L'articolo prende in esame il film La pianista.

... La separazione è angoscia e appunto di questo si tratta nelle perversioni, di erotizzare l'angoscia e di mettere un agito al suo posto. Nella vicenda della pianista si tratta dei due opposti modi del separare e del separarsi. Perché si dia un separarsi, un uscire, in altri termini, un abbracciare l'esterno, occorre che si ponga termine al separare assoluto. Nelle vicissitudini del separare e del separarsi ovviamente entra potente e prepotente l'imago della madre, una madre pensata al modo della Klein e cioè come il luogo interno in cui male e bene si combattono come draghi. Sulla scena della perversione della pianista la separazione dalla madre potente, quella dentro la quale se ne sta inghiottito il padre, è insostenibile e dunque va mantenuta a costo di un separare assolutamente quel male e quel bene che dentro il corpo della madre sono in conflitto. Accogliere l'anfimissi delle due imago materne significherebbe la depressione, la perdita, la solitudine, la sofferenza là fuori. Dal momento che il reale è l'odio, l'anfimissi delle due imago comporterebbe un dover sostenere l'odio. Separare, dunque, significa deviare l'odio e, con esso, il reale. Separare mantiene la pianista dentro quel corpo, il corpo-tutto, di madre al quale, come figlia, è furiosamente attaccata. È appunto nella misura in cui si pone al di qua dell'invivibilità della separazione che la pianista, propriamente, per-verte. È nella misura in cui quell'invivibilità non viene lacerata che la pianista lacera, per-verte il proprio corpo, rendendolo oggetto, luogo di ferite.

Secondo Louise Kaplan "una delle ragioni per cui chi si infligge piccole mutilazioni non sa comunicare a parole la sua ansia, la sua rabbia e il suo desiderio è che ha imparato a non disturbare mai i genitori con pensieri e sentimenti sgradevoli". Questo motivo appare ben rappresentato nella letteratura psicoanalitica. Gabbard, ad esempio, ritiene che i pazienti masochisti spesso riorganizzino interamente la vita per incontrare i bisogni dei genitori a tal punto che la loro stessa esperienza affettiva interna, essendo stata sacrificata ai genitori, diventa per loro remota, inaccessibile. In ambito kleiniano Betty Joseph ipotizza che alla base del masochismo si collochi la credenza del bambino secondo cui la conquista dell'affetto dei genitori avrebbe un prezzo: la rinuncia alla separatezza dai genitori, la rinuncia all'individualità. L'approccio fisico che la pianista tenta nei confronti della madre può allora essere letto come tentativo di riprendere gli oggetti buoni che a suo tempo la pianista ha travasato, perdendoli, dentro il corpo della madre. Un tentativo, ad esempio, di riprendere la possibilità di sentire, dal momento che la pianista sembra sentire soltanto a condizione di infliggersi ferite. In altri termini si tratta qui di quella testimonianza silenziosa e non intrusiva dell'altro di cui anche Masud Khan ha parlato in ordine a una possibile spiegazione del bisogno di dolore fisico.

C'è però ancora un altro possibile e significativo guadagno che giustifica e fortifica il non separarsi, e dunque il per-vertere della pianista. Tale guadagno è stato declinato, ancora in ambito kleiniano, da Ruth Riesenberg Malcolm in occasione della presentazione di un suo caso clinico a un convegno della British Psychoanalytical Society nel 1970. Nella circostanza l'autrice ebbe a sostenere la tesi, variamente rappresentata nei quartieri psicoanalitici, secondo cui una fantasia sessuale perversa può valere quale difesa contro un crollo psicotico. Lo scopo di una perversione, secondo l'autrice, può essere quello di "incapsulare le parti più gravemente psicotiche della personalità del paziente". Il guadagno consisterebbe unicamente nell'impedire all'Io di "cadere completamente a pezzi". La crudeltà, tuttavia, rimane immodificata e non è resa possibile la riparazione. Analogamente, secondo Masud Khan, il terrore da cui il perverso deve guardarsi è duplice: terrore di essere annientato e terrore di una "disillusione catastrofica". La tesi della Malcolm sembra potersi convenientemente applicare almeno a buona parte della vicenda della pianista. La crudeltà della pianista si porrebbe al servizio del mantenimento di un pericolante assetto egoico, un assetto sempre in procinto di scoppiare e ritornare allo stato di frammenti.

La perversione della pianista, anzi il suo assetto perverso (perché non di sesso si tratta ma di un procedere del racconto attraverso la lettera del sesso) è, propriamente, stando al perverso Sprachspiel, gioco linguistico, di Lacan, una perversion, e cioè una pére-version, vale a dire una version du père, una versione del padre. Il fatto è però che nella vita della pianista si tratta della versione di un'assenza. Di un padre morto, di un frammento di padre, di un frammento, potremmo anche dire, presente come oggetto folle dentro la pianista e mai dentro la relazione della pianista con la madre. Cosa fa una donna con un maschile morto dentro, una donna che porta dentro sé la follia di un padre morto? Come si declina nella père-version della pianista la versione del padre assente? Interrogativo al quale è possibile dare una risposta a partire dal suo corrispettivo: cosa fa un padre per una figlia in virtù del proprio esserci e del proprio esserle presente? È a partire dalla declinazione della presenza del padre, un impossibile nella vita della pianista, che si rende possibile declinare la Wirklichkeit della sua assenza. Dal momento che, nella vita di ognuno, solo la madre è per un lungo tratto presente, la presenza, l'esserci del padre deve assomigliare a un taglio, deve recare con sé le stimmate, la promessa di una separazione, la promessa di un'interruzione di quel furioso attaccamento al corpo materno che si è mistericamente pensato in Freud. Cosa fa, infatti, il padre presente? Viene da fuori, viene dall'aria, e dunque fa irrompere l'esterno in una vicenda di interni. Cosa fa il padre? Umanizza quel tutto che è l'interno materno, ne depotenzia la terribilità. È a partire da questa irruzione del paterno esterno che il tutto materno può iniziare a traslare a un non tutto. Va da sé che la madre terribile può essere a tal punto potente da incorporare il pene del padre. È di questo che si tratta, secondo il racconto di Melanie Klein, nella prima percezione che il bambino ha dell'amplesso dei genitori. Non soltanto la madre castra, la madre può anche penetrare. Si fa, per così dire, interno che entra dentro altro interno, forcludendo la visione stessa di un fuori. Scriveva Anaïs Nin che mai si sarebbe separata da Rank, se questi non avesse voluto che lei rinunciasse ai suoi «amori materni». Cosa non capiva Rank del proprio rapporto con Anaïs Nin? Appunto questo, che gli amori materni sono fatti di penetrazioni.

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La prospettiva che qui si sta disegnando rinviene le sue ultime propaggini nel controverso concetto freudiano di pulsione di morte, concetto che Neumann, in tema di masochismo, ha ridefinito come desiderio di un Io debole di dissolversi nel Sé. Nella successiva riconsiderazione dell'accenno neumanniano, che dobbiamo alla junghiana Rosemary Gordon, l'identità inconscia con il "solvente più forte", e cioè la madre uroborica, dà piacere. Il masochismo, così come lo declina Rosemary Gordon, costituirebbe il lato d'ombra di un bisogno archetipico: il bisogno di venerare e adorare. Le ferite che la pianista s'infligge le danno piacere o, comunque, le rendono perversamente sollievo. La lametta gelosamente custodita ed espertamente maneggiata dalla pianista non va intesa, infatti, soltanto come mezzo per offendersi, ma quale strumento atto anche a procurare calma e sollievo. La stessa calma e lo stesso sollievo che ricordano oscuramente e paradossalmente al corpo il suo essere oggetto buono e oscuramente degno d'amore, anzi degno dell'unico amore. Un oggetto, potremmo anche dire, che si rende oscuramente degno d'amore allorché si dà in esso una penetrazione materna.

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