora con segni e ora con sogni”, come dire che per gli antichi è acquisito il fatto che c’è una continuità, una sovrapponibilità, un’identità tra dimensione divina e dimensione onirica.

Freud costituisce un momento di rottura fortissimo con tutta questa tradizione che arriva fino al Romanticismo, quindi fino al suo secolo tutto sommato, perché quando Freud inizia a rivisitare tutta l’onirocritica che l’ha preceduto – gli dedicherà pochissime pagine all’onirocritica, l’esiguità di questo contributo indica che per Freud è la propria opera a iniziare veramente l’interpretazione dei sogni e che tutto quello che è stato detto prima è lontano.

Freud ha indicato in Aristotele l’iniziatore dell’onirocritica, cioè la scienza dei sogni, scientifica. Perché? Perché Aristotele è il primo greco che afferma che i sogni non sono inviati dagli dèi e per Freud la storia dell’interpretazione dei sogni, in senso moderno diciamo così, inizia nel momento in cui qualcuno sottrae il sogno alla dimensione divina. Eppure Aristotele costituisce tutto sommato un’eccezione nel contesto antico, perché per gli antichi il sogno non soltanto ha una caratterizzazione divina, ma viene collocato in un certo luogo. Ora, io ho rintracciato parecchie tradizioni che, l’una indipendentemente dall’altra, hanno considerato il sogno come luogo. Non soltanto l’hanno considerato come luogo, e adesso cerco di spiegare perché e come il sogno è il luogo, ma hanno nominato anche questo luogo.

Ci sono, io credo, almeno quattro tradizioni forti, antiche, che nominano il luogo del sogno. Il sogno è un luogo, un luogo nel quale ci spostiamo, o meglio un luogo nel quale l’anima si sposta, perché il corpo sta fermo – questo è un dato molto interessante, la neurofisiologia insiste molto sul fatto che, mentre si sogna, il corpo è immobile, ma c’è qualcosa in noi che fa, che sente, che soffre, che si sposta. I greci chiamavano questo luogo metaxý, che è il luogo dei demoni, una sorta, diciamo così, di terzo mondo, di terzo stato, di terza condizione, a una distanza sia da quella divina e sia da quella umana; tra gli uomini e gli dei c’è un interstizio e questo interstizio, questo luogo, i greci l’hanno chiamato metaxý che significa “luogo di mezzo”. Da lì, i demoni mandano i sogni.

Nella frase che ho citato prima, che è di Apuleio, “Il demone entra nella nostra vita, nel più profondo della nostra vita, ora con segni ora con sogni”, la parola latina è insomnium, come dire che sembrerebbe, leggendo questa parola, che il sogno sia qualcosa dentro, in–somnium, dentro il sogno. Una delle scoperte della neurofisiologia è che il sogno è diverso dal sonno tanto quanto il sonno è diverso dalla veglia. Secondo Jouvet esisterebbero tre stati (del cervello): il sonno, il sogno –vedete come in italiano noi sovrapponiamo le due parole, questo ci produce una certa difficoltà semantica, pensiamo che il sogno sia legato al sonno, ma non è necessariamente così, il sonno è anche legato al sonno, non esclusivamente legato al sonno –, ma “il sogno e il sonno sono due diversi stati. Nonostante non creda, Jouvet, che Dio o gli dèi non siano deputati a mandare sogni a chicchessia, egli nomina il luogo del sogno allo stesso modo in cui lo hanno nominato i greci, in cui l’hanno nominato i persiani, in cui lo hanno nominato i pensatori tibetani ecc….

Ora, per i greci c’è questo luogo intermedio, ma questo luogo intermedio caratterizza anche una delle filosofie più creative, più floride, che si sia mai manifestata nella storia dei popoli, con l’unico difetto di essere, come dire, periferica rispetto a quello che è la nostra collocazione eurocentrica, diciamo così, oppure euroamericanocentrica. Questo luogo è stato nominato dai filosofi persiani – quando parlo dei filosofi persiani parlo di una tradizione che Hillman considera, come dire, una fonte certa e forte della psicologia archetipica. La psicologia archetipica parte da Jung ma parte anche dalla filosofia persiana, e da quella greca: le tradizioni che io sto enumerando pian piano vengono raccolte, vengono tutte quante riunite in un solo abbraccio – i filosofi persiani chiamavano – questa è una parola che io uso molto perché è una parola molto evocativa, è una di quelle parole che dà piacere pronunciare una volta che se ne è catturato il senso, che lo si è accettato – barzakh che significa intervallo, un luogo che sta tra un luogo e un altro luogo. In genere in questa tripartizione noi forse siamo consapevoli soltanto di due luoghi, forse pensiamo che ci siano il cielo e la terra, oppure possiamo pensare che ci siano il mondo dei divini e il mondo degli umani. Per questa tradizione filosofica non è così, esiste un mondo che è diverso dall’uno, il divino, e dall’altro, l’umano, così come il sogno è diverso dal sonno e dalla veglia. Vedete che man mano che ve le enumero, che ve ne parlo, voi potete leggere dietro questi tre mondi la tripartizione dei neurofisiologi: sonno, sogno e veglia.

Il barzakh è un luogo. Metaxý è un luogo. Quando Hillman ripercorre queste tradizioni, basandosi soprattutto su quella greca, nominerà questo luogo con un altro nome, perché badate, tutti quanti gli studiosi dei sogni, prima o poi, nominano il luogo del sogno. Hillman nominerà il luogo del sogno come mondo infero, cioè Ade. Vedete, se noi leggiamo Hillman a partire da Freud in poi, possiamo pensare che Hillman abbia detto cose molto controverse, discutibili, originali, rivoluzionarie. Hillman è probabilmente lo studioso dei sogni più tradizionale che ci sia, però per catturare la tradizionalità di questo autore, che sembra tutto fuorché tradizionale, bisogna partire da lontano. Allora il sogno è Ade, il mondo infero, e Ade è il mondo dell’invisibile. In questo momento Ade è ciò che non si vede.

Quando nella tradizione ebraica si farà luce quella corrente che va sotto il nome di cabala, corrente mistica dell’ebraismo, e verrà redatto in Spagna, nel XIII secolo, il libro che è il libro fondamentale della tradizione mistico–ebraica, che è lo Zohar, il Libro dello splendore, il libro in cui tutte le cose dovrebbero venire alla luce, dovrebbero risplendere, l’autore, o gli autori, parlano del sogno in questo modo – e penso che sia un modo riassuntivo – loro dicono semplicemente “quando il corpo dorme, e un corpo che dorme è un corpo morto, e forse è un corpo morto perché qualcos’altro possa vivere, – quindi quando il corpo dorme, e su questa connessione di sonno e di morte, che è un tòpos letterario, uno dei motivi conduttori della prima psicoanalisi, c’è la correlazione diretta tra sonno e pulsione di morte – quando il corpo dorme, l’anima si alza, attraversa l’aria e va ad incontrare gli spiriti”. Io penso che fa qualcosa come quella che sto facendo io adesso. Se questo fosse un sogno, e io fossi l’anima che sta sognando, in questo momento voi sareste gli spiriti. Più o meno è così.

Ora, da questo punto di vista, io vorrei soltanto farvi pensare a quante volte nei vostri sogni voi incontrate effettivamente dei morti. Sembra che tra sogno e morte, che tra il sogno e le persone morte, ci sia un’affinità elettiva, voi potete vedere i morti, potete parlarci, potete ricevere, non so, se non rivelazioni ma comunque parole, potete conversare, in alcuni sogni i morti possono offrirvi addirittura del cibo – e questo era visto come un segno di malaugurio nell’antichità, accettare del cibo offerto da un morto in sogno era considerato un presagio di morte, di morte certa. Però vi faccio notare a questo punto come tra sogno e morte, e non soltanto tra sonno e morte, ci sia una relazione strettissima.

Per Hillman la relazione tra sogno e il mondo infero è quasi un dogma, non è un dogma in senso cristiano e lui lo spiega, gli dedica un libro bellissimo, forse uno dei più belli, forse il più bel libro che sia stato scritto sul sogno, questa localizzazione del sogno. Però in questa lista di nomi di luogo, metaxý, barzakh, mondo infero, io sarei tentato di inserire anche una parola che sento sulla scia di questo piacere delle parole – dicevo che alcune parole possono darcene perché aprono su mondi – la tradizione tibetana, e di questa do’ un accenno brevissimo. In tibetano abbiamo una parola che dice la stessa cosa – guardate che io vi sto nominando tradizioni che sono lontane una dall’altra ma come se stessi facendo una pesca miracolosa gettando questa rete in queste culture – e la parola è bardo che rimanda all’idea, all’immagine del luogo intermedio (nel famoso, stupendo Libro tibetano dei morti dove ancora una volta la nozione di morte viene indicata come presente in ogni adesso della nostra vita).

In altri termini la proposta – che è una proposta immaginaria che si lega alla vostra capacità di fantasticare queste cose, che è indimostrabile, che non ha bisogno di essere dimostrata, che è qualcosa che potete riferire alle vostre singole esperienze di sognatori – è che durante il sogno, mentre per i neurofisiologi c’è il rapido movimento degli occhi, la respirazione cambia passo, succedono altre cose, c’è atonia muscolare etc., la proposta è di leggere il sogno come un luogo verso il quale noi ci dirigiamo, andiamo in questo luogo. Dal momento che andiamo in questo luogo, dico a voi di immaginarlo, ma dal mio punto di vista nel sogno si tratta veramente di uno spostarsi da un luogo ad un altro. In altri termini io vi dico che di notte siamo tutti sciamani e lo siamo naturalmente, non dobbiamo fare nessuno sforzo per esserlo, l’unico sforzo che dobbiamo fare è quello di addormentarci. È così anche che la presenta Hillman tutto sommato, lui ha chiaro quello che noi andiamo a trovare in questo luogo, lo ha così chiaro che lo descrive, minuziosamente, in dettaglio.

Nella scoperta della tradizione neurofisiologica il sogno, guardate un po’ come viene chiamato, viene chiamato il terzo stato, capite? il terzo stato, cioè non è lo stato della veglia che noi conosciamo o crediamo di conoscere, non è lo stato del sonno, che crediamo anche in questo caso di conoscere, ma è uno stato diverso, così diverso, che questo neorofisiologo, (Jouvet), ha sentito il bisogno di chiamarlo terzo stato. Alcuni lo chiamano il “d state”, lo stato d, dreaming state, cioè lo stato del sogno, ma, comunque lo si voglia chiamare, a me sembra che terzo stato sia proprio in armonia con le tradizioni più antiche, ecco perché, come dire, da Jouvet andando indietro fino alle tradizioni che vi ho raccontato mi sembra che ci sia una continuità in questo pensare il sogno seppure con strumenti diversi.

Paradossalmente un neurofisiologo che lavora, un contemporaneo che pubblica libri sulle sue sperimentazioni sui sogni, è d’accordo e forse non sa di saperlo, non sa che è d’accordo con una tradizione millenaria che lo ha preceduto. Io dico non sa di saperlo ma in realtà Jouvet quando parla di terzo stato dice che è una scoperta indiana, indiana antica, e che si trovano chiare indicazioni di questo nelle Upanishad. Dunque, guardate un po’, abbiamo aggiunto anche le Upanishad in questa descrizione di luoghi che dicono tutti lo stesso e cioè che il sogno è un luogo dove andiamo di notte. È chiaro che non andiamo in questo luogo con il nostro corpo, sebbene in questo luogo siamo con il nostro corpo; questo è paradossale ma non è un caso che si parli di corpo immaginale.

La cosa che mi preme è cercare di farvi capire dove entra il terzo stato nella vostra, come dire, non psicopatologia della vita quotidiana, nella vostra vita quotidiana. Dico psicopatologia, perché i primi psicoanalisti credevano che il sogno fosse una psicosi. Tutto sommato il sogno è ciò che non possiamo padroneggiare, nella maggior parte dei casi è ciò che dobbiamo subire. Da questo punto di vista è come se non ci fosse nessuna differenza tra sogno ed incubo, ogni sogno per lo più è un incubo, dal momento che l’Io è impotente di fronte al sogno, deve aspettare che passi, lo deve subire in tutte le sue metamorfosi. Nella nostra vita quotidiana, questo terzo stato, se veramente il sogno è diverso dal sonno quanto il sonno lo è dalla veglia, potremmo dimostrarlo soltanto a condizione di svincolarlo dal sonno. Cioè: soltanto se riusciamo a pensare il sogno come una condizione a sé stante non necessariamente legata al sonno, essendo che il sogno generalmente sta dentro il sonno ma non necessariamente vi è legato, vi dipende, noi potremmo dimostrare questa, come dire, separatezza possibile dell’uno dall’altro. Possiamo insomma farlo soltanto se riusciamo a dimostrare che il sogno è una realtà che attraversa anche alcuni momenti della nostra veglia e non soltanto alcuni momenti del nostro sonno.

Questo terzo stato si manifesta non soltanto quindi nel sonno ma, se ha ragione Jouvet, potrebbe manifestarsi anche in certi momenti della nostra veglia. E a questo riguardo – e qui si aprirebbe un lungo capitolo che qui posso toccare soltanto marginalmente – il primo forse grande revisionista, per quanto non sistematico, dell’interpretazione dei sogni di Freud, è stato Ferenczi. C’è un’espressione di Ferenczi, una bellissima espressione che io ora vi dico in tedesco e che poi vi tradurrò.

Certo, la presenza di Freud è così massiccia, occupa così tutti i luoghi possibili che è difficile per gli psicoanalisti non pensare che le cose non stiano come ha detto Freud, in genere chi l’ha fatto è dovuto uscire dal movimento psicoanalitico, però in genere chi l’ha fatto non ha ridefinito l’interpretazione dei sogni di Freud. Ora, Ferenczi ha un termine che ci aiuta a capire perché il sogno non appartiene necessariamente al sonno. Certo per noi si tratta di lottare contro questa difficoltà intrinseca della lingua italiana che lega appunto sonno e sogno. Allora, il termine che usa Ferenczi riferendosi al suo modo di trattare clinicamente, cioè con i pazienti, il sogno, è Traumversenkung, che significa immersione nel sogno. Trovate questo termine nei sui appunti, pubblicati postumi e che comunque non hanno lasciato una traccia immediata, ma il cui messaggio vero potete ritrovare da molte parti, dalle parti di Bion e dalle parti della ipnoterapia di stampo eriksonaniano. Ferenczi diceva “io non devo portare il paziente dal sogno che mi sta portando alla terapia che sto facendo, io devo riconsegnare il paziente al suo sogno, lo devo rimettere nel sogno, lo devo ricondurre in quel luogo”.

Nella prima psicoanalisi le voci, come dire, antitetiche a quelle di Freud, avevano messo in discussione proprio questo aspetto relativo al paziente interpretato, e chi lo aveva fatto in modo più duro, più impositivo, era stato Rank. Rank aveva detto che interpretare – si riferiva sia l’interpretazione in senso lato e sia l’interpretazione del sogno – significa che io sposto il paziente dall’adesso, da quello che sta succedendo in questo momento, a qualcosa che magari, nell’ottica psicoanalitica freudiana, è accaduto tempo addietro, io sposto, quando interpreto, il paziente, da un presente a un passato, lo allontano da quello che sta accadendo in un determinato momento, che è adesso, e così facendo rinforzo le sue difese e resistenze, non lo faccio veramente emergere, lo rinchiudo nella sua nicchia nel passato. Interpretare nell’ottica di Rank significa spostare da un luogo ad un altro, dall’adesso della situazione analitica, del setting analitico, all’allora del passato e del passato infantile.

Chi ha preso alla lettera Rank, senza mai citarlo, probabilmente senza neanche saperlo, ma non c’è bisogno di saperlo, è stato Perls. Perls aveva un detto – nella terapia della Gestalt il lavoro col sogno è pervasivo, la terapia della Gestalt è essenzialmente il lavoro col sogno, è probabilmente la terapia che al sogno si dedica in modo più massiccio, più pervasivo immaginabile –aveva un grido di battaglia, che è simile a quello che diceva Rank, e il grido di battaglia di Perls era molto semplice “niente interpretazioni!”. Poi, magari, durante la nostra conversazione posso approfondire questo tema. Per adesso quello che voglio dire è che Ferenczi aveva capito una cosa fondamentale: – non l’ha detta in questo modo, aveva capito, e l’aveva capito in modo, come dire, aurorale, era un inizio di comprensione – 1) avevo capito che non c’è differenza fra fare analisi e analizzare il sogno, analizzare e analizzare il sogno sono la stessa cosa; 2) aveva capito che il setting analitico è il luogo ideale di questa immmersione nel sogno. La scoperta di Ferenczi – lui non lo dice in questi termini perché forse non lo avrebbe mai detto in questi termini, io lo dico in questi termini – è che il setting analitico è appunto quel terzo stato di cui stiamo parlando, oppure lo può diventare. È mataxý, è barzakh, è bardo, è mondo infero, è questo il setting analitico, è il terzo stato, non è né la veglia totalmente, se fosse totalmente veglia sarebbe totalmente Io, e non funzionerebbe in questo modo, non è sonno, lo può diventare se gli psicoanalisti si addormentano, però non è decisamente sempre così, è altro, è il terzo stato anche l’analisi, il setting analitico è quel luogo dove le anime quando i corpi sono esamini si spostano, si alzano, attraversano l’aria e vanno incontro agli spiriti – e in questo senso mi dispiace che Amedeo |Caruso| non sia qui perché Hillman parla anche di “eros fra morenti”, espressione che Amedeo ha ribattezzato come “eros fra dormienti”. Quando quindi Hillman parla di “eros fra morenti”, dice che ciò che lega l’uomo a un altro uomo, l’uomo alla donna, paziente e analista, è la morte. Ma la morte di cosa? di che morte si tratta? Ferenczi l’ha capito, però chi veramente l’ha praticata questa scoperta, lasciando un’eredità immensa secondo me agli psicoanalisti, è stato Milton Erikson.

Milton Erikson è forse l’unico con Lacan che si sia posto il problema di quanto debba durare una seduta analitica. Gli analisti fanno cinquanta, quarantacinque, quaranta etc. minuti ma non sanno perché, non lo sanno. Nessun analista vi potrà motivare il perché una seduta analitica debba durare quel certo numero di minuti. Per quanto riguarda Lacan non è qui il caso di farlo entrare, ma per quanto riguarda Milton Erikson, sì, perché Milton Erikson si lega proprio al discorso di Ferenczi e del terzo stato e di come il terzo stato si manifesti dentro la nostra vita quotidiana. Tra parentesi mi sono ricordato che c’è un altro grande analista che ha nominato questo luogo, lo ha chiamato “area transizionale”, ed è Winnicott. Vedete che i nomi si moltiplicano perché gli uomini tentano continuamente di dire la stessa cosa, ed è la stessa cosa che sfugge necessariamente, è che qui non stiamo lottando con i nomi, stiamo lottando con la vita, e quindi questo ci sfugge. Però guardate bene come tutti quanti questi analisti abbiano nominato il sogno come luogo, io vi sto indicando anche il setting analitico come luogo del sogno, come luogo in cui si va per sognare, e che sia così l’ha detto Bion.

Ora, Milton Erikson s’era posto il problema della durata della seduta analitica; aveva scoperto però, e quando lo ha scoperto lui ha allungato le sue sedute, che non c’è bisogno di indurre nel paziente l’ipnosi, perché l’ipnosi – e qui avete un’altra parola che somiglia molto a sonno, a sogno, e che è la parola greca che significa sonno –, l’ipnosi è un evento naturale che accade così come il sogno è un evento naturale che accade. Su questo Jung e i neurofisiologi contemporanei dicono la tessa cosa: Jung diceva il sogno è un fatto naturale come un albero, come la pioggia, accade, e Hobson dice che ad un certo punto il ponte, il nome bellissimo di una parte del mesencefalo, comincia a sprigionare impulsi, a lanciare dei messaggi, e avviene il sogno. Ad un certo punto il sogno accade, perché il ponte mesencefalico si attiva. Perché si attiva? Per Freud perché ci sono dei desideri che cercano un loro sfogo, una loro soddisfazione; i neurofisiologi non parlano di modulazione di desideri, il sogno intanto accade perché accade. È una spiegazione che sembra poco scientifica però eccezionale, ad un certo punto il ponte si comporta in quel modo e accade il sogno, e noi non possiamo farci nulla, questo terzo stato è il terzo stato necessario, non possiamo sottrarci al terzo stato.

Anche Milton Erikson diceva che ad un certo punto l’ipnosi accade. I pazienti non vanno in ipnosi se ci vanno, quando ci vanno, perché qualcuno dice o fa qualcosa, i pazienti vanno in ipnosi, come tutti gli esseri umani vanno in ipnosi, secondo una certa periodicità temporale che è stata messa bene in luce in alcuni studi condotti negli anni ottanta, studi che confermano un po’ queste cose che sto dicendo cercando di legare tradizioni che sembrano impossibili da legare una con l’altra. Ma siccome io ho quest’inclinazione a legare le cose, a metterle insieme, allora mi piace farlo.

Milton Erikson capiva che se la durata della seduta analitica non era di quaranta o cinquanta minuti ma di un’ora e trenta, un’ora e quaranta o di più, era, come dire, giocoforza, cioè era gioco, ed era un gioco forzato perché doveva accadere per forza, che il paziente cadesse in ipnosi. Erikson parlava dunque della “nostra comune trance quotidiana”. Il messaggio che emerge, e che è stato supportato da vari esperimenti, è che noi cadiamo in trance per circa dieci, quindici minuti, ogni determinato peridodo (diciamo circa novanta minuti). Ovviamente ci sono delle variazioni individuali, ma è questa legge naturale, così come il sole e la luna si succedono, così come c’è pioggia oppure non c’è pioggia, così come il vento soffia oppure smette di soffiare, noi entriamo in trance e ne usciamo: è un fatto naturale. Noi entriamo in trance e possiamo anche non saperlo. Però se io vi invito a fare attenzione a determinati momenti della vostra vita, voi capite che in realtà in trance ci entrate veramente. Erikson la chiamava “la nostra comune trance quotidiana” e l’aspettava. Erikson diceva che in sostanza l’analista deve stare lì, deve aspettare, deve utilizzare questa cosa, questo evento naturale, che accade, accade. Io penserei che le terapie più efficaci sono quelle che durando di più permettono appunto che naturalmente il paziente entri in questa trance.

È molto interessante questo aspetto se noi lo riferiamo a come Freud ha trattato la stessa questione, perché c’è una mitologia e c’è una contromitologia: la mitologia è che la psicoanalisi sia nata sulle ceneri dell’ipnosi, e non è tanto vero perché per esempio Freud quando parlava con i sui colleghi in questo o in quel caso raccomandava di usare l’ipnosi, quindi c’è un doppio Freud, un Freud frontale che deve affermarsi in un mondo in cui l’ipnosi è caduta in disgrazia e non può dire certe cose. L’ipnosi aveva raggiunto il suo massimo fulgore alla fine del diciannovesimo secolo.

La scoperta eriksoniana della nostra comune trance quotidiana non c’è neanche bisogno di appurarla sperimentalmente. Se voi state attenti alla vostra esperienza. lo capite da voi che è così. Il punto è che nei nostri panni di comuni mortali, che vanno a fare la spesa, non so, che vanno al cinema, che fanno cose normali, queste cose capitano e possiamo non ricordarle, non farci attenzione, non prenderle in debita considerazione, capitano e basta, noi entriamo continuamente, usciamo continuamente da questi stati, è una continuazione di movimenti, come dire, estroversione-introversione, ma comunque, di entrata e uscita da questi stati. Diciamolo in un altro modo: ammettiamo che questi stati siano dei luoghi, allora noi siamo come dei viaggiatori continuamente in viaggio che certe volte frequentano il luogo del sonno, certe volte quello della veglia e altre volte entrano improvvisamente, imprevedibilmente, senza avere nessuno strumento per poterlo prevedere, in questo terzo stato. Perché? Perché ci capita di entrare? Intanto la prima cosa che possiamo dire è che entriamo in questo stato. Sul perché ci entriamo possiamo soltanto fare delle ipotesi. So che è necessario entrarci. Se la natura vuole che noi entriamo in questi stati è necessario che entriamo. Dobbiamo capire il perché, dobbiamo capire cosa ci sta dicendo questa nostra entrata, cosa vuole che noi comprendiamo.

In un libro di Rossi, allievo di Erikson,, che è un libro di cui non ricordo bene il titolo ma che ha le parole sentiero e illuminazione, non soltanto viene messa insieme tutta questa serie di tradizioni – non tutte quelle che vi ho citato all’inizio, ma quelle che fanno capo soprattutto alla stagione ipnotica e dalla stagione ipnotica in su – non soltanto vengono codificate e messe insieme, viene fatto vedere l’humus comune, il terreno comune di queste scuole, di questi pensieri, di questi modi di operare, ma viene anche supportato il tutto attraverso sperimentazioni, validazioni di tipo neurofisiologico. Per cui, come dire, è con il nostro cervello, oppure potremmo dire con la nostra anima, che entriamo in qualche voragine, e d'altronde il terzo stato è una voragine, può sembrare una voragine, può sembrare qualcosa in cui si sprofonda.

Ora, io posso darvi un’esemplificazione di una comune trance quotidiana, e poi cercare di dirvi perché succede, e perché tutto questo è correlato al sogno, e perché tutto questo è correlato all’analisi, perché io sto parlando semplicemente di quello che credo certe volte di fare quando faccio analisi, quando mi riesce, quando la natura bussa e mi fa entrare, e fa entrare l’altro, e ci fa entrare insieme in questo terzo stato. Credo di poter dire, di potervi dare quest’esemplificazione, posso riferirmi ai guidatori e sfidare tutti quelli che vanno in automobile a pensare a tutti quei momenti in cui da un punto vi ritrovate in un altro punto senza sapere come è successo. Questa è un’esperienza tipica di chi guida l’automobile, un’esperienza che a me capita spesso, per cui, come dire, ad un certo punto io mi ritrovo in un luogo e non so come ho fatto a trovarmi in quel luogo, mi ci ritrovo però, ed è passato magari un lasso di tempo, nel quale io sono entrato da qualche parte, adesso io lo so, prima era qualcosa che non capivo, adesso io so che sono entrato da qualche parte, soltanto che da quelle parti in cui sono entrato non ho fatto nulla, m’è accaduto e basta.

In analisi, Erikson ci insegna questo, si può utilizzare quest’entrata nel sogno, nel sogno da svegli esattamente, ecco perché, non so se l’ho dimostrato, ma insomma, ecco perché posso ipotizzare perlomeno, se non posso dimostrarlo, che il sogno non è vincolato al sonno. Il sogno è qualcosa che essendo terzo stato ci attraversa, o meglio noi ci andiamo dentro, ci sprofondiamo dentro, qua e là a seconda di una scansione temporale che è stata calcolata matematicamente. Ed è inebriante per certi aspetti, perché lega un’esperienza che è la più “anima” che possa essere pensata ad un’esperienza più “natura” che possa essere pensata a un’esperienza più “scientifica” che possa essere pensata, mette insieme tutte queste cose.

Io penso che un’analisi in realtà, l’analisi del sogno essendo un’analisi, non possa avere, non possa dirsi tale se non avviene a queste condizioni, se non c’è questa consapevolezza che a un certo punto si entra da qualche parte, e quando l’analista si accorge che il paziente è entrato da qualche parte, e ci entra anche lui, e lui ci entra (con uno dei due piedi), allora può utilizzare questo lavoro, perché col paziente che è entrato nel terzo stato succedono meraviglie, veramente succede quello che dicono le tradizioni, e allora quella frase dello Zohar che ci sembra mitologica diventa la realtà. Vi ricordo la frase dello Zohar: “l’anima si alza dal corpo, attraversa l’aria e poi si mette a parlare con gli spiriti”. Ora, può succedere qualche cosa del genere, può succedere qualcosa di diverso, può succedere qualcosa di analogo. Ci succedono in due modi queste cose, noi entriamo nel terzo stato in due modi: 1) quotidianamente, e se ci entriamo quotidianamente, e non sappiamo perché, è perché abbiamo bisogno di farlo, il corpo ha bisogno che succeda questa cosa, la nostra anima ha bisogno che succeda questa cosa, il nostro spirito ha bisogno che succeda questa cosa; 2) possiamo farlo in un altro modo nel setting analitico, oppure in altri setting.

A Renata |Biserni|: volevi dirmi qualcosa?

Renata: no.

G: sembrava volessi dirmi qualcosa.

R: forse ero in trance.

G: a cosa stavi pensando?

R: stavo pensando che Freud diceva che il sogno è la via regia per l’inconscio e che il sogno è il guardiano della salute mentale. In fondo diceva una cosa vicina a quella che stai dicendo tu, anche se poi lo abbiamo messo da parte. Voglio fare l’avvocato di Freud.

G: sì, vedi, Freud ha una frase che secondo me indica quello che è morto e quello che è vivo della propria opera. Che il sogno sia un esaudimento mascherato di desideri inconsapevoli io non lo credo, io penso che il sogno desidera, non è il nostro desiderio in gioco, è in gioco il desiderio del sogno, il sogno desidera, il sogno desidera e per noi non ci sono resti, dobbiamo accettarlo, questo è tanto più vero se pensate alla questione dei sogni ricorrenti, i sogni ricorrenti sono la dimostrazione più efficace del fatto che il sogno è dotato di un desiderio. Io sto parlando un po’ per enigmi, ma è come cercare di dire il perché succedono certe cose. Allora io qui posso dirvi questa cosa. Per quanto riguarda invece la frase che volevo citare, a un certo punto Freud nell’“Interpretazione dei sogni” dice che il sogno ha a che vedere esclusivamente con, e qui la parola tedesca non mi ricordo bene cosa voglia dire in italiano, ma ha a che vedere esclusivamente con l’Io, e Freud è molto deciso su questo aspetto, che il sogno è legato all’Io del sognatore, e ha, in un certo senso, trascurato tutta la lezione romantica, e la lezione che a suo modo ha scoperto a sua volta ha ripreso e rivalutato la tradizione antica, e cioè che il sogno è la dimostrazione potente che non si tratta soltanto di Io, ma di Dio. Nel sogno, diceva uno studioso di sogni romantico, Schubert, ci viene data la dimostrazione che non apparteniamo soltanto alla terra, il sogno ci dice che apparteniamo anche ad altri luoghi, e quindi anche questo aspetto di legare il sogno esclusivamente alla dimensione egoica secondo me è, come dire, plausibile dal punto di vista del senso comune, ma diventa molto meno efficace da altri punti di vista. La teoria del sogno come esaurimento di desideri io la contesto dicendo che il sogno desidera e non il sognatore, il sognatore non ha bisogno di desiderare che il sogno arrivi, il sogno comunque arriva, e con il suo arrivare dimostra che sta desiderando. La questione del sogno legato alla dimensione egoica del sognatore pure questa mi sembra relativizzante, che il sogno abbia a che vedere esclusivamente con pulsioni infantili mi sembra una baggianata, però Freud ha detto una cosa che secondo me è eccezionale ed è un peccato che l’abbia detta in una nota nascosta in un libro di sei–settecento pagine, io mi sarei aspettato, avrei voluto, avrei sperato, che lui si fosse dilungato di più su questo aspetto, e l’aspetto che ha nominato è “l’ombelico del sogno”. La teoria dell’ombelico del sogno a me sembra affascinante. Freud penso che l’abbia citata questa espressione due volte in tutta l’Interpretazione dei sogni, ed è affascinante perché lì Freud parla di una sua difficoltà secondo me, e generalizza la sua difficoltà, e cioè c’è un momento nel lavoro col sogno, c’è un momento, dopo aver interpretato il sogno, dopo che il paziente ha fatto le sue associazioni, – e badate bene che io ho detto che l’Interpretazione è un testo cardine all’inizio, un testo può essere cardine anche perché ci fuorvia, ci devia, e noi dobbiamo riconquistarci la nostra strada, ho detto che il 1899 è sicuramente una data fondamentale – ma c’è un momento, dice Freud, nel quale io dopo aver ascoltato le associazioni del paziente, dopo le interpretazioni, cado come dentro un ombelico, e non capisco più nulla, e il sogno riprende, come dire, la sua corsa; e da lì doveva capire Freud che il sogno non è legato soltanto all’Io, non è una questione egoistica quella che si dipana nel sogno, il sogno cerca di stirarci verso chi lo sa?, questo magari potremmo argomentarlo, lo argomenterò, adesso che è arrivato il tempo delle domande. Io farei in questo modo: termino qui il discorso perché altrimenti non c’è tanto tempo per domande e per poter parlare insieme. Farei come facevano i greci quando si dividevano il bottino di guerra, cioè il primo bottino per un greco da dividere erano le donne, e allora un verso di Omero nomina il porre la donna (preda di guerra) al centro, il centro diventa il luogo della ricchezza, allora ognuno si andava a prendere il tesoro che poteva essere l’oro, poteva essere la spada, eccetera, quindi si poneva al centro l’oggetto di valore, l’oggetto di valore sta al centro, sta al centro perché è lontano da dove stiamo noi. Allora io direi che questo – il microfono – può essere messo qui e chiunque voglia si avvicina e questo è il centro, il nostro centro, il nostro luogo di valore, prende il microfono se vuole farlo altrimenti può parlare da dove sta, e iniziamo a parlare del sogno magari in un altro modo, sentendo le vostre argomentazioni. Io del sogno parlo a partire da tutt’altri piani che magari non hanno nulla a che vedere con quello che vi aspettavate, a me interessa il sogno come esperienza, non il sogno come significato, che poi è il grande passaggio da Freud a Bion, da Freud agli psicoanalisti. Gli psicoanalisti hanno optato per questo passaggio, il sogno come contenuto è poco importante rispetto al sogno come esperienza, però a questa esperienza dobbiamo cercare di dare senso, in qualche modo, e a questa esperienza dobbiamo cercare di attribuire funzioni, quindi magari su questo aspetto, delle funzioni del senso del sogno e perché sogniamo, posso parlare in seguito alle vostre domande.

Virginia |Salles|: Questo terzo luogo, luogo del sogno, non potrebbe essere il luogo dove vivono gli innamorati?

G: certo che lo è.

V: però non lo hai detto.

G: non l’ho detto, no. Diciamo che nel terzo luogo allora avvengono le cose fondamentali della vita umana, e quindi l’innamoramento avviene lì, certamente avviene lì, non potrebbe essere altrimenti, non può avvenire né dalla parte della veglia, né dalla parte del sonno, ma dalla parte del terzo stato, dello stato sognante. L’innamoramento avviene lì, nel terzo stato. Potrei dilungarmi sulle analogie ma lasciamo spazio…

Signora: lei se non sbaglio ha detto che i sogni desiderano. Desiderano dirci qualche cosa?

G: si, alle volte possono pure imporre una loro visione del mondo….

Signora: ecco, io cinque anni fa ho avuto un sogno che desiderava avvisarmi di una malattia. Io una sera ho fatto un sogno che avevo un calcinoma, e la mattina sotto la doccia l’ho scoperto, sono andata a fare le analisi, è stato confermato, mi sono operata, e ora sono guarita. Cioè questo sogno mi ha voluto salvare, ma sono stata io stessa che ho avuto questo desiderio di…

G: non so se posso dare una risposta. Prima ho parlato della prossimità, e poi non ho toccato più questo tema, della prossimità del sogno con la morte. Per me questa è una realtà evidente. Il sogno e la morte sono parenti, sono amici, sono amanti… Quindi, signora, l’esperienza sua non è sicuramente unica, non è neanche comune… io ho sentito cose analoghe a quelle che ha detto lei. La cosa che mi viene da dire è che tutta una branca della psicoanalisi dei sogni, magari poco conosciuta, o meno conosciuta, magari scritta da eretici della psicoanalisi, è tutta quanta concentrata sul rapporto che c’è tra corpo e sogni. E quindi il sogno sa leggere il corpo. C’è un autore che ha scritto un manuale dell’analisi dei sogni negli anni cinquanta, si chiama Gutheil, che per un analista è un uomo eccezionale, significa “buona salute”, anche se heil è il modo in cui i nazisti salutavano Hitler, c’è tutto un capitolo bello nutrito, su come i sogni ci dicono del corpo e ci dicono dei sintomi del corpo, e dicono ciò che non va. In lei è avvenuto questo e in più, per capire quello che stavo dicendo prima, è stato il desiderio del suo sogno di farle vedere questa cosa, probabilmente c’è stato un incontro di desideri. Vede, il sognatore deve subire il desiderio del sogno. Quindi, direi, nella cosa che ci ha detto lei vedo questa prossimità del sogno con la morte, che c’è sempre secondo me però, badate bene: morte, certo qui potremmo pensare a una morte del corpo, io quando dico la parola morte non penso mai a questo, penso sempre questa parola come riferimento ad altro, alla morte di questo o di quello di noi, capisce, non parlo mai di morte nel senso finale del termine, perché per me non c’è una morte nel senso finale del termine.

Giorgio |Mosconi|: mi hai fatto venire in mente la barca di Caronte.

G: sì. La prima volta che ho pensato al luogo di mezzo, vi racconto una cosa molto personale, che rimanda a tanti anni fa, quando facevo analisi come paziente, è un episodio molto particolare che mi ha fatto pensare al luogo di mezzo, ed è che la prima seduta che io feci, nel setting, tra una poltrona e l’altra poltrona, essendo un’analisi junghiana era una seduta vis à vis – io non lavoro quasi più così, però d’altronde ognuno lavora come gli viene opportuno, io lavoro in altro modo, non lavoro vis à vis, in certi casi lo faccio ma in molti altri no – la prima cosa che avevo notato, perché sono molto sensibile al luogo, era che tra me e la persona che mi analizzava, non c’era nulla, cioè c’era una spazio vuoto. La seconda seduta c’era un tavolino. E dall’impressione che mi fece questo cambiamento di setting, la prima cosa che mi venne di notare in quel momento è che tra me e quella persona c’era un luogo di mezzo, che era il tavolino. E da allora per me, internamente, nella mia metafora interna, il luogo di mezzo lo associo molto a ciò che separa e quindi unisce, l’analista e l’analizzato.

Signore: lo stato del sogno, nella concezione neurofisiologica, non è un luogo, quanto una situazione, il che non è trascurabile. E poi un’altra osservazione: se è lecito dire che il sogno è un terzo stato rispetto agli altri due, forse è altrettanto lecito dire che lo stato ipnotico sia un quarto stato.

G: la prima osservazione: certo quando noi diciamo stato diciamo condizione. La parola stato non è mai relativa a un luogo, ma a un come. Per il luogo diventa o una questione metaforica, come dire, uso la metafora del luogo per parlare del sogno, allora mi piace pensare al sogno come a un luogo nel quale mi dirigo…

S: però siccome ha usato la metafora del luogo per indicare una situazione in cui mi trovo totalmente…

G: ecco, vede, lei ha detto una situazione in cui mi trovo totalmente..

S: certo, questa è l’accezione…

G: ma una situazione in cui mi trovo totalmente è un luogo dal mio punto di vista, diventa un luogo. Guardi, la parola luogo la possiamo intendere o come metafora, e allora la possiamo passare, perché a me piace pensarla come luogo più che come condizione, a me piace pensare che il sogno è un luogo. D'altronde se lei ci pensa, se pensa ai suoi sogni, sono dei luoghi, ci sono dei paesaggi, posso esserci delle dimensioni geografiche o oggettuali, lei fa delle cose, parla con delle persone, tutto ciò avviene in un luogo, quello è il luogo del sogno. Gli eventi del sogno avvengono in un luogo secondo me. Quindi io uso luogo in due modi: come metafora, e finché la uso come metafora penso che non sia suscettibile di obiezioni, poi la uso proprio nel senso proprio, il luogo: spazio che contiene qualcosa. In questo senso il sogno per me è esattamente questo, uno spazio che contiene qualcosa, uno spazio in cui entro e in cui posso accedere in certi momenti, e in cui in certi momenti succedono determinate cose. Così come lo spazio in cui succede qualcosa è il setting analitico, perché poi il leitmotiv di tutto questo discorso è che tra setting analitico e luogo sogno propriamente non è detto che ci sia una grande differenza. La seconda osservazione è relativa a considerare l’ipnosi come quarto stato: può essere lecito, può essere dimostrabile, di fatto però è un terzo stato indotto, perché le analogie con il terzo stato sono così ovvie da non far pensare che sia totalmente diverso dal terzo stato. L’ipnosi che accade naturalmente, allora quello è il terzo stato di cui parlavo io, oppure può essere indotta e allora come dice lei è ancora un’altra dimensione, però è una dimensione indotta, quindi, tutto sommato, io mi accontenterei di questi tre: sonno, veglia e sogno.

Signore: effettivamente l’innamoramento come stato di coscienza è uno stato ipnotico perché proprio è fuori dalla coscienza, del resto quando uno si innamora fa cose che…

G: le cose migliori noi le facciamo quando non siamo svegli. Quindi se innamorarsi è la cosa migliore, e lo è, la facciamo quando non siamo svegli del tutto, non quando dormiamo ovviamente. Qui la differenza non è tra sonno e veglia, ma tra veglia e terzo stato. Le cose migliori della nostra vita, quelle che ci riescono meglio, è quando non siamo svegli, pensateci, è quando vengono allentati certi freni, vengono meno certe resistenze, una certa dimensione, come dire, abitudinaria, quando viene lasciato andare il tutto, noi facciamo le nostre cose migliori. Io penso all’innamoramento, ma posso pensare anche alla dimensione artistica, alla creatività. La creatività è proprio una dimostrazione di terzo stato all’opera, il sogno che viene realizzato mentre la persona sta dipingendo, componendo o scrivendo poesie, ecc…. Queste sono tutte cose, le cose migliori, l’arte quindi, l’innamoramento, le facciamo quando non siamo svegli.

Signore: negli stati ipnotici e negli stati non ordinari di coscienza le energie interiori sono moltiplicate.

G: siamo più estesi, diciamo così. Siamo più larghi. Ci possiamo permettere di volare anche, non ce ne accorgiamo, ma voliamo in qualche modo, metaforicamente, ma voliamo.

Signore: per concludere volevo ringraziarla per la sua straordinaria, a questo punto oserei dire neanche cultura, ma straordinaria sapienza…

G: esageri, esageri…

Signore: perché ci fa gustare la sapienza nel senso letterale della parola, il sapiente è quello che ha gustato il sapore della divinità, perché non è da tutti tentare un collegamento tra tradizioni così diverse…

G: mi porta a questo un’impostazione a suo tempo junghiana, di vedere, come dire, tutto collegato, ma a parte Jung è una tensione mia personale di mettere insieme le cose, e di pensare che gli uomini veramente dicono sempre la stessa cosa, la dicono in modi diversi, con parole diverse, e sbagliando nello stesso modo forse, ma dicono sempre la stessa cosa, cercano di dire quella cosa, che è un po’ quello che in qualche modo ho detto prima, e che abbiamo detto anche scherzosamente, che facciamo le cose migliori quando non siamo svegli, quando siamo più vicini alla morte, ecco il concetto di morte come trasformazione. C’è un filosofo, cercando di volerlo interpretare in un modo magari un po’ selvaggio, che ha detto queste cose con una sola frase, un filosofo che ha scritto libri a non finire, un filosofo italiano questa volta, forse l’unico vero originale filosofo italiano che può essere non condivisibile, che si chiama Emanuele Severino. Se volessimo sintetizzare il suo pensiero in relazione a quanto stiamo dicendo sul sogno, potremmo dire così, che la morte non esiste. Non c’è divenire, c’è soltanto essere. La morte è un episodio che non è mai definitivo, è sempre un intervallo. Il sogno penso che c’insegni questo.

Signore: cosa ne pensa delle teorie di Assaggioli?

G: si lega molto. In realtà di alcune cose io non ho detto, c’è tutto un filone della filosofia transpersonale di cui Assagioli è ritenuto uno dei precursori.

Signora: (fa una domanda su cosa dovrebbe fare l’analista nel momento dell’ipnosi spontanea del paziente)

G: niente.

Signora: beh, dovrà pur porsi in maniera costruttiva!

G: vede signora, idealmente, perché poi non è che riesca sempre tutto. Quando gli analisti parlano di quello che fanno, in realtà tendono a idealizzare. Non è che tutte le cose riescano perfettamente. Allora io prima stavo dicendo che il paziente prima o poi entra in ipnosi, e l’analista deve saper utilizzare quello stato, e per poter utilizzare quello stato non deve agire. Deve lasciare che sia, lo stato si deve, come dire, dipanare, svolgere, sviluppare da sé, e allora si arriva sempre da qualche parte, se l’analista sa non interromperlo. Vede, l’interpretazione è un’interruzione. Ci sono analisti che si sono chiesti se l’interpretazione non sia una resistenza dell’analista, se cioè l’analista che interpreta non stia resistendo a quello che sta succedendo, perché l’analisi non è soltanto una questione di dialettica, è una questione anche di cose che succedono, e le cose che succedono possono essere interrotte da alcune parole, da alcune interpretazioni: questo significa questo. Quando l’analista comincia a dire questo significa questo si comincia a deviare in qualche modo, è come un fiume che viene arginato.

Signore: perché ha sempre parlato si sogno e non di sogni?

G: è una questione grammaticale…

Signore: non proprio… allora spiego cosa intendevo: fino alla tradizione greca antica i sogni venivano classificati, i greci avevano cinque nomi per definire le diverse tipologie di sogni, poi quando si è passati alla tradizione latina si sono contratti in una unica parola: insomnium. Dunque non è solamente una questione lessicale, è un diverso approccio, tant’è vero che noi diciamo ho fatto un sogno, mentre gli eredi di Omero dicevano ho visto un sogno, quindi è una visione diversa, estremamente diversa.

G: d’accordo, qui andiamo sull’onirocririca. L’autore che ha menzionato lei si chiama Artemidoro.

Signore: è…?

G: Artemidoro ha classificato i sogni nel modo nel quale ha fatto riferimento lei. Dell’antica onirocritica greca è rimasto pochissimo, però questo testo è rimasto, il libro di Artemidoro che descrive anche una tipologia dei sogni, e questa tipologia ha attraversato l’occidente, non è vero che i latini non la conoscevano, Macrobio, ad esempio, un autore neoplatonico la conosceva.

Signore: a me risulta che i latini non la conoscevano…

G: no, no, l’hanno recuperata al tempo del neoplatonismo latino. Certamente si può parlare di sogni: d’altronde se lei ci pensa e se si va per esempio all’Interpretazione dei sogni, che in realtà è interpretazione del sogno perché Traum è singolare, anche lì c’è una tipologia. Guardi io li ho letti veramente tanti di scrittori sui sogni, e la tendenza di tutti, prima o poi, è quella di stabilire una tipologia del sogno, come se in questa tipologizzazione del sogno ci fosse un avvicinamento a una maggiore conoscenza del sogno, il che non necessariamente è vero. La prima tipologia, quella più universale, quella che si trova per esempio in Omero, dice che i sogni si dividono in veri e falsi. È la teoria che viene detta da Penelope, che sta parlando con Odisseo, che però è vestito da mendicante e che quindi Penelope non riconosce. Durante questa conversazione, che è amabile in un certo senso perché chi legge sa che uno sa e che l’altro non sa, Penelope non sa che quello è il marito che è tornato e che sta per vendicarsi dei pretendenti ecc… ecco lì Omero tenta, sono pochi versi, questa tipologia che parla dei sogni e li definisce in un certo modo. La cosa interessante però, visto che lei ha fatto questa considerazione sui sogni e sui tipi di sogni, è che in tutti i manuali e in tutti gli scritti di onirocritica c’è comunque la tendenza a tipologizzare. Le tipologizzazioni sono diverse, per cui c’è la visio, l’insomnium, ecc. ci sono sogni illusori, visioni, sogni profetici. Tutto sommato l’antichità guardava al sogno con una valenza di profeticità…

Renata: Artemidoro faceva di professione l’interprete di sogni.

G: certo. Nella mentalità dell’antico, andare a farsi interpretare i sogni significava cercare di conoscere il futuro. Questa era l’ottica che non è necessariamente la nostra ottica. Noi non parliamo più in questi termini. La cosa interessante che mi è venuta in mente e che io non ho toccato per niente è l’atteggiamento cristiano nei confronti dei sogni, che è interessantissimo, e adesso vi spiego perché, e qui c’è un’altra questione di tipologia. La prima tipologizzazione è un tentativo di tipologizzazione del sogno che è assolutamente diversa, perché tutto sommato poi il cristianesimo ha tentato di demonizzare il sogno. Mentre per gli antichi i sogni avevano a che vedere con i dèmoni, per i cristiani hanno a che vedere con i demòni: la stessa parola acquista una valenza totalmente diversa. Nel primo trattato di onirocritica cristiano, una sezione contenuta nel De anima di Tertulliano, è del III secolo. L’autore, africano, che lavora sui sogni, dice chiaramente che i sogni sono per lo più mandati da demoni. Quel per lo più ci fa capire che la tipologizzazione è tra sogni non mandati da demoni e sogni mandati da demoni. Nel IV secolo, nel cristianesimo orientale, in ambito di misticismo monastico, nasce per la prima volta nel vocabolario greco una parola, che è una parola che ha una fortuna immensa, e questa parola è aneìdolos, che significa senza immagine. Dal momento che il cristianesimo ha cercato di demonizzare il sogno, lo ha fatto in vari modi, è chiaro che l’unico sogno possibile, l’unico sonno anzi possibile, non macchiato dal peccato o da tentazioni diaboliche ecc… è il sonno così detto senza immagine. In tutto il cristianesimo orientale, questo aggettivo, aneìdolos, con tante variazioni – la parola si trova in Evagrio Pontico che è il fondatore del misticismo monastico, si trova in autori del cristianesimo orientale – ecco l’unico sonno che questi cristiani accettano è il sonno senza sogno, che è veramente il sonno aneìdolos, senza immagine, il sogno che uno non può ricordare, sostanzialmente quello che Freud chiamava il contenuto manifesto. Un sonno che non ha contenuto onirico dice al sognatore che la sua anima è in buona salute. Nel cristianesimo antico, nel cristianesimo orientale soprattutto, c’è tutto un tentativo di costruire delle tecniche esperienziali atte a consentire a chi va a dormire di non sognare. La cosa interessante è che ci sono varie pratiche che vengono indicate capaci di permettere al sognatore, a quello che potrebbe essere il sognatore, di non esserlo affatto, di salvarsi l’anima, di non cadere nella tentazione del demonio, di non sognare quindi di essere peccaminoso, perché questa era tutto sommato l’equazione che veniva considerata. Questo aggettivo ha attraversato, devo dire che io ho scritto un libro su questa aspetto perciò mi sto infervorando, ho scritto un libro su come questo aggettivo ha attraversato l’occidente, ed è appunto dedicato all’esperienza senza immagine. Il tutto nasce da una considerazione che Jung fa però non in riferimento ai sogni: alla domanda se è possibile un’esperienza senza immagine Jung aveva risposto no, è impossibile. Mentre in tutta questa tradizione antica, non soltanto è possibile, ma è auspicabile, anzi è l’unica cosa che debba essere auspicata in tema di sogno e di sognatori cristiani. Quindi il discorso sulla tipologia è veramente frastagliato; io non ritengo che, e forse per questo ho parlato di sogno, una tipologia onirica ci aiuti molto a capire meglio il sogno.