“Porto il velo e adoro i Queen'' di Sumaya Abdel Qader

 

 

Editoria

 

 

Ritratto di un’italiana: trenta anni, nata a Perugia, residente a Milano, dove studia per diventare interprete, coniugata con due figlie. Tutto apparentemente “normale”. Ma – c’è sempre un ma nella vita di molte donne speciali – non per la giovane e spigliata Sulinda, che evoca già dal nome un non so che di “diverso”. Sarà forse perché la deliziosa ragazza vanta all’attivo 14 zii e 50 cugini, oltre a 2 genitori, 2 nonni, 4 sorelle e 1 fratello? Un primo indizio della sua, chiamiamola, particolarità. Sulinda e' musulmana e porta il velo, e tanto basta perché il semplice camminare per strada, il fermarsi davanti a una vetrina, l’andare in palestra, al mare o in vacanza, acquistino, per lei, una colorazione speciale. Diversa, appunto.

Non c’è bisogno che qualcuno venga a dirmi che noialtri siamo confusi. Certo che lo siamo. Il Paese in cui nasci e cresci ti dà mille problemi, il Paese d’origine dei tuoi te ne dà altri. Insomma, ti sballottano da una parte all’altra e nessuno ti riconosce. Siamo davvero dei figli di chissà chi.

Sulinda è italiana, italianissima, in attesa della cittadinanza da circa trenta anni. E fa parte della cosiddetta “seconda generazione”, cioè è figlia di immigrati, nata e cresciuta in un Paese diverso da quello di provenienza dei genitori. Un modo come un altro per sottolineare la diversità, che di per sé non dovrebbe essere un problema, ma lo diventa se associata ad uno stato, quello di immigrato, che spesso e volentieri possiede un’accezione negativa.

E’ Sulinda la disinvolta e ironica protagonista del racconto autobiografico tratteggiato con freschezza e humour da Sumaya Abdel Qader. Un viaggio disincantato attraverso «la nostalgia di un tempo passato e mai vissuto». Tra le pieghe della tradizione e della religione. Ma anche dell’ignoranza e dell’insistito pregiudizio che avvelenano un immenso, meraviglioso mondo oltre il velo e alimentano la tipica paura di chi è, per convenzione, “diverso”. Una sfida, quella di Sulinda, unica, ma per molti versi uguale a quella di tutti coloro che, come lei, si trovano, per scelta o necessità, a vivere una identità complessa, continuamente sottoposta a lacerazioni, assestamenti e modifiche.

Non ne possiamo più del comune pregiudizio che le velate siano delle sfigate nascoste sotto una tenda. […]. Ormai il nuovo dilemma shakespeariano del secolo è: to veil or not to veil? E la questione del velo diventa motivo di discriminazione e limitazione della libertà religiosa. Qualcuno provi a mettersi un fazzoletto in testa e a cercare lavoro […]. Per fortuna i casi di veline inserite nel mondo del lavoro ci sono. Peccato che siano, appunto, solo casi. […]. Riflettendoci, forse il problema non sono tanto i veli sulla testa, quanto quelli nella testa.

(Delt@ Anno VII, N. 15 del 28 Gennaio 2009)                                Claudia Frattini