(Roma)
Lia Levi, approdata alla scrittura non più giovanissima, ha fondato e
diretto per trent'anni "Shalom", il mensile della comunità ebraica.
Ha pubblicato per le edizioni e/o
Una bambina e basta
(Premio Elsa Morante opera prima, 1994), testo nato come libro per
adulti, ebbe fortuna come libro per le scolaresche, aprendo all´autrice
una vivace fortuna nell´ambito della letteratura per l´infanzia.
Quasi un'estate
(1998),
Se va via il re
(1996), e per Mondadori
Ogni giorno di tua vita
(1997),
Una valle piena di stelle (1997),
Da quando sono tornata (1998),
Cecilia va alla guerra
(2000),
Maddalena resta a casa
(2000),
La gomma magica
(2000),
Che cos'è l'antisemitismo (2001),
ll segreto della casa sul cortile. Roma 1943-1944 (2001),
Il sole cerca moglie
(2001), il racconto "La portinaia Apollonia" (ed. Orecchio acerbo, 24
pagine, € 10,00), che racconta le persecuzioni contro gli ebrei
attraverso gli occhi di un bambino.
Con
L'albergo della magnolia
(ed. E/O, 2001 e 2004) ha vinto il Premio Moravia.
Libercolo di struggente bellezza, l´ultimo della scrittrice, “Nessun
giorno Ritorna”, edito da Giulio Perrone editore (novembre 2007, 87
pag.
€5,00). Pagine esili, fresche e veloci. Ma dietro quelle frasi che
sembrano trovarsi li´ con la semplicitá dei fiori di campo, una grazia e
una abilitá narrativa collocano il breve romanzo tra le
più´
alte prove letterarie “tascabili“ degli ultimi anni.
La Levi affronta con vivace leggerezza un building roman da una
prospettiva attualissima, ovvero dal centro di un trivio vitale
profondamente umano: il tempo, lo spazio, la personalità. E come
reticolo trasparente e tuttavia avvolgente quell´immotivata
compassione di sé che ne colloca i tratti nel pieno
dell´autobiografia di una donna, una ironica donna ebrea.
Qual´é quel luogo che gli esseri umani votano a propria dimora? Qual´é
il vero “luogo d´origine” da cui proveniamo? É un luogo fisico o un
luogo dell´anima? E ancora, un luogo naturale o un luogo “costruito
dall´uomo”? Per Levi, donna dalle radici fluttuanti, non c´é dubbio: la
nostra patria é quella che ci scegliamo. E quando questo luogo si trova
in campagna, allora il senso di radicamento si fa più reale che
metaforico e ognuno “si rende scrittore del proprio personale romanzo”.
E chi non puó considerarsi avventizio in questa vita? Nessuno, o forse
solo il dolore: in fondo tutti, sembra suggerirci la scrittrice,
cerchiamo il nostro luogo “primigenio” dove far aderire la nostra
personalitá, che sia il posto a essere forgiato da noi o noi dal luogo,
poco importa. L´aderenza dei due elementi si fa rifugio dei senza
dimora.
Proviamo a definire giocosamente il tempo e il passato quali fili
conduttori sulle note del ricordo, attraverso alcune suggestive
espressioni dell´autrice stessa:
il passato é un amante occasionale che deve restare segreto per tutti.
Il tempo, é l´insieme dei ramoscelli che germogliano attaccati ai piú
solidi rami, ramoscelli che danno fisionomia alla chioma di ogni gruppo
umano, e il tempo passato, a dispetto del titolo del libro, può
tonare a trovarci.
Consigliamo a tutte/i questo testo che, parafrasando ancora Lia Levi
(che pensa al suo lago) é come un astuto mercante che srotola per noi
ogni giorno ai suoi piedi il piú azzurro e fantasmagorico dei drappi.
di
Angelica Alemanno
Intervista a Lia Levi
Gentile signora Levi, nel suo breve ma intenso romanzo della memoria,
appaiono e scompaiono personaggi femminili reali quanto metaforici.
Vorremmo esplorarne almeno alcune che hanno colpito la nostra fantasia.
Certamente la sua compagna di stanza al convento napoletano. Un’adolescente
di provincia, s´intuisce, le cui parole le venivano fuori terrose
come se le stesse estraendo direttamente dal campo. Hai mai
riincontrato quella muta duplicatrice di pagine a memoria?
Una donna legata, prigioniera, probabilmente inconsapevole delle proprie
possibilitá.
1)
Crede che al giorno d´oggi ci siano ancora ostacoli
concreti all´emancipazione femminile, alla sua possibilitá di una
completa consapevolezza di genere?
Ostacoli concreti, intendo dire dal punto di vista
normativo, direi proprio di no. Oggi da noi le difficoltà sono legate
più che altro al costume, a una mentalità maschilista dura a morire,
solo apparentemente sopita ma in verità pronta a saltar fuori spesso
camuffata in mille nuovi modi.
2)
Riguardo all´affascinante personaggio della “tedesca”, che
lei chiama con uno pseudonimo Hilde, la dice capace di aver spezzato
quelle barriere di convenzionalitá di cui negli anni giovanili si fa
fatica a liberarsi, e di cui lei stessa era prigioniera. Di quali
convenzioni, oggi, la donna occidentale puó considerarsi ancora
vittima? Quali ricette per quelle donne che non incontreranno mai una
propria “Hilde” lungo il cammino?
La donna occidentale, generalmente parlando, in questo
momento storico è quella che è meno prigioniera delle convenzioni. Ma,
come accennavo, il mio è un giudizio generico che riguarda solo alcune
zone e può invece variare anche all’interno degli stessi paesi. Penso
alla vecchia mentalità che penalizza le donne, non solo nelle zone
sperdute del nostro Mezzogiorno, ma anche per esempio alla provincia
francese o irlandese, o anche a quella statunitense, eccetera.
Certo, Una “Hilde” può aiutare a dare uno scrollone
ad una personalità ancora tentennante e insicura. Anche per me ha
funzionato appunto così.
Altre ricette? Cercarsi un lavoro o un interesse appagante (meglio se tutti
e due insieme) è un altro modo per far crescere la consapevolezza di sé.
3)
Un tema che appena
sfiorato nel testo, a parte le serate di fronte al camino di Giuseppe, é
la collisione tra la nuova comunitá di intellettuali-villeggianti
e gli autoctoni. Si poteva parlare allora di un vero confronto? Oppure
quel senso di marginalità, di “esclusione” serpeggiante nella
“letteratura della shoa” era invece in quel caso sentimento tipico della
comunità “ospitante”, di quelle comunità originarie che vissero d´un
tratto una forma di colonizzazione sociale atta a escluderli per caso e
eccepita? In fondo voi eravate intellettuali, professionisti, artisti.
Mi riferisco a quel sentimento comune di diffidenza e distanza
cosí vivo oggi in provincia, che peró oggi rivolgiamo noi italiani nei
confronti delle nuove comunitá rumene o albanesi (i cui figli sono a
tutti gli effetti italiani e maggioranza nelle scuole) secondo cui, in
fondo, “il paese” non é piú dei paesani.
C´era allora tutto ció?
Io non intendevo affrontare temi così importanti come
quello sociale e ancora meno politico-sociale, temi che possono
nascondere un’ insidia, quella di generalizzazione ideologizzata. Ho
voluto solo raccontare di due gruppi di persone del tutto dissimili che
per puro caso entrano in contatto fra loro. A me piace soffermarmi sui
caratteri e i tipi umani con una certa ironia (spero) e anche con
personale divertimento. Nella mia descrizione nessuno dei due gruppi si
sente superiore all’altro, anzi, c’è addirittura un ingenuo tentativo di
“diventare l’altro”, per esempio i cittadini che vorrebbero sentirsi
radicati nel mondo paesano. Il discorso sulla Shoà l’ho affrontato in
altri libri. Quello su romeni e albanesi è ancora un altro tema che
merita una trattazione a parte.
4)
Il “meticciato” etnico é tratto distintivo piú di
un personaggio. Crede che oggi esista ancora la necessitá (e la
possibilitá) di preservare una continuitá etnico-culturale omogenea?
Oppure é un falso problema?
Oppure all´opposto si tratta del noto fantasma pericoloso,
retaggio delle tragiche esperienze storiche che hanno caratterizzato la
storia dell´umanitá?
La nostra società contemporanea è più fluida non solo per
il cosiddetto “meticciato etnico” (che è quasi sempre una forza
propulsiva) ma anche perché la fine della guerra fredda, e di
conseguenza del blocco ideologico ad essa legato, ha messo in
circolazione idee più libere e individualizzate sì, ma spesso difficili
da gestire e approfondire. E in più le tecnologie informatiche, accanto
ai crescenti e spesso stupefacenti vantaggi, hanno contribuito
attraverso, che so, il chatting e la realtà virtuale, a generare
atteggiamenti di frammentarietà e vaghezza, specie fra i giovani.
5)
Il tema della maternità viene accennato a proposito
del personaggio dell´eccentrica e sfortunata Laura. Tuttavia quel tratto
meschino su di una maternitá quansi “rubata” egoisticamente al destino
pur di garantirsi compagnia, getta una luce oscura sul potere materno
del personaggio (immaginando anche gli effetti presumibilmente
devastanti che tale Laura ha compiuto sul figlio Virgilio). In quali
modalitá, secondo lei, gli hannio della contestazione hanno influito
sulla percezione delle donne rispetto al proprio ruolo di madre?
Quale augurio alle madri che verranno?
Degli anni della contestazione l’elemento forse più valido
è stata la battaglia per l’emancipazione della donna. E’ stato proprio
il femminismo la carta vincente di un periodo spesso generatore di
confusione. Però parlando della donna è necessario distinguere fra il
concetto di “maternità scelta”, che è un fatto positivo, e “maternità a
tutti i costi”, che positivo non è. Il perseguire un “sogno di madre” al
di fuori di un contesto ragionevole, e senza valutare gli eventuali
danni che potrebbero colpire chi verrà alla luce, rientra ancora una
volta in quel campo di confusione e velleitarismo di cui parlavo prima.
E’ ovvio che “per le madri che verranno” il mio augurio sia “maternità
felice e consapevole”.
6)
Nei suoi numerosi incontri con le scolaresche che hanno
seguito la pubblicazione dei suoi libri per fanciulli (per usare un
termine caro alla Morante), quali novitá ha riscontrato nella
sensibilitá del mondo giovanile? La tematica dell´esclusione, non
crede sia un sentimento piú trasversale di cinquant´anni fa, specie tra
i giovani?
Sì, la “tematica dell’esclusione” a cui lei accenna è
forse più sentita di un tempo. Sarà perché i media non fanno che
rinforzare l’idea dell’”esserci a tutti i costi”, e quindi se non ti
vedono non esisti. La figura di un individuo meditativo che si coltiva
serenamente i suoi valori privati è proprio fuori moda, e perciò
ripudiata. In un contesto simile è facile che un mancato inserimento
suoni causa di una cresciuta situazione d’angoscia.
7)
Lei cita l´esperienza della Montessori come scuola
dell´infanzia di suo figlio. Una donna, un metodo educativo
rivoluzionario.
Ci spiega la sua scelta di allora e ci parla delle sue
preferenze sulle pedagogiche odierne, figlie del Metodo?
Non sono una esperta di pedagogia. E in più penso che non tutto quello che
facciamo nasca da uno studio speciale, ma molto più spesso deriva da
qualcosa in cui ci imbattiamo e che valutiamo come esperienza
estemporanea. La scuola Montessori dell’epoca in cui i miei figli erano
piccoli (e penso anche quella di adesso) mi piaceva perché favoriva il
bambino facilitando il suo muoversi in libertà attraverso oggetti e
attrezzature a portata della sua statura. E in più esaltava molto la
creatività, l’invenzione, seppur sempre all’insegna di un sottinteso
senso dell’ordine. Quindi ribadisco che la mia è stata una valutazione
pratica, non teorica, e perciò, purtroppo, non sono in grado di valutare né di esprimere preferenze sulle teorie pedagogiche
odierne.
8)
Per finire, una chicca, ci puó dire qualcosa di piú sulla
donna scomparsa nel lago, la chansonier Britannica dagli occhi di
porcellana azzurra?
Di questo non so nulla. Mi dispiace.
|