«Rompere il velo che nasconde la grande varietà di
volti di donne e il loro essere fonte di ricchezza per il mondo». E’ questo il preciso obiettivo, ben illustrato da
Anna Anghileri – Presidente Les Cultures Onlus-,
di un testo che si propone di
fare luce sulla storia del velo e sulle usanze ad esso legate in molte
parti del mondo. Un libro per restituire dignità alle donne che hanno
deciso di portarlo e a quelle che vorrebbero poterne fare a meno, ma non
sono nelle condizioni di poter scegliere. Il velo, infatti – afferma la Presidente nella
presentazione - «è assurto a simbolo culturale e religioso in molte
discussioni e nasconde spesso false credenze, ideologie e
strumentalizzazioni. Spesso senza potere, le donne hanno sempre una
grande capacità di farsi fulcro di relazioni e di trasmissioni di
saperi. Troppo spesso ridotte nell’immaginario occidentale a vittime
impotenti, in realtà soggetti in costante trasformazione».
Foulard, chador, jijab,turban,
niqab, burqa
sono modi diversi, ma in fondo uguali per coprire la femminilità,
osserva Giuliana Sgrena nella prefazione. Pezzi di stoffa per coprire
ogni centimetro di pelle, un’unghia smaltata, un dito del piede nudo, un
tacco che fa rumore al suo passaggio o un sottile capello che sfugge.
Pericoli veri e propri agli occhi dei mussulmani più integralisti,
legati alle forme più soft del velo da una inevitabile simbologia:
«l’oppressione della donna che si basa sul controllo della sessualità,
perché l’onore del maschio è garantito dal pudore dell’altro sesso. E se
questo onore viene tradito – ricorda ancora la Sgrena – poco importa di
chi è la colpa, è sempre la donna a pagare con il delitto d’onore o con
la lapidazione». Giovanni Mereghetti e Barbara Millucci ricostruiscono
in questo volume i tanti significati assunti dal termine velo nell’arco
dei secoli; le tradizioni, le usanze, le ideologie e le volontà
politiche ad esso legate, insieme ad una breve cronistoria del velo in
alcuni Paesi nell’ultimo decennio. Veli religiosi o identitari sfoggiati per scelta o
per orgoglio, ma anche veli obbligati. E’ allora che «il dolore per la
segregazione imposta dal velo, quando giunge al limite estremo della
sopportazione, si converte in grido, come brillantemente e sapientemente
descritto dalla poetessa afghana Atia Gaheez:
Se mi lasci libera
io volerò verso i cieli
più lontani con le ali della poesia,
mescolerò la mia voce a
quella dei passeri,
e canterò con loro,
e griderò al mondo
degli uomini sleali
che io sono una donna».
(Delt@
Anno VII, N. 32 del 17Febbraio 2009)
Claudia Frattini
GLI AUTORI
Giovanni Mereghetti,
fotografo. Inizia la sua attività di fotografo nel 1980 come
free-lance. Successivamente collabora con le più importanti agenzie
italiane specializzate in reportage geografico e fotografia sociale. Nel
corso della sua carriera ha documentato l’immigrazione degli anni ’80 a
Milano, il ritiro delle truppe vietnamite dalla Cambogia, la via della
seta da Pechino a Karachi, l’embargo iracheno, il lavoro minorile in
Malati, gli aborigeni nell’anno del bicentenario australiano nonché
numerose spedizioni sahariane. Le sue fotografie sono state esposte in
mostre personali e collettive presentate in Italia e all’estero. E’
autore dei libri Bambini e bambini (1996), Piccoli campioni (Pubblinova,
1997), Ciao Handicap! (1999), Omo river e dintorni (Periplo Edizioni,
2002), Bambini neri (Les Cultures – Sahara El Kebira, 2004), Friendship
Highway…verso il Tibet (Bertelli Editori, 2005), Destinazione Mortirolo
(Bertelli Editori, 2006), Nuba (Bertelli Editori, 2006) e Da Capo Nord a
Timbouctou…passando per il mondo (Immagimondo – Bertelli Editori, 2007).
Vive e lavora in provincia di Milano (fonte:
http://www.lescultures.it/pub/pubblicazioni_veli.php).
Vive e lavora a Roma. Collabora
con l’inserto Economia del Corriere della Sera e svariate altre testate
RCS. |