Venerdì 16 Luglio 1999

La Versiliana apre la sua nuova stagione con il "Cyrano de Bergerac" di Giuseppe Patroni Griffi

POETICO GUASCONE

Magistrale l’interpretazione di Sebastiano Lo Monaco del celebre eroe di Rostand

Mario Bernardi Guardi

Qual è il tratto caratteristico di Cyrano de Bergerac? L’eleganza del cuore, la sensibilità poetica, la nobiltà dei sentimenti, lo spirito di sacrificio, l’ostinata fedeltà a un amore unico e impossibile? Tutte queste cose insieme e, ancora, la spavalderia del guascone, il piacere della sfida, l’altissima immagine della propria dignità che a nulla cede, ispida e indomita com’è? Certo, Cyrano è un poeta e un eroe, e se ci son da comporre versi d’amore, con le mille varianti che vengono dalla cultura e dall’eloquenza, o se c’è da incrociar la spada con abilità, oppure da combattere in battaglia coraggio leonino, ebbene Cyrano è all’altezza e nessuno può competere con lui: eppure c’è qualcosa che lo rende fragile e indifeso, al punto di non permettergli di confessare alla donna amata l’ardore che gli devasta l’animo. Già, l’intrepido Cyrano è afflitto da un naso enorme: e se questa spropositata appendice, ancorché vagamente menzionata da qualcuno che non gli stia a genio, gli offre il destino di lavar l’onta col sangue, ecco che essa si trasforma in un terribile biglietto da visita, allorché si tratta di corteggiare la dama del cuore. Come potrebbe, infatti, lei, la splendida Rossana, illuminata dalla bellezza e dalla giovinezza, prendere in considerazione quel volto proboscidato? Cosa c’è di più ridicolo di un brutto adorante? E uno squisito corteggiamento non diventa un penoso balbettio se viene da un cavaliere di riconosciuta nobiltà, si, ma dal viso così sgraziato da far pensare a una grottesca caricatura? Meglio rinunciare a dichiarazioni imbarazzanti per chi le fa e per chi le riceve, se si può, per dir così, amare «per interposta persona» e sia pure col cuore esulcerato. Dunque, se Rossana è innamorata da un giovane ufficiale bello ma incapace di mettere insieme due parole che non siano il solito banale complimento rivolto a una dama di incantevole grazia, perché non suggerire all’insulso vagheggino (ma no, gli manca la nozione di una sia pur affrettata galanteria: è solo insulso) il frasario del raffinato amante?

Davvero la tragedia di un uomo «ridicolo», quella del valoroso Cyrano: e vien fatto da pensare a certe amare riflessioni leopardiane - ad esempio quelle contenute nell’ «Ultimo canto di saffo» - a proposito della natura «matrigna» che chiude in un corpo deforme uno spirito elevato, un animo assetato d’amore, cosicché ogni slancio si annulla nel disincanto. In «disadorno ammanto», infatti, né la virtù del poeta né quella dell’eroe possono risplendere: a chi non fu donata la bellezza, tocca il disamore o l’indifferenza o l’ancor più insostenibile compatimento.

Quando, nel 1897, Edmond Rostand scrisse la sua opera, non inventò del tutto il personaggio di Cyrano, perché trasse dall’oblio dei secoli la figura di un bizzarro scrittore del Seicento cui era toccata la sventura di «convivere» con i gloriosi Moliére, Corneille, Racine. Insomma Cyrano c’era stato «davvero», ed era stato un campione di eccentricità: in quello scomodo fantasma Rostand immise un nuovo soffio vitale.

Spesso si perde a scommettere sull’universalità di una creatura letteraria: Rostand, invece, vinse, e il suo Cyrano – rappresentato la prima volta trionfalmente al Teatro di Porte-Saint Martin – è più vivo che mai. Anzi, cresce in forza in questo scorcio di millennio che tanto ha bisogno di «eroi», avvilito com’è dall’ignobiltà e dalla volgarità. Bene ha fatto dunque Franco Martini, direttore artistico del Teatro della Versiliana di Marina di Pietrasanta, a inaugurare la stagione con questo «classico». Più volte rivisitato e in teatro e nel cinema, dunque c’era da tener conto dei «precedenti», perché i confronti sono inevitabili. Giuseppe Patroni Griffi ha raccolto il guanto della sfida, da buon marinaio di lunga navigazione o, per esser «dentro» al «Cyrano», da valido «cadetto di Guascogna»: la sua regia ha un taglio di impeccata eleganza. Ed è segnata da un indubbia cifra «colta»: rappresentare il «Cyrano» significa, infatti, recuperare anche un ambiente, un’atmosfera; ritrovare raffinatezza e ambiguità del Seicento; mettere in scena il gusto e la sensibilità di un epoca. Come i personaggi manzoniani, anch’essi inseriti in un contesto seicentesco sia pure di tutt’altra fattura, sono, grazie alla mano felice dell’Autore, «universali» e «particolari», così lo è «Cyrano»: un poeta/spadaccino partorito dalla cultura e dal costume di un tempo e di uno spazio ben precisi, e insieme, un «tipo», che dal momento del battesimo artistico, ha vita eterna. Vita che va rinnovata prendendo le distanze sia dall’«accademia», che serve stereotipi consolidati, sia da un certo avanguardismo ammalato di «originalità» a tutti i costi.

Patroni Griffi ha saputo ritrovare lo spirito di un’epoca e di un personaggio, grazie all’interpretazione di un grande Sebastiano Lo Monaco, che ha dato all’infelice amante misure e dismisure richieste: si trattava, infatti, di saper percorrere tutta la tastiera recitativa, dal buffonesco al patetico, dal comico al tragico, dal grottesco al sublime. Anche la Rossana di Marina Biondi è tratteggiata con intima decisione: innamorata che parla dal balcone a un Cristiano che ripete quel che da dietro Cyrano, gran seduttore e intellettuale, gli suggerisce; amante appassionata che raggiunge lo sposo all’assedio di Arras, travolta dalla tempesta affettiva suscitata in lei dalle lettere ricevute (è ovvio che non le ha scritte l’insipido Cristiano, ma il geniale Cyrano); vedova inconsolabile ritiratasi in convento dopo la morte del marito sul campo di battaglia, l’attrice ha persuasività di accenti. E Robert Madison, nei panni di Cristiano, è credibile nell’ottusità e nell’improvvisa accensione di dignità e di carattere, allorché decide di fare a meno del suo maestro di galanterie, perché – se ne rende ben conto - è «di lui» che Rossana è innamorata.

Se qualcosa del testo poteva essere sfrondato, perché nuocciono certe lungaggini, il risultato d’insieme resta di buona fattura, grazie anche alle scene e ai costumi di Aldo Terlizzi, dietro cui s’intravede una notevole sensibilità figurativa, tanto cromaticamente suggestivo è il Seicento che ha portato sul palcoscenico.

Mario Bernardi Guardi