“Giovanna”, memoria di una famiglia nell’Italia del Novecento

 

 

Editoria

 

 

(Roma) Abbiamo incontrato Giovanna Marturano Grifone, indomita noventaseienne, partigiana, medaglia di bronzo al valor militare, autrice del libro “Giovanna memorie di una famiglia nell’Italia del Novecento”, recentemente ripubblicato a cura dello SPI CGIL (www.spi.cgil.itci) in occasione di una recente presentazione del suo libro e abbiamo avuto il privilegio di ascoltare le ragioni che l’hanno portata a scrivere queste memorie, chiarendo il suo personale contributo alla battaglia antifascista, alla resistenza, alla democrazia e alla rivendicazione dei diritti delle donne. 

“Ho voluto scrivere la storia della mia famiglia per far capire che cosa sia stata la lotta antifascista e la resistenza. Questo libro è stato scritto per far conoscere cosa è stato il fascismo, l’antifascismo, per far sapere cosa è stata la guerra per le persone comuni come noi, che vivevano nella realtà di ogni giorno.

La mia famiglia si è trasferita a Roma dalla Sardegna nel 1921, quando avevo 10 anni. Noi abbiamo visto nascere e crescere la politica fascista della violenza. Mia madre ci aveva educato ai valori di onestà, giustizia, difesa della libertà e della democrazia. Questo ci ha aiutato a scegliere la strada della libertà.

Abbiamo deciso tutti, giovanissimi, di lottare contro il fascismo e abbiamo pagato tutti: chi con il confino, chi con il carcere. Purtroppo il marito di mia sorella è stato ucciso in campo di concentramento. Questa non è una storia rara nelle famiglie di compagni.

Subito, nonostante fossi giovanissima, mi sono resa conto che la politica del fascismo era maschilista e che solo a parole voleva migliorare le condizioni delle donne. Di fatto, invece, le spingeva sempre più nel chiuso della casa, al servizio del marito e per allevare i figli. Nella condizione di domestiche, oltretutto, senza paga.

Nella scuola le donne potevano seguire solo certi studi. Alla facoltà di Architettura eravamo solo tre donne e alla fine del terzo anno accademico non ce n’era neanche una. Io stessa avevo dovuto lasciare gli studi perché mio padre dovendo risparmiare, sempre con la mentalità maschilista, ha risparmiato sugli studi delle figlie. Così è stata distrutta l’idea che aveva mia madre di far completare anche alle figlie femmine gli studi superiori.

In più ci sono cose che oggi non si sanno: non esistevano le dottoresse. Quando alla fine della guerra hanno iniziato a esserci delle donne che svolgevano la professione medica, c’è stata una gran levata di scudi non solo degli uomini, ma anche delle donne stesse perché era ritenuto vergognoso che una donna potesse visitare un uomo. Si diceva: “Come possiamo permettere che una donna sia responsabile della salute e della vita stessa di un uomo ?”.

Lasciati gli studi, ho lavorato in fabbrica come operaia ed è stata un’esperienza molto dura. Nella fabbrica il principale ricattava le operaie: “O vieni a letto con me o ti licenzio”. Ci apostrofava con male parole, ci chiamava puttane. In più eravamo pagate molto meno degli uomini. Anche quando poi ho fatto l’impiegata le donne impiegate per avere lo stesso stipendio, la stessa considerazione e possibilità di avanzamento, dovevano lavorare il doppio, il triplo degli uomini ed essere molto più brave nel loro lavoro.

Durante la lotta antifascista e la resistenza questi problemi e queste situazioni erano molto sentite da noi donne. Quando durante le guerra le donne presero il posto degli uomini che erano al fronte, si accorsero che erano capaci di farlo, che volevano farlo, che dovevano farlo.

Nelle lotte che abbiamo fatto nella resistenza e dopo, noi donne abbiamo fatto delle grandi conquiste. L’entità di queste conquiste non si può comprendere appieno se non si sa da dove siamo partite. Ci sentivamo inferiori, non eravamo convinte di poter fare certe cose e dovevamo fare un grande sforzo per acquistare la fiducia in noi stesse.

Dopo la liberazione fu un’esplosione di attività: le donne uscite dalla resistenza volevano contare. Sapevano di essere capaci, volevano partecipare e decidere delle cose e soprattutto delle questioni femminili. Prima tra tutte la questione del voto. Fu una lotta lunga e dura. Anche i nostri compagni della Resistenza erano contrari. Ci dicevano: “Ci farete perdere le elezioni !” Quando poi partecipavamo alle campagne elettorali venivamo offese, strattonate, trattate  da persone poco oneste che invece di occuparsi del marito e dei figli pretendevano di fare politica, una cosa da uomini.

Poi ci furono le lotte sul divorzio e sull’aborto. Le donne non sono a favore dell’aborto, perché l’aborto non è mai piacevole sia mentalmente che fisicamente. Ma abbiamo il diritto e vogliamo decidere quando e se avere i figli.

Certo molte cose sono cambiate, anche l’opinione degli uomini sulle donne è cambiata ma la parità femminile non è stata assolutamente raggiunta. Molte delle conquiste fatte si stanno mano a mano svuotando o sono rimaste solo sulla carta. E’ difficile ottenere dei risultati, ma più difficile è difenderli. Ogni conquista va difesa giorno per giorno. Oltretutto noi partivamo da una grande timidezza. Quando Gillo Pontecorvo ci fece vedere il film “Giovanna” mi disse :“Guarda Giovanna, questo film è intitolato Giovanna, ma non è su di te”. Ora invece dico che quel film è anche su di me perché in quel film c’è lo spirito di tutte le Giovanne piccole e grandi.

Ci sono delle cose che ci sono costate dure lotte e sacrifici grandissimi. Abbiamo fatto dei grandi passi avanti. Ma noi donne dobbiamo combattere per non ritornare indietro, perché corriamo il rischio di ritornare molto più indietro. Abbiamo le capacità, dobbiamo tirarle fuori, essere energiche per lottare e per ottenere i posti di comando, perché lì possiamo cambiare le cose.

Mi ricordo che sono andata in Unione Sovietica quando ancora c’era Stalin e ho costatato che nelle fabbriche le donne arrivavano solo fino a un determinato livello, piuttosto buono per l’epoca, ma oltre quel livello no. Quando abbiamo chiesto “Ma perché le donne non possono avere un ruolo più importante ?” ci è stato detto “Fino a lì possono arrivare, oltre no”. Abbiamo chiesto al responsabile politico di una regione “Voi pensate che una donna possa diventare capo del partito o capo del governo ?”, ci hanno risposto di no. “Ma allora siete più indietro di noi !”.

Ho fatto quel che potevo fare, quel che sapevo fare. Non ho fatto grandi cose. Ci sono altri che hanno fatto molto più di me, senza contare quelli che hanno sofferto di più, che hanno perso la vita. Molti di noi hanno pagato con la vita, il carcere, le torture. I più fortunati se la sono cavata.

Il mio merito è quello di aver continuato a essere sempre coerente con le mie scelte, fin qui, facendo sempre quello che ero capace e che sono riuscita a fare.

Da anni vado nelle scuole per spiegare ai giovani quali sono i pericoli della rinascita di uno spirito fascista, in forme diverse da quelle che c’erano una volta, ma un rischio che pur sempre c’è.

Noi donne dobbiamo essere protagoniste di questa lotta contro il risorgere dello spirito fascista, della violenza e del razzismo. Molte volte i giovani mi hanno ringraziato per la lotta che ho fatto, ma sono io che ringrazio loro perché per me sono un bagno di fiducia e di entusiasmo. I giovani sono di gran lunga migliori  di quanto si ritenga.

Posso prendere questo impegno: fino a quando avrò le forze cercherò di fare tutto quello che mi è possibile”.

(Delt@ Anno VII, N. 34 del 19 Febbraio 2009)                                      Lisa Castaldo