L'ECO DI BERGAMO
2 gennaio 2000

Sebastiano Lo Monaco moschettiere da ricordare
UN GRAN BEL NASO
Bravissimo Cyrano al Donizetti

Chiusura d'anno all'insegna del pienone a teatro: pubblico contento dell'ironico e ricco spettacolo diretto da Patroni Griffi

Cavallo di battaglia per attori di grido, possenti di cuore, e di giustacuore, il «Cirano di Bergerac», o «Cyrano de bergerac» come fa nell'originale di edmond Rostand, torna, a intervalli, col suo nasone «cascante come la proboscide di un elefante» a richiamare pubblico plaudente. Come al Donizetti dov'è rappresentato dalla compagnia SiciliaTeatro, col fiuto scenico, oltre al naso, di Sebastiano Lo Monaco attorniato da uno stuolo di attori che, se non fanno un esercito (di moschettieri si tratta), fanno almeno un plotone. Il largo successo si è ripetuto (parliamo della prima di Venerdì 31), sorprendendo lo stesso Lo Monaco, siracusano che, alla fine delle quasi tre ore di stressante spettacolo, non ha potuto trattenersi dall'esternare la sua meraviglia: «quando ci hanno chiamato in Sicilia abbiamo detto: ma siete matti? a Bergamo l'ultimo dell'anno saranno tutti in montagna. E' gente ricca, invece siete tutti qua. O siete diventati poveri come noi "terroni" o noi siamo molto bravi».
Si, Lo Monaco in testa, sono molto bravi. Ci danno dentro a tutto spiano in questo dramma seicentesco, con duelli, cuori infranti, amorose menzogne, fumose battaglie, vittime di armi e d'amor. Oltre al monologo del «No, grazie», che, detto oggi da Lo Monaco che va in platea ad agguantare gli spettatori, sembra alludere alla non lontana tangentopoli. Insomma il nerbo dello spettacolo sono gli attori, le scene accorte di Terlizzi che cambiano rapidamente a vista (da teatrino di Borgogna abottega di pasticciere, da campo di battaglia a convento di suore) e la robusta colonna sonora (che tale è cinematograficamente parlando).
Il regista Patroni Griffi, napoletano di spirito, porta la recita, con le sue continue interazioni (nel finale Cirano sta per morire ma...non muore mai!), su binari spesso comici, di più o meno velata ironia, comunque di una spiccata teatralità che sottolinea la finzione. Come nella scena del balcone fiorito dal quale Rossana ascolta le amorose profferte dell'amato Cristiano che, dieci in beltà ma zero in fantasia, ripete le parole suggeritegli dal loquace (e innamorato) Cirano. Anche Cirano stesso, col suo naso «che è una penisola» appare più buffo che eroico. E' un pò Arlecchino, anche per le mosse acrobatiche, e un pò barone di Münchausen, rodomonte di buon cuore che va nella luna seduto su un cannone proprio come il settecentesco fanfarone di Raspe. Con finale mesto. Il giovane cadetto Cristiano Muore in battaglia, il suo mentore Cirano perisce per vile attentato, Rossana s'è ritirata in convento. Dirà «un essere solo amavo e l'ho perduto due volte». Ma anche questo affastellamento di disgrazie, in fondo, ha il sapore della parodia dei melodrammi ottocenteschi.
Il testo, in versi come è nella traduzione originaria di Mario Giobbe, ha le sue lungaggini, ma si può dire, procede a fil di spada.
Sebastiano Lo Monaco - poichè questo, come abbiamo detto, è testo per protagonisti audaci e focosi - ne esce con onore: Giusto alla fin della licenza...tocco!. Ha il naso giusto. Da collocare nella galleria dei Cirano da ricordare. Bene gli altri (una trentina), verrebbe da dire per concludere, ma faremmo torto, non citandoli, almeno a Marina Biondi, sospirosa Rossana; a Robert Madison, bel Cristiano, un Di Caprio del '600; a Claudio Mazzenga, aitante Le Bret; a Daniele Pecci albagioso De Guiche.
E così Cirano ha oltrepassato anche questo secolo. C'è da giurare che continuerà a duellare (e sospirare) anche per il prossimo. Le storie d'amore, si sa, non hanno tempo.

Franco Colombo

Bergamo, 2-gennaio-2000