(Roma) Nelle
pagine di “Ortese segreta.
Ritratto intimo di Anna Maria Ortese di Adelia Battista, giornalista
e autrice teatrale è custodita non solo una straordinaria testimonianza
di vita di una delle più grandi scrittrici nel nostro novecento
letterario ma anche il ricordo di una preziosa e intensa amicizia che ha
legato l’autrice alla scrittrice.
Pubblicato da Minimum Fax nel decennale della scomparsa di Ortese,
il libro racconta la vicenda esistenziale di una scrittrice schiva e
geniale, restituendone il profilo ancora sconosciuto e segreto per chi
l’ ha conosciuta e frequentata o per chi non ha mai incrociato nel
proprio percorso culturale una figura impegnativa come Anna Maria Ortese.
E’ un ritratto inedito per le riflessioni svelate di una donna sulla sua
vita, i suoi affetti, le sue sofferenze, il suo isolamento dal mondo
durante le conversazioni mai
pubblicate che Adelia ebbe con la scrittrice e in un lungo epistolario
inedito tra Ortese e il poeta Dario Bellezza di cui Adelia riporta i
brani. E’ Intimo per la confidenza affettuosa e sincera con cui Ortese
si abbandona alla devozione di una giovane studiosa rivelandole
l’origine della sua
iniziazione letteraria -“ il dolore di sentirsi, verdi, malinconici,
dissociati e in fondo molto contenti di essere appartati e di esprimersi
in termini sempre più differenziati dalla nuova romanità” - o lo
sconfortò che provò – quello di sentirsi ai margini della letteratura
-quando Benedetto Croce le confidò che la raccolta di “Angelici dolori”
era veramente “bellina”. Alla fine degli anni ‘80, Adelia Battista era
solo una giovane studentessa universitaria che dalla lettura de l’Iguana,
decise di intraprendere un lavoro di tesi sulla scrittrice e di
rivolgersi a lei di persona perché non riusciva a capire la sua
“espressività”. Le lettere, una corrispondenza sempre più frequente e il
primo incontro avvenuto a Rapallo,
città dove Ortese si era rifugiata, dichiarando la sua distanza
dal mondo e quello di Milano, dove
nell’ultimo periodo della sua vita lavorerà ai suoi libri,
segnano le tappe di un rapporto durato circa un decennio e terminato
solo con la morte della scrittrice. Ma com’era realmente Anna Maria
Ortese? Antipatica, aliena, insopportabile come lei stessa si definì
alla presenza di Elio Vittorini che
la fotografava? Nel percorso umano e intellettuale che Adelia
costruisce emerge la complessità di una personalità
difficile ma allo stesso tempo fragile, tenera e affettuosa. La
sua vita segnata dal dolore e dalla malinconia è riscattata dal sogno,
dalla visionarietà, taglio significativo della sua opera letteraria.
Memoria e visione permeano la sua scrittura simbolica e mataforica. Il
reale non è mai mediato da un’idea ma è
partorito dalle immagini, dal sogno.
La vocazione estetica di questa “zingara assorta in un sogno”, -
come la definì Elio Vittorini - è attraversata da una condizione di
precarietà che nasce dalla ricerca continua di interrogare il mondo.
Ricerca incondizionata della verità, ricerca infinita della parola e
dell’armonia del testo. “Il nucleo irriducibile della sua scrittura-
rivela Adelia Battista - le
derivava proprio dallo stupore di essere nel mondo”. Biografia e
scrittura si intrecciano indissolubilmente nell’opera della scrittrice.
Ne “Il
Porto di Toledo”, scritta durante gli anni del soggiorno romano,
Ortese giunge pienamente allo stile che le è proprio, sperimentando una
lingua, misteriosa, visionaria, imprevedibile, nomade;
proprio come la sua vita sospesa da una città e da un’ abitazione
all’altra. Il fallimento editoriale dell’opera - dolore incolmabile
della sua vita- coincise con il suo ritiro nella città di Rapallo, una
città umana bagnata dal mare che evocava il ricordo della sua amata
Napoli dove aveva vissuto fino alla fine degli anni ’50. E’ proprio qui
nella sua città che subì la sua prima incomprensione per aver scritto
nel 1953 pagine amare e cocenti ne
“Il Mare non bagna Napoli”,
in cui con impegno militante
e disincanto accompagnandoci
nelle viscere del paesaggio napoletano descrive un’ umanità inebetita e
disperata. Uno scritto di estrema ribellione, libero da pregiudizi e da
facile retorica, che ebbe come bersaglio anche gli intellettuali
napoletani - raccolti attorno alla rivista Sud- accusati di
rassegnazione e ripiegamento
su se stessi. Con i compagni di Sud, Ortese aveva percorso un tratto
della sua vita, nutrendo le stesse passioni
per una nuova cultura libera da ogni ideologia con un’aspirazione
umana di libertà e riscatto per Napoli. Ma il suo contributo di audacia
e onestà intellettuale, pubblicato due anni dopo la chiusura di Sud,
nonostante acclamato con successo dalla critica fu accolto con profonda
disapprovazione. Calò su Ortese, come ricorda Battista, un velo di
silenzio e intolleranza. Questo fu il “vero dolore della sua anima,
l’amara consapevolezza di averli persi tutti”- come confesserà 40 anni
più tardi proprio a Renata Prunas, una sua vecchia compagna di Sud. Ma
del perché una donna come Anna Maria Ortese, cosi chiusa e solitaria
abbia volto aprirsi a una giovane sconosciuta e condividere per brevi e
intensi momenti il peso di un’esistenza malinconica e nostalgica, è un
mistero che ha spiazzato anche i compagni che l’hanno frequentata in
vita. Nessuno dei cultori della grande scrittrice - siano essi
Del resto Adelia piomberà nella sua vita senza preavviso, una mattina
d’ottobre del ‘92 cogliendo con stupore la stessa scrittrice. Quello
stupore che è stato alimento della sua vita e della sua opera.
(Delt@
Anno VI, N. 102 del
5 Maggio 2008)
Angela
Ammirati |