di Angelica Alemanno

 

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STEFANIA MARIGNETTI, giornalista free lance: ho imparato che aspettare le condizioni e i tempi migliori non sempre è la scelta azzeccata e che buttarsi è la cosa migliore da fare!

 

(Roma) Stefania Marignetti ha 33 anni. Si occupa di giornalismo dal 2005, è professionista dal giugno del 2008. Come free lance, scrive gli articoli da casa sua, quartiere Quadraro.

Ci ha mandato l’immagine dell’uomo vitruviano che campeggia da sempre in casa mia: centralità dell’uomo, che è l’unica entità in cui io creda, e tentativo di far quadrare il cerchio. Anche tentare l’impossibile può essere un’attività alla quale dedicarsi.

 

Come hai deciso di occuparti principalmente di giornalismo?

 

.... Per caso, come la maggior parte delle cose che accadono nella mia vita. Anche se scrivere è stata sempre la mia passione. L’iter è stato quello della maggior parte delle persone che svolgono questa attività: stage, gavetta non retribuita, gavetta poco retribuita, praticantato, esame da professionista, un po’ di lavoro retribuito secondo Contratto Nazionale del lavoro giornalistico, licenziamento. Anzi: non rinnovo del contratto che è stato sempre, naturalmente, a tempo determinato.

 

Quali sono le attività quotidiane che ti occupano tempo durante la giornata/nottata e che vorresti evitare?

 

Da giornalista free lance, la mia giornata è una rincorsa, più o meno affannosa e fruttuosa a seconda dei periodi, dietro notizie che possano interessare le testate con cui collaboro. E non sempre interessano. Ecco, la corsa la eviterei. Di conseguenza, certe notti le passo fissando il soffitto e pensando all’affitto, alle bollette, alla vecchiaia eccetera eccetera. Ecco, eviterei anche questo.

 

Quali altre attività alternative sono invece un valido stimolo (o una degna alternativa) alla tua occupazione principale?

 

Visito mostre, partecipo a vernissage, inaugurazioni, presentazioni, conferenze stampa di eventi culturali e artistici. Anche se non sempre riesco a “vendere” il frutto di questa attività, le nozioni si accumulano e il campo della mia conoscenza si allarga. Tutto questo, prima o poi, viene riutilizzato, come il pane vecchio messo da parte: invece di buttarlo, io ne faccio polpette. A proposito di polpette, cucinare è un altro stimolo. Lo faccio per il piacere degli altri, invito gente e cucino per coccolare le persone che amo per rilassarmi e sconfiggere i cattivi pensieri. Per il resto leggo molto, sempre e in continuazione, vado nel panico se non ho un libro con me, e vedo film.

 

Come si caratterizza il tuo reddito, gli introiti che ti consentono di sopravvivere?

 

Guadagno a seconda degli articoli venduti. Basta consultare i tariffari per capire che il guadagno è piuttosto misero. Qualche volta mi viene in aiuto una prestazione occasionale o una collaborazione di uno o due mesi con qualche ufficio stampa.

 

Quanto pensi che conti l´indipendenza economica (da compagni/mariti/genitori) per una effettiva indipendenza emotivo-psicologica, artistica e/o familiare come individuo nella societá?

 

È indispensabile, anche se con questo mercato del lavoro è sempre più difficile riuscire a essere indipendenti. Però, con il tempo, ho imparato che aspettare le condizioni e i tempi migliori non sempre è la scelta azzeccata e che buttarsi è la cosa migliore da fare. Fino ad oggi, me la sono sempre cavata senza dover chiedere niente a nessuno, e questo mi fa sentire libera, ma non nascondo che il pensiero del futuro un po’ di paura me la mette...

 

Quale elemento differenzia la tua azione professionale come donna rispetto all´universo maschile? Quale credi sia il valore aggiunto della tua esperienza femminile rispetto a un uomo che fa la tua stessa attivitá?

 

Quella giornalistica oggi, in Italia, è una carriera complicata, tanto per le donne quanto per gli uomini. Non vorrei generalizzare affermando che per una donna è più difficile che per un uomo, non credo sia così, sarebbe una scusa per giustificare insuccessi e scelte sbagliate. Quello che differenzia la mia azione non ritengo sia legato al sesso, ma alla mia sensibilità, al percorso che ho fatto fino ad oggi, all’ambiente in cui sono cresciuta e in cui vivo.

 

Come pensi si debba relazionare, oggi, la donna al mondo del lavoro, e come credi che sia cambiato il “valore-lavoro” rispetto alla generazione precedente?

 

Mi sembra di percepire, e non tanto tra le righe, un’inversione di tendenza. Se la generazione precedente vedeva nel lavoro la possibilità di concretizzare un’effettiva emancipazione femminile da stereotipi e ruoli passati, le nuove generazioni di giovani donne temo che stiano riadoperando quegli schemi contro i quali abbiamo tanto lottato, senza rendersi conto di quanto questi siano reazionari. Noi abbiamo puntato sulle capacità, sulla crescita intellettuale e culturale, sulla parità tra uomo e donna; per intenderci, nessuna, tra le mie amiche e compagne di scuola, sognava di fare la velina. Ora mi sembra che si stia tornando a un utilizzo sessista dell’immagine della donna, una specie di rivoluzione culturale inversa della quale non tutte si rendono conto.

 

Puoi suggerire un antidoto alla crisi economica globale?

 

Dovrei rispolverare i miei sogni di ragazza di sinistra, infranti e attualmente smarriti perché non sanno che direzione prendere. Sono fieramente comunista, ma questo rappresenta un’utopia? Dire che i tetti di ricchezza, del singolo e delle comunità internazionali, dovrebbero abbassarsi per permettere a tutti di vivere una vita dignitosa, sembra naif?

 

Quale realtà di genere del mondo contemporaneo ti colpisce particolarmente e su quale hai maturato una riflessione forte?

 

Non andrei tanto lontano per riflettere su realtà preoccupanti riguardo il mondo femminile. Se penso all’uso che si fa del corpo della donna qui in Italia sono già abbastanza scandalizzata. Basta accendere la tv, leggere i giornali, interpretare i comportamenti della nostra classe politica, per allarmarsi. Uno gira in auto di notte su via Appia Nuova e il numero di ragazzine che si prostituiscono per strada è sufficiente per capire come stiamo messi. L’emancipazione giuridica non è andata di pari passo con quella culturale, le donne sono ancora un oggetto di piacere, il loro valore è spesso legato alla piacevolezza estetica (questo lo ha affermato anche il nostro presidente del Consiglio quando ha chiesto alla platea di giornalisti chi non preferirebbe circondarsi di belle ragazze invece che di “persone lontane dall’estetica”).

 

Se potessi usare questa intervista per denunciare una realtà che conosci abbastanza bene da poterne raccontare l´ingiustizia, cosa racconteresti?

 

Ne ho troppe in mente, non credo di avere abbastanza spazio. Tra queste, il razzismo che mi pare sempre più radicato e che spesso finisce per condannare alla discriminazione e quindi alla solitudine chi invece vorrebbe solo poter ricominciare qui in Italia una vita dignitosa e integrata.

 

Hai mai subito una qualche forma di violenza in famiglia o sul lavoro da parte di un uomo? Se te la senti prova a raccontarci la tua esperienza.

 

Sicuramente non in famiglia; sul lavoro credo che sia stato il mio comportamento a scoraggiare alcuni uomini che avrebbero approfittato del proprio ruolo per trattarmi non in modo – diciamo – strettamente professionale. Sicuramente lo hanno fatto con altre.

 

Per finire ti chiedo una breve riflessione sulla condizione femminile nel tuo mondo, quello a te più prossimo. Diciamo quello del tuo quartiere?

 

Nel mio palazzo c’è una ‘casa di appuntamenti’, e che i volti delle ragazze non sempre sembrano sereni e distesi. Non sono molto ottimista riguardo al presente, ma spero sempre nel futuro!

 

Che senso ha per te la Famiglia, e in che modo ne vedi una possibile oggi? Puoi tracciarmi un modello (nuovo, vecchio, immaginario) per te valido oggi?

 

Non ho avuto figli e non mi sono sposata, un po’ per caso e un po’ perché il mitico istinto materno non ha fatto ancora sentire la sua voce. Vivo con un mio amico in un piccolo appartamento e ho un compagno più grande di me, che vive per conto suo, separato e con due figli, due ragazzi adorabili con i quali vado d’accordo. Credo nelle cosiddette ‘famiglie allargate’, perché credo nell’amore, che è l’unica cosa che conti.

(Delt@ Anno VII, n. 228 del 30 Novembre 2009)                                                       Angelica Alemanno