Teresina - una storia vera di Gianguido PAGI Palumbo

 

Editoria

 

 

Mio padre non mi ha mai picchiata. Mio figlio mi picchia.

Mia madre era morta di broncopolmonite cronica fulminante.

Dopo otto mesi e mezzo circa anche mio padre è morto. […].

Morto mio padre e morta mia madre, entro due settimane mi hanno messo in Istituto alla Zitelle della Giudecca. […]

Come amica avevo solo la tristezza. […].

Non potevo mai uscire, eppoi non avevo nessuno fuori, chi avevo io? Nessuno!

Una storia di miseria, alcool, violenza e fatica al centro di un’umanità vagante, sospinta dal bisogno. Il racconto di un’esistenza che attraversa la povertà, la solitudine, gli istituti e la vita di strada, sforzandosi di riconoscersi un valore fin nelle piccole cose. Teresina è madre, cameriera, prostituta: rimasta orfana a soli otto anni, così povera e sola da scambiare la violenza per amore, è vagabonda come lo spazzacamino, amica solo della tristezza. Il suo cuore è uno zingaro che non urla protesta o risentimento, ma sussurra una dignitosa rassegnazione.

Mentre trascorrono la guerra e il fascismo, Teresina combatte la sua guerra quotidiana per  essere viva, senza nascondersi la propria diversità e solitudine: ritrovandosi per strada, senza niente e nessuno; vivendo anni tra osterie e pensioni infime per avere un letto dove dormire e qualcosa da mangiare. Senza smettere mai di pensare al pianto del suo bambino, figlio della strada, che corre a trovare, appena può, in istituto, col pacchetto dei dolci.

E’ un uomo ad aver deciso di raccontare la vita di Teresina: Gianguido Palumbo, che ha pubblicato le memorie, registrate nel 1979 a Venezia, di questa donna eccezionale: nata povera nel 1923 e morta povera a soli 57 anni, Teresina è orfana, prostituta, alcolista cronica, «artista», come spesso amava definirsi; madre sola e moglie - un po’ per convenienza un po’ per affetto - di un ex pugile, ex truffatore, ex carcerato; credente a modo suo e comunista a modo suo, sarà ripetutamente picchiata dal marito e dal figlio fino alla morte, dovuta alla combinazione fatale tra le percosse e una cirrosi epatica che aveva reso il suo corpo incapace di reagire.

Un fiume di parole a metà tra l’italiano e il veneziano, di ricordi disordinati, interruzioni, scherzi, commenti fulminanti, ironia ed autoironia; un marasma di ricordi, in cui si alternano verità e sogni, immagini e circostanze reali, nel tentativo, più o meno cosciente, di rendere la propria vita meno  dolorosa, più romantica e avventurosa.

Una vita e una vitalità disperate e tragicamente attuali, simbolo delle grandi contraddizioni dell’Italia contemporanea e di qualche anno addietro. Una vita come tante altre vite di donne, contesa tra un disperato amore materno e un affetto incompiuto che si trasforma in violenza. Un’esistenza negata, battuta come uno straccio, che raccontandosi chiede di esistere e avere memoria.

L’ho vista Teresina, cento volte, nelle ceno facce di ragazze stravolte nei loro grembiulini grigi, nelle loro calze pesanti al ginocchio

e scarpe nere, austere, grosse che dovevano durare

l’infinto tempo

dell’umana pietà e della dovuta riconoscenza. […].

Cento Teresine, tutte uguali […].

L’ho rivista Teresina

cento volte

nei cento visi sfrontati

di quelle del turno di notte in Frezzeria.

Donne che la vita la prendevano a sberle per farla sorridere

coi figli da mantenere […]

con un marito, forse, ubriaco, malato, violento…forse…

se c’era un marito. […].

Teresina: chissà cos’era per lei normale?

Per le cento Teresine che ho conosciuto normale, forse,

è sempre stato

mordere l’osso dell’ultima diversità. (Prologo di Gualtiero Bertelli)

(Delt@, Anno VII, N 1 del 12 Gennaio 2009)                                                        Claudia Frattini