“La violenza domestica, testimonianze, interventi, riflessioni”

 

Editoria

 

 

(Roma) Che sia sui campi di battaglia, oppure nelle camere da letto, o nei bassi fondi delle città, questa violenza, esercitata nell’ombra e in segreto, costituisce uno dei principali scandali non riconosciuti in materia di violazione di diritti umani.

 Da questa frase, pronunciata da Irene Kahn, presidente di Amnesty International, emerge tutta la gravità di un problema che può manifestarsi sotto diversi aspetti e che, pur essendo in primo luogo soggettivo, non può tuttavia non toccare l’intera società.

A partire dagli anni ‘80 e ’90 è stata pubblicata  una serie di studi scientifici che hanno analizzato l’altissimo costo economico e sociale della violenza domestica per i sistemi sanitari dei vari Paesi. Il problema di raccogliere dati sul fenomeno è ancora molto sentito e si richiama alla piattaforma di azione elaborata a Pechino nel 1995 in occasione della Conferenza mondiale delle donne, che si è conclusa con l’invito ai Paesi membri a promuovere la ricerca sulla complessa questione, con la raccolta di dati statistici, e la promozione di misure efficaci per prevenirla.

“ La violenza domestica, testimonianze, interventi, riflessioni”(Edizioni Magi) è il risultato di uno studio condotto dalle autrici Merete Amann Gainotti e Susanna Pallini, quali esperte nel campo della psicologia dello sviluppo e dell’educazione, e quindi della sfera emotiva che risulta più profondamente offesa dalla violenza. Un libro questo, presentato il 27 novembre a Roma presso il forum delle donne socialiste, in cui il problema è visto anche attraverso gli occhi degli operatori sociali rappresentati nell’occasione dalla responsabile del centro antiviolenza della Provincia di Roma Enza Pascuncino, la quale ha riferito del quotidiano lavoro svolto nell’accoglienza e, nei casi di grave pericolo, anche nell’ospitalità alle vittime e ai loro figli.

I danni causati alla società dalla violenza di genere investono anche il benessere psicologico, l’equilibrio mentale e le capacità relazionali delle future generazioni.

I bambini che assistono a conflitti familiari sono considerati vere e proprie vittime di maltrattamento, perché il comportamento violento produce traumi anche attraverso il fallimento del genitore nella sua funzione protettiva. Questi bambini vivono un conflitto motivazionale: sono spinti a fuggire dal genitore violento, ma allo stesso tempo ne hanno bisogno e lo cercano come rifugio. In questa situazione di indecidibilità comportamentale un bambino può arrivare ad avere un atteggiamento coercitivo con il genitore maltrattante e accuditivo con quello maltrattato.

La professoressa Pallini, rifacendosi alla metafora dei tre ruoli di persecutore - vittima - salvatore, tratta dal mondo teatrale, ha illustrato la teoria secondo la quale in un ambito familiare violento i tre ruoli, nel tempo, passeranno da un soggetto all’altro, causando nel bambino un’interiorizzazione sia degli aspetti di vittima, sia di quelli di persecutore.

La violenza assistita, quindi, non esaurisce i suoi effetti nella sfera individuale e familiare, ma si riverbera in ambiti sociali più ampi, che possono coinvolgere altri soggetti quali amici, compagni di scuola, insegnanti. Una ricerca del 2003 condotta a Roma su un campione di 1059 bambini delle scuole elementari e medie ha messo in evidenza che quelli esposti a episodi di violenza familiare sono più propensi ad esercitare forme attive di bullismo nei confronti dei compagni, ma la tendenza inversa si manifesta per i bambini vittime di bullismo: il 71% dei soggetti esposti a violenza familiare subisce episodi di prepotenza e prevaricazione a scuola.

Una società responsabile deve allora in primo luogo fornire alle donne i mezzi per denunciare la violenza, per proteggersi e proteggere i propri figli, coinvolgendo e sensibilizzando anche la parte maschile del Paese; è emblematico il fatto che alla presentazione del libro la figura maschile sia risultata numericamente ridotta.

L’argomento trattato nel testo è un dramma che coinvolge molte, troppe donne e che va al di là dell’età, dell’istruzione e dell’estrazione sociale, e merita pertanto un’attenzione costante e una trattazione rispettosa delle vittime, al di là di inopportune strumentalizzazioni di natura politica, come quella esternata da una signora in platea, che riducendo il problema ad una sterile banalizzazione non contribuiscono a rintracciarne le cause più profonde.

(Delt@ Anno VI, N 238 del 1° Dicembre 2008)                                    Elisabetta D’Alessandro