Perché mentono gli psicoanalisti?

Gli psicoanalisti mentono. Se mentono, ciò attesta anche un sapere. Mentono perché odiano. E talora odiano perché sanno odiare. Freud mente. Non c'è dubbio. A partire dal primo caso clinico, nonché mitologico, della psicoanalisi: il caso di Anna O., il caso trattato da Breuer, certo, ma anche il caso, la mitologia, che Freud ha ridefinito psicoanaliticamente. Mentendo non meno di quelle isteriche cui imputava il mentire.

Freud sosteneva che le isteriche mentono. Confessava di non credere più ai suoi nevrotici. Ammetteva, con piglio che altri potrebbe definire sadico, di non sopportare i malati di mente. E non li sopportava perché gli provocavano un peculiare senso di ripugnanza. Lo facevano sentire lontano dalla comunità umana. Sono Gesindel, diceva a Ferenczi, gentaglia. A che servono? Soltanto a darci soldi e a far progredire die Sache, la cosa, la nostra scienza, la psicoanalisi. Per Freud la menzogna è parte integrante dell'esistenza. Anche il sogno mente. Anche il sogno va sospettato.

La verità è difficile. E lo è ancora di più perché gli uomini vogliono essere ingannati. I tre poteri, così come gli piaceva chiamarli, la religione, la filosofia, l'arte, non fanno che confermare l'uomo nella menzogna. La religione, in particolare, quest'illusione dal sicuro avvenire, è il vero nemico della psicoanalisi. Lacan ha potuto affermare che le cupole di San Pietro sono destinate a prevalere. La psicoanalisi non offre tanto.

Meglio l'inganno che l'affermazione del dispiacere. Verità e dispiacere sono grandezze direttamente proporzionali. L'affermazione del dispiacere implica l'affermazione della verità.

Gli uomini, come aveva verseggiato anche Eliot, non possono, non sanno sostenere troppa realtà. Di fronte all'estensione generalizzata della menzogna Freud poteva scrivere a Ferenczi: noi siamo in possesso della verità. Noi, gli psicoanalisti. Questa è la pretesa di Freud. Gli psicoanalisti possiedono la verità.

Ferenczi non è da meno. Quel "noi" lo trova pienamente d'accordo. Lo psicoanalista ungherese è un ottimista della verità. Lo è almeno all'inizio e per un buon tratto di percorso psicoanalitico. La verità è un fine assoluto della scienza, scrive a Freud. La verità equivale alla produzione del Bene, quello sommo, quello che nessuno in terra è intitolato a promettere. Profetizza, Ferenczi, la cessazione della menzogna e elegge tale evento a criterio che permette di stabilire la fine dell'analisi. Quando termina veramente l'analisi? Quando è assoluta la cessazione delle menzogne.