VIII Toni: le lettere distrutte

Fatta eccezione per il suo scambio epistolare con Freud, gli altri scambi epistolari di Jung risultano essere in genere, quanto a numero di lettere inviate, di modesta entità. Diversa da quella di Jung appare la tenuta epistolare di Freud. Si pensi, ad esempio, alle Lettere a Wilhelm Fliess, nelle quali si fa strada la scoperta della psicoanalisi, o anche ai carteggi con Karl Abraham e col pastore Pfister. Della diversità dei due "comportamenti" epistolari può in parte rendere conto, e qui scegliamo un punto di vista à la Jung, la diversa tipologia dei due autori. C'è stato comunque uno scambio epistolare di Jung che forse ha trasceso la sua stessa tenuta: la corrispondenza con Toni Wolff. Nel settecento, che è il secolo degli scambi e dei romanzi epistolari, il romanziere inglese Samuel Richardson forzò il termine corrispondenza a significare qualcosa come "rispondenza del cuore". Non sapremo mai se la corrispondenza di Jung e Toni Wolff fu soprattutto o anche e in quali termini cor-rispondenza. Jung ha infatti distrutto sia le lettere di lei che le proprie. Ci aiuta in qualche modo quanto egli disse a una paziente di Toni Wolff, Irene Champernowne, che era andata a raccontargli un proprio sogno:" Toni è un tipo pensiero-intuizione e non è in grado di volgere le mie idee in sentimento". La cor-rispondenza è allora tipologica, una sorta di affinità elettiva. Non è questo, tuttavia, il punto che intendo evidenziare in chiusura di articolo. Irene Champernowne riferisce che si sentiva più vicina alla sapienza interiore di Jung quando era con Toni piuttosto che quando era con Jung stesso.

Si tratta qui d'un pronunciamento di portata mitologica. L'intima sapienza è la "Ennoia" degli gnostici, è "Sophia". Sophia rappresenta il culmine di quella che Jung chiamava la "scala erotica del quattro" la quale oltre a lei comprende Eva, Helena e la vergine Maria. Rimando a questo riguardo all'articolo da me dedicato a "Jung e lo gnosticismo" e lascio di parlare di Toni. Il culmine dell'epistolario di Jung è fatto di lettere distrutte e odora di fiamma. Il gesto di Jung, ad ogni modo, rinviene forse la possibilità d'una iniziale spiegazione in quello che possiamo a buon diritto definire il suo "paradosso della coscienza", un paradosso noto agli gnostici e del quale Jung tratta in special modo nei seminari tenuti sull' "Analisi del sogno" negli anni 1928-1930 e sullo "Zarathustra" di Nietzsche nel periodo 1934-1939, un paradosso, infine, che ripropone la questione degli "Abwege". La coscienza, come s'è visto, costituisce per Jung il fine essenziale dello sviluppo umano e gli uomini vivono per acquisire la maggiore estensione possibile di coscienza (10/7/46). Per quanto il concetto di "massima estensione di coscienza" costituisca un concetto limite, e Jung nega che sulla "supercoscienza", stante il presupposto epistemologico kantiano, ci si possa pronunciare, appare tuttavia ipotizzabile che tale condizione di "pienezza" comporti alla fine il ritiro d'ogni proiezione. E qui la proiezione va pensata anche come "Abweg", come via laterale. Ma, e poniamo l'interrogativo insieme a Jung, se le proiezioni edificano il mondo, rendersi pienamente autoconsapevoli non significa un procedere verso la sua distruzione?