Giovedì 15 Luglio 1999

Cyrano e il suo spleen, dramma dell’unicità

Diretto da Patroni Griffi, Lo Monaco in scena per il festival della Versiliana

Marina di Pietrasanta (LU).

Entra di spalle, da una zona d’ombra, il Cyrano di Sebastiano Lo Monaco che ha debuttato con grandi e festosi applausi al festival della "Versiliana", con discrezione, come il personaggio di un altro mondo che viene a confrontarsi con quel magnifico universo scenico, ideato dalla fervida intelligenza registica di Patroni Griffi, dal gusto volutamente Liberty. La rappresentazione è tutta in questa fascinosa contrapposizione: da una parte il personaggio Cyrano de Bergerac, che fu anche scrittore illustre e fra i più vivaci intellettuali della sua epoca, dall’altra una scena teatrale che si rifà alle avanguardie pittoriche del primo Novecento, incorniciate da una colonna sonora che, oltre a citare la musica colta, prende a piene mani dall’Operetta e dal Can Can, materiali sonori di fine secolo, del tempo di Edmond Rostand, l’autore del Cyrano, qui proposto nella vecchia, ma ancora godibilissima traduzione di Mario Giobbe.

Ma se la musica vuole riportarci al vaudeville, i bellissimi costumi, firmati da Aldo Terlizzi, si richiamano ad uno smagliante Seicento, componendo in tal modo un quadro scenico di persuasiva e accattivante modernità. Con questo suo particolare spleen di personaggio molièriano, il Cyrano di Lo Monaco non somiglia a nessuno dei tanti che l’hanno preceduto e attraversato le scene e gli schermi nel passato più remoto e recente: perché possiede una malinconia che forse gli viene da un sapere, da un destino immodificabile. Il suo Cyrano non è uno stereotipo, né una figura di cartone col suo bel naso all’insù, e la superba facilità del versificare, ma un personaggio vero che si misura con le proprie inadeguatezze, gli incommensurabili sogni, l’intima sensibilità e i suoi pensieri; non è un baldanzoso fanfarone di Guascogna, ma un uomo intelligente, abile e attivo, la cui vita intera, come quella di tutti i grandi uomini si può sintetizzare in un solo sentimento, una frase, un gesto. La bravura recitativa di Lo Monaco è stata proprio quella di avere ridotto al minimo essenziale la distanza <<attorale>> fra questo ingombrante personaggio e il suo interprete. Il suo famoso naso sembra quasi cancellato, nascosto da inquietudini più segrete e profonde, desideri inappagati. Così l’intera storia si trasforma in un gigantesco affresco pittorico, in un racconto visivo in cui l’individuale e il collettivo si fronteggiano, ma dove la diversità di uno non è molto dissimile da quella dell’altro. La bellezza di Cristiano è la prima causa della sua rovina, la femminilità di Rossana una pena senza appello, e questo vale anche per Le Bret, Raguenau, il Conte de Guiche: tutti vittime della loro unicità. Non ci sono alla fine né vinti né vincitori, ciascuno ha combattuto per trasformare il proprio ideale in realtà; ognuno con i propri sogni, le fantasie, i fatti d’arme, fino ad arrivare come Cyrano a farsi inghiottire dalla luna in una delle scene più belle dell’intero spettacolo.

Patroni Griffi ha lavorato molto a coordinare più di trenta attori in scena per una rappresentazione che, intervallo compreso, arriva alle tre ore raggiungendo momenti visivi di abbagliante o fredda bellezza, usando come in un film controcampi scenici, prospettive multiple, immagini sovrapposte: struggenti le sequenze mute della veglia nel campo di Arras, o alcuni cambi di scena da tecnica cinematografica. Marina Biondi è una Rossana dal forte, deciso temperamento, niente affatto sciocca o remissiva, Robert Madison il bel Cristiano che chiede di più soprattutto a se stesso, Claudio Mazzenga un fedele Le Bret con cui si può ragionare e ricordiamo anche, nell’infinita folla di personaggi, Fabio Rusca e Daniele Pecci. Sebastiano Lo Monaco, non immemore delle sue interpretazioni pirandelliane, ha qui fornito una delle sue prove più mature senza lasciarsi sedurre teatralmente dal personaggio e dai suoi versi, ma dominandolo col corpo e con la mente, cosicché meritatissimi sono giunti alla fine i trionfali applausi di un pubblico, fra cui si riconoscevano Monica Guerritore, Umberto Orsini, Carlo Giuffrè, che batteva ritmicamente le mani al suono di un frenetico Can Can.

Giuseppe Liotta