(Roma)
Che sia sui campi di battaglia, oppure nelle camere da letto, o nei
bassi fondi delle città, questa violenza, esercitata nell’ombra e in
segreto, costituisce uno dei principali scandali non riconosciuti in
materia di violazione di diritti umani.
Da
questa frase, pronunciata da Irene Kahn, presidente di Amnesty
International, emerge tutta la gravità di un problema che può
manifestarsi sotto diversi aspetti e che, pur essendo in primo luogo
soggettivo, non può tuttavia non toccare l’intera società. A partire dagli anni ‘80 e ’90 è stata pubblicata
una serie di studi scientifici che hanno analizzato l’altissimo
costo economico e sociale della violenza domestica per i sistemi
sanitari dei vari Paesi. Il problema di raccogliere dati sul fenomeno è
ancora molto sentito e si richiama alla piattaforma di azione elaborata
a Pechino nel
“ La violenza domestica, testimonianze, interventi, riflessioni”(Edizioni
Magi) è il risultato di uno studio condotto dalle autrici Merete Amann
Gainotti e Susanna Pallini, quali esperte nel campo della psicologia
dello sviluppo e dell’educazione, e quindi della sfera emotiva che
risulta più profondamente offesa dalla violenza. Un libro questo,
presentato il 27 novembre a Roma presso il forum delle donne socialiste,
in cui il problema è visto anche attraverso gli occhi degli operatori
sociali rappresentati nell’occasione dalla responsabile del centro
antiviolenza della Provincia di Roma Enza Pascuncino, la quale ha
riferito del quotidiano lavoro svolto nell’accoglienza e, nei casi di
grave pericolo, anche nell’ospitalità alle vittime e ai loro figli. I danni causati alla società dalla violenza di
genere investono anche il benessere psicologico, l’equilibrio mentale e
le capacità relazionali delle future generazioni. I bambini che assistono a conflitti familiari sono
considerati vere e proprie vittime di maltrattamento, perché il
comportamento violento produce traumi anche attraverso il fallimento del
genitore nella sua funzione protettiva. Questi bambini vivono un
conflitto motivazionale: sono spinti a fuggire dal genitore violento, ma
allo stesso tempo ne hanno bisogno e lo cercano come rifugio. In questa
situazione di indecidibilità comportamentale un bambino può arrivare ad
avere un atteggiamento coercitivo con il genitore maltrattante e
accuditivo con quello maltrattato. La professoressa Pallini, rifacendosi alla metafora
dei tre ruoli di persecutore - vittima - salvatore, tratta dal mondo
teatrale, ha illustrato la teoria secondo la quale in un ambito
familiare violento i tre ruoli, nel tempo, passeranno da un soggetto
all’altro, causando nel bambino un’interiorizzazione sia degli aspetti
di vittima, sia di quelli di persecutore. La violenza assistita, quindi, non esaurisce i suoi
effetti nella sfera individuale e familiare, ma si riverbera in ambiti
sociali più ampi, che possono coinvolgere altri soggetti quali amici,
compagni di scuola, insegnanti. Una ricerca del 2003 condotta a Roma su
un campione di 1059 bambini delle scuole elementari e medie ha messo in
evidenza che quelli esposti a episodi di violenza familiare sono più
propensi ad esercitare forme attive di bullismo nei confronti dei
compagni, ma la tendenza inversa si manifesta per i bambini vittime di
bullismo: il 71% dei soggetti esposti a violenza familiare subisce
episodi di prepotenza e prevaricazione a scuola. Una società responsabile deve allora in primo luogo
fornire alle donne i mezzi per denunciare la violenza, per proteggersi e
proteggere i propri figli, coinvolgendo e sensibilizzando anche la parte
maschile del Paese; è emblematico il fatto che alla presentazione del
libro la figura maschile sia risultata numericamente ridotta. L’argomento trattato nel testo è un dramma che
coinvolge molte, troppe donne e che va al di là dell’età,
dell’istruzione e dell’estrazione sociale, e merita pertanto
un’attenzione costante e una trattazione rispettosa delle vittime, al di
là di inopportune strumentalizzazioni di natura politica, come quella
esternata da una signora in platea, che riducendo il problema ad una
sterile banalizzazione non contribuiscono a rintracciarne le cause più
profonde.
(Delt@
Anno VI, N 238 del 1° Dicembre 2008)
Elisabetta D’Alessandro |