PRIMA FILA

Luglio-Agosto 1999 n.57/58

Sebastiano Lo Monaco

L’incontro

Da "attor giovane" a capocomico e impresario, fra Pirandello e Rostand, Mario Luzi e Patroni Griffi, Alida Valli, Paola Borboni e Giustino Durano. Un attore "sui generis" sempre presente a ciò che accade in scena e fuori, mai assolutamente immedesimato.

 

Se uno prova a lasciare un messaggio nella sua segreteria telefonica, per un po’ ha il sospetto di avere sbagliato numero e di parlare col Gassman nazionale; se parli con lui, a viva voce, ti sembra di ascoltare, per certi trascinamenti di respiro, il grande Paolo Stoppa, ma poi, quando lo conosci bene, scopri che è solo un gioco, un divertissement, tutto privato, scherzoso, e molto (auto) ironico di vivere il suo mestiere, perché il modello di attore per Sebastiano Lo Monaco è l’austero e serissimo Salvo Randone, il grande attore siciliano con cui condivide la terra d’origine (la medesima provincia: di Siracusa, Randone, di Floridia , Lo Monaco), e la passione per Pirandello.

SEBASTIANO LO MONACO - Avendo recitato con Randone nell’Edipo Re di Sofocle all’Olimpico di Vicenza, e avendolo frequentato come giovane spettatore innamorato della sua recitazione, qualcosa dentro deve essermi rimasto: probabilmente il modo particolare di rapportare la nostra voce alla lingua pirandelliana, il fatto di parlare lo stesso dialetto, una leggera nasalità, fanno nascere certe somiglianze, ma non lo imito né voglio trasmettere il suo ricordo al pubblico; è semplicemente un fatto geografico di patria natale. Sono stato anche un grande ammiratore di Romolo Valli. Il suo Enrico IV l’avrò visto una decina di volte al Teatro Eliseo, quando a Roma frequentavo l’Accademia d’Arte Drammatica, e altrettante volte l’ultima commedia recitata prima di morire, Prima del silenzio di Patroni Griffi.

DOMANDA – Allora questi ultimi otto anni di quasi ininterrotte stagioni teatrali pirandelliane, partono da molto più lontano?

S.L.M. – Pirandello mi ha dato la maggiore crescita attorale che potesse capitarmi in tutta la carriera; l’approccio oltre che col pensiero con la sua lingua, originale, unica, assoluta, che non somiglia a nessun’altra, perché è una lingua inventata, creata apposta per la scena, ha fatto nascere questa mia possibilità di entrare con una discreta facilità nell’anima dei personaggi, nelle pieghe della loro grande intelligenza e di trasmetterli con una tale nettezza da renderli subito riconoscibili: una simbiosi fra la lingua pirandelliana e la mia cultura, la mia mentalità, il mio dialetto. In questi anni, anche con dolore e sofferenza, mi sono abituato alle riflessioni profonde, di scavo, alla dietrologia pirandelliana, a non accontentarsi mai della visione superficiale di un fatto, ma a scavare fino al punto di farmi del male: m’ero abituato a leggere la mia vita privata, i miei affetti con il bulino pirandelliano, da non accontentarmi mai della verità che mi si dichiarava, di cercarne sempre altre mille possibili, che mi hanno portato ad una non profondissima crisi depressiva, da cui, poi, sono uscito.

D. – E adesso, quasi come antidoto al raisonneur pirandelliano, ti prepari a mettere in scena CIRANO di Edmond Rostand?

S.L.M. – Con Patroni Griffi, regista dei mie ultimi lavori pirandelliani, Questa sera si recita a soggetto e Sei personaggi in cerca d’autore, abbiamo pensato di celebrare la nostra chiusura di secolo con un testo che è stato scritto proprio alla fine del secolo scorso. Sebbene la storia sia seicentesca, Patroni Griffi ha pensato di ambientarla nel periodo della Bella-Epoque, con tutto il suo gusto liberty, le musiche di Offenbach, Léhar, i versi di Rostand tradotti da Giobbe. L’originalità dello spettacolo sarà proprio il recupero di questa traduzione. D’accordo con il regista mostreremo chiaramente le due facce del personaggio: Cirano poeta, guascone, uomo libero che non vuole asservirsi a nessun tipo di potere. Qui l’attore è attratto proprio dalla mattatorialità del personaggio che ha grandi tirate, grandi scene da applausi. Poi, uno scoppio di cannone farà cambiare rotta allo spettacolo e Cirano diventa un personaggio tragico, soprattutto verso la fine col suo straziante e disperato innammoramento: Cirano praticamente muore senza conoscere l’amore ricambiato. In questa seconda parte Cirano dovrebbe avere la grandezza di un Re Lear, dolente e morente.

D. – Anche la tua carriera d’attore (sono vent’anni che calchi le tavole del palcoscenico) si può dividere in due parti: i primi dieci anni "attore di compagnia", gli altri dieci "capocomico" e "impresario" di SiciliaTeatro, la formazione teatrale da te fondata nel 1989.

S.L.M. - Ho fatto "l’attor giovane" in grandi compagnie: nel Malato immaginario, regia di Mario Missiroli, prodotto dallo Stabile di Torino, ero Thomas Diaforius, nella Locandiera di Patroni Griffi con Adriana Asti, ero il Conte d’Albafiorita; finchè nacque l’occasione di mettere in scena con un gruppo di amici Hystrio di Mario Luzi, un testo scritto probabilmente per un grande attore, ma che non riusciva ad andare in scena. La compagnia fu finalizzata alla rappresentazione di questa novità. Divenni così protagonista di uno spettacolo in una situazione che era più creativa di quella che subisce un attore scritturato. Così è cominciata questa avventura bella ma faticosissima, perché non è come scalare una montagna, ma proprio spostare una montagna. Si è avuta poi la felice idea di chiamare Paola Borboni per un personaggio che doveva rappresentare l’essenza del teatro.

D. – Poi l’incontro con Alida Valli, Giustino Durano…

S.L.M. – Tutti nomi portatori, in compagnia, di una esperienza attorale forte e riconoscibile, di una carriera specchiatamente teatrale, di grande fascino. Non ho mai amato quel teatro di solitudine che amano molti nostri primi attori, ho sempre voluto circondarmi di gemme preziose, per crescere, non solo attraverso compagni di scena "mitici", ma anche con l’aiuto di registi, scenografi: i miei spettacoli sono il frutto del lavoro di tante persone autenticamente ricche di una artisticità che riescono a donare. Così è stato con Bolognini che mi ha spronato ad affrontare il repertorio pirandelliano curando per me la regia del Berretto a sonagli, e con Patroni Griffi, il regista di quest’ultimo periodo della mia carriera.

D. – E gli autori contemporanei.

S.L.M. – Ho bisogno di un testo che mi dia delle emozioni simili a quelle che mi ha dato Luzi, o che mi dà Patroni Griffi di cui vorrei mettere in scena Prima del silenzio o Metti una sera a cena. Ma anche altri autori che fino adesso non ho trovato.

Conoscendo la sua caparbietà e tenacia nel realizzare le cose in cui crede, sono certo che se incontrerà l’autore per lui giusto riuscirà a portarlo in tutti i teatri, a tirarlo fuori dal mucchio, come ha fatto con se stesso, imitando, questa volta per davvero, il Barone di Munchhausen che si salva sollevandosi da una buca anonima e indistinta in cui era precipitato, e riacquista la sua visibilità.