Piove sul nostro amore di Silvia Ballestra

 

 

Editoria

 

 

(Roma) Una storia di donne, medici, aborti, predicatori e apprendisti stregoni. Un viaggio nelle gioie e nei dolori dell’Italia di oggi, in cui “in troppi stanno parlando delle donne, di noi, di me, con tanta leggerezza, e superficialità, e astio, certe volte, che un po’ offende, che allibisce”. E’ l’amara constatazione di Silvia Ballestra, che senza fermarsi alle apparenze ha attraversato, con il suo nuovo romanzo, Piove sul nostro amore (Feltrinelli) l’Italia, dalle grandi città ai piccoli centri di provincia, per indagare se davvero ci sia oggi un’emergenza legata ai temi della vita. E’ andata a vedere, libera da ideologie e preconcetti, raccogliendo storie, partecipando a raduni politici e religiosi, frequentando ospedali e corsi di formazione per volontarie del Movimento per la vita. Scoprendo un’incolmabile distanza tra le necessità del Paese reale e i nodi cruciali del dibattito pubblico, ancora troppo spesso condotto “al maschile”, in modo politicizzato, artificioso e pretestuoso.

«Non riesco a parlare nemmeno con me stessa, […] ma anch’io sono una di quelle “dannate” che hanno abortito  […]. Un pezzo di me è morto quel giorno. A distanza di diciassette anni mi sento ancora malissimo, mutilata, ma almeno quel dolore mi ha dato la forza di sfidarlo finalmente, di farlo sparire dalla mia vita […]. Non penso che avrei abortito, se non mi fossi trovata in quella situazione drammatica. Però non mi sento di condannare nessuno, perché la vita talvolta ti pone davanti a scelte che sembrano inevitabili. E quella dell’aborto è una scelta che comunque ti segna, e ti leva un pezzo di te». Non si inganna Silvia Ballestra, e seppur convinta del sacrosanto diritto delle donne all’autodeterminazione, va oltre le provocazioni e le condanne, dando voce a tante donne che l’aborto lo hanno scelto, per volontà o necessità, e inevitabilmente subito. Perché, va detto, l’aborto è pur sempre un dolore, un miscuglio di lutto e senso di colpa, nostalgia e impotenza, vittimismo e autolesionismo. Buio e… solitudine. “L’aborto - afferma l’autrice - è un nodo esistenziale, politico ed etico”, per chi lo chiede e anche per chi lo pratica. Lo è, perché ha a che fare con la vita, e perché su questo tema si misurano non solo singole esistenze, ma anche intere società, che si trovano a rimodulare il loro sistema di principi, valori e sensibilità. E’ una questione cruciale, che impone, perciò, di mettere al bando ogni reticenza e spingersi oltre l’ideologia pura. Perché sul corpo delle donne non tutto si può dire, non tutto si può fare:

so alcune storie, ne so diverse. Ora ne racconto qualcuna […], ma ogni donna potrebbe raccontarne altre e sarebbero tutte diverse e tutte, in qualche modo molto profondo, uguali. So delle storie perché fra ragazze di certe cose si parla […]. Per questo so di quella ragazzina che tanti anni fa andò ad abortire in ospedale senza nemmeno una camicia da notte, e si ritrovò davanti ai medici sconcertati, così com’era vestita, con certi sandaletti azzurri ai piedi e la gonna tirata su, gli slip appallottolati in una mano e gli occhi fissi al soffitto.

(Delt@ Anno VI, N. 229 del 20 novembre 2008)                                 Claudia Frattini