Star Trek e la religione americana
Estratto

Alla domanda su cosa ne sia di Dio in Star Trek, però, va data un’ulteriore e più articolata risposta, una risposta che deriva direttamente da quello che possiamo considerare un postulato della religione americana, un postulato di chiara derivazione gnostica e che è stato ampiamente integrato, tra gli altri, dai Mormoni, il postulato dell’“equazione pneumatica”.

Sappiamo che il Dio dei Mormoni, rappresentanti privilegiati della religione americana, non è un Dio creatore. Analogamente, per gli Gnostici, soltanto il Dio inferiore, il demiurgo, lo Yahweh che era uno degli Elohim, è un creatore, creatore di un mondo imperfetto. L’Enterprise, diciamolo anche in questo modo, non è stata creata da Dio. “Il Dio della Religione Americana”, scrive Bloom, che sull’argomento ha scritto un libro ineludibile, un libro col quale occorre assolutamente fare i conti “non è un Dio creatore, perché l’americano non è mai stato creato, cosicché almeno una parte di Dio è contenuta in lui o in lei.” La libertà, per un americano, e Bloom insiste a più riprese su questo punto, coincide con “un essere liberi dalla creazione” e con un “essere liberi dalla presenza degli altri esseri umani.”

Tale modo della libertà è in definitiva un modo della discontinuità. E la discontinuità costituisce il tratto distintivo della religione americana. La discontinuità travolge ogni forma di paradiso, ogni manifestazione che possa richiamare il sogno americano. È sempre in profonda armonia con questo tratto distintivo della religione americana che Emerson voleva una filosofia di flussi e di mutamenti.

Il Paradiso, come recita uno dei titoli della serie di Star Trek, equivale a una sindrome. I radicali inglesi del Seicento lo avevano ben chiaro. Il paradiso è uno stato mentale, non un luogo. Il paradiso è dentro, qui, adesso, non fuori, altrove, dopo.

Altrettanto chiaro lo avevano avuto Imeneo e Fileto, gli eretici, attaccati da Paolo, per i quali la resurrezione era già avvenuta. Il paradiso è una sindrome per lo stesso motivo per il quale una sindrome è una prigione. Ogni paradiso, come agli americani ha insegnato Emerson, è anche una prigione.

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La salvezza non viene dallo spazio, come invece potrebbe ricavarsi dalla fantascienza à la Spielberg. Nelle parole di Bacone “resta una sola possibilità di salvezza e di guarigione: che si riprenda daccapo tutta l’opera della mente; e che la mente, fin da principio, non sia in alcun modo abbandonata a se stessa, ma sia continuamente guidata, cosicché tutto funzioni come in una macchina.”

Quella macchina è l’Enterprise, dispiegamento di salvezza, perché di salvezza si deve far discorso. La sua continua guida è il capitano James Tiberius Kirk. Un nome, questo, che sembra unire le ragioni dell’impero (Tiberius) a quelle della religione (kirk, in scozzese, vale church, chiesa). In altri termini l’Enterprise è una, è la Chiesa, anzi è la Chiesa Militante.

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Diventiamo Dio, scrive Emerson, allorché abbiamo spezzato il nostro dio della tradizione, l’angoscia d’influenza. Non pochi sono gli Elohim che Kirk e compagni incontrano nello spazio, ed Elohim per altre forme viventi dello spazio si rivelano essi stessi. Il che rende in un certo senso concreto, vivibile, ma in modi che Spinoza non avrebbe potuto prevedere, l’adagio homo homini Deus. Adagio che verrebbe da ritradurre in un homo homini Elohim.

Si realizza all’interno della saga di Star Trek anche quanto Bloom aveva affermato in relazione a ciò che cementerebbe i tre principi costitutivi della religione americana: la credenza secondo cui ciò che di più nobile esiste in noi precede la creazione (e dunque il più nobile in noi non è stato creato), la concezione che lega la libertà alla conoscenza (diciamo, anche, alla gnosi), l’ineliminabile aspetto di solitudine che inerisce a quella libertà. Ora, per Bloom, il comune denominatore di questi tre principi è la persuasione tutta americana “che noi siamo divinità mortali destinate a ritrovarci un giorno in mondi ancora da scoprire. Una sintesi, perfetta, questa, a mio modo di vedere, di quanto accade nel corso del pellegrinaggio cosmico dell’Enterprise.

La salvezza si celebra dalle parti dell’indistruttibilità delle immagini. Trionfo del simulacro, direbbe Baudrillard. Trionfo del berkeleyano esse est percipi. Trionfo dell’immaginazione, preferisco dire io. Trionfo, dunque, del docetismo. E approdo estremo del docetismo in terra americana, la terra apocalittica per eccellenza, dopo che questa pretesa eresia ha attraversato il tramonto europeo, anche indossandovi le vesti della psicologia analitica. Qui ripara, soprattutto, quel che rimane, se pure qualcosa rimane, della trascendenza. E si tratta dello stesso motivo per il quale di Dio si sono perse le tracce in Star Trek.

La psicologia radicale che Star Trek sembra proporci sta nel suo essersi sbarazzata, sulla scia di Emerson, padre della religione americana, dell’angoscia dell’influenza e cioè dell’angoscia. In questo senso, anche, ritengo che quella di Star Trek sia una fantascienza, un nuovo spazio, un modo nuovo di concepire lo spazio, per la psicologia, per una psicologia distesamente apocalittica in luogo di una risentitamente catastrofica.