Le lettere di Sofia descrivono una storia notevolissima.
Penso che ho avuto sempre il torto, forse non io solo,
di considerare Sofia «piccola» e quindi di sottovalutarla.
Da queste pagine sembra risultare la più grande di noi,
lucida, determinata, ricca, diplomatica, attenta a tutti,
paziente, profonda. Ne dobbiamo essere fieri.
Alberto Varvaro
Una giovane anima innamorata di Dio, impegnata a
trovare la propria santificazione nello studio e nell’apostolato, come
nelle occupazioni più ordinarie. Fu questo Sofia Varvaro (Palermo 1941 – Roma 1972),
una tra le prime ragazze italiane a entrare nell’Opus Dei. Una scelta
singolare, che la portò a lasciare giovanissima la casa paterna e che
fu, anche per questo motivo, almeno inizialmente avversata dai
familiari. Ed è proprio uno di loro, il fratello Vittorio – che
al termine della vita di Sofia sentirà l’impulso interiore di seguirne
la strada, entrando anche lui a far parte dell’Opus Dei -, ad averne
raccolto e pubblicato l’epistolario, specchio di una vita breve, ma
intensa e avventurosa, di una delicata carità e di una rara e profonda
interiorità. Sofia, che sarebbe morta appena trentaduenne, divenne
numeraria dell’Opus Dei nel 1958. Si trattò, naturalmente, di un
apostolato laicale – perché i fedeli della Prelatura non sono missionari
o religiosi, ma comuni fedeli cristiani – votato alla coerenza,
alimentato da un forte spirito di servizio e orientato, nella
quotidianità e in qualsivoglia ambito sociale e professionale,
all’esempio e alla testimonianza di fede. Una grande avventura d’amore e di libertà condensata
in gruppo di lettere, intrise di
umanità e di un’intensità a tratti straziante, che si succedono a
comporre il profilo di un’anima straordinariamente ”normale” e un
delicato album dei ricordi. E ancora, una testimonianza originale -
diretta, semplice e autentica - sugli esordi dell’Opus Dei in
Italia, sul finire degli anni Cinquanta. Testimone di una spiritualità
straordinaria, l’epistolario di Sofia si snoda, pagina dopo pagina, come
un racconto, sostanziandosi storicamente e tracciando il carattere di un
Paese che, tra speranze e sacrifici, proprio in quegli anni cominciava
ad crescere. Milano, 11 maggio 1962
Carissima mamma,
[…] L’altra sera pensavo che la mia vocazione aveva radici profonde
nella tua sofferenza e che sarebbe stato terribile, dopo aver fatto
soffrire tanto, non arrivare alla santità ma contentarsi di essere dei
mediocri buoni cristiani, né freddi né caldi. Ho pregato Dio perché
grazie al tuo dolore tutti noi – tutta la nostra famiglia – possiamo
giungere più vicini a Lui. Tu mi hai detto più volte che il Signore solo
sa la tua pena; sì, Lui la conosce molto bene, ma tu parlagliene lo
stesso, lamentati con Lui e pregalo per noi […].
(Delt@
Anno VII, N 62 del 24 Marzo 2009)
Claudia Frattini |