(Roma)
Oggi è il
Giorno
della Memoria, e per noi tutti/e, come
ha ancora ribadito ieri il Presidente della Repubblica, è un dovere “non
dimenticare ciò che é stato, in una fosca stagione della nostra storia”.
“E’ un dovere trasmettere la memoria di quei drammatici eventi alle
nuove generazioni, affinché ciò che è stato non abbia mai più a
ripetersi".
In
questi giorni al Museo della Liberazione di Via del Tasso si può
visitare Sex-Zwangsarbeit in
NS-Konzentrationslagern (La
Prostituzione forzata nei lager nazisti),
creata dal gruppo “Die Aussteller” di Vienna e da un gruppo dell’Universität
der Künste Berlin. Un’inedita mostra che illustra la costrizione alla
prostituzione subita da molte prigioniere del regime nazista e rende
nota una pagina di estrema crudeltà rimasta finora nascosta alla
conoscenza e alla coscienza civile e politica del nostro paese.
L’argomento, che verrà approfondito dalla Cooperativa Befree in una
conferenza stampa di presentazione della mostra (sempre oggi al Museo
della Liberazione), è oggetto del volume
La prostituzione ai tempi del
nazismo: Das KZ-Bordell, di Robert Sommer, pubblicato a luglio
scorso, a cura delle edizioni Schoningh Verlag. Un volume che svela per
la prima volta i segreti di questo ennesimo capitolo inquietante della
storia della Germania nazista. Il lavoro di Sommer, esperto di studi
culturali, è il frutto di una ricerca lunga nove anni, basata sullo
studio degli archivi, dei siti dei campi di concentramento e su
interviste con i sopravvissuti. E’ opinione diffusa che il regime nazista abbia
proibito e combattuto la prostituzione. Tuttavia, la ricerca di Sommer
rivela l’esistenza di bordelli nei vari campi di concentramento e di una
rete di bordelli, controllati dal regime, operativi in metà Europa, in
particolare dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale. Bordelli
esistevano nei campi di Sachsenhausen, Dachau, Auschwitz, Buchenwald,
Mittelbau-Dora e Mauthausen. Il primo bordello venne istituito a Mauthausen, in
Austria, nel giugno del 1942. Secondo le ricostruzioni, Heinrich Himmler
visitò il campo nel maggio del 1941 e ordinò la costruzione di un
bordello. L’istituzione dei bordelli nei campi faceva parte di un
sistema di ricompense finalizzato ad aumentare la produttività nei campi
di concentramento. In una lettera indirizzata a Oswald Pohl, ufficiale
SS responsabile dei campi di concentramento, datata 23 marzo 1942,
Himmler lodò i benefici del fornire “donne nei bordelli ai prigionieri
più produttivi”. Ai tempi dell’apertura del bordello a Mauthausen
c’erano circa 5.500 prigionieri. Alla fine del 1944, oltre 70.000 uomini
erano ai lavori forzati nel complesso. Le SS reclutarono 10 donne per il
bordello di Mauthausen, circa 300-500 uomini per prostituta. Il bordello per prigionieri di Buchenwald aprì l’11
luglio del 1943. Si stima che un totale di 10 ‘Sonderbauten’ ovvero
‘edifici speciali’ siano stati costruiti nei vari campi di
concentramento tra il 1942 e il 1945, impiegando un totale di circa 200
donne, delle quali oltre il 60% di nazionalità tedesca. Le donne ebree
erano escluse per motivi di “igiene razziale”. La questione se le donne fossero volontarie o meno è
tuttora controversa e dibattuta. Molte di esse venivano attirate con la
falsa promessa che in seguito sarebbero state rilasciate. Il fatto che
l’esistenza stessa dei bordelli nei campi di concentramento sia stata in
gran parte ignorata lascia supporre che molte donne fossero volontarie.
Per alcune donne lavorare nei bordelli era una strada per la
sopravvivenza. La ricerca di Sommer conferma, in effetti, che le donne
che lavoravano nei bordelli aveva maggiori possibilità di scampare alla
morte. Quasi tutte le donne costrette alla prostituzione sopravvissero,
anche se si sa poco di cosa ne sia stato di loro, visto che la maggior
parte preferisce non parlare della propria esperienza.
La ricerca di Sommer ha ispirato la mostra
itinerante, intitolata
“Bordelli dei campi – il lavoro sessuale forzato
nei campi di concentramento nazisti”
che sarà visitabile presso vari siti di ex campi di concentramento
durante l’anno in corso.
(Delt@
Anno VIII, n. 15 del 27 Gennaio 2010)
Clara Park
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