Tutto sta rapidamente
evolvendo. La tutela dei valori dell’antifascismo viene tirata
continuamente in ballo, persino se si tratta di difendere
un’amministrazione di sinistra indagata per conti che non tornano. […].
I liberal di Pannunzio denunciano quello che sembra l’inizio di una
nuova guerra civile. Mirella Serri ripercorre la lotta intestina e cruenta
– mai esplorata completamente finora - tra le forze politiche uscite
vincitrici dalla seconda guerra mondiale: da un lato, il Pci
togliattiano, componente fondamentale della ricostruzione nazionale e
del nascente stato repubblicano, determinato a conquistare la leadership
assoluta all’interno del gruppo antifascista; dall’altro, i liberali,
che ambivano a porsi come polo di aggregazione antifascista dei
socialisti e di tutte le altre forze sparse di sinistra. Ciò in un
contesto in cui, all’indomani della seconda guerra mondiale, grazie alla
vasta operazione di immagine realizzata a beneficio del Pci da numerosi
intellettuali, artisti e scrittori, era stato soppresso il dissenso
anticomunista all’interno della famiglia antifascista e chiunque osasse
ricordarne gli errori – o i rapporti fraterni con l’Unione Sovietica –
veniva sistematicamente tacciato di essere reazionario o
cripto-fascista. Quando poi, in verità, quasi tutti, sino al 1942, erano
stati fascisti, o meglio “intellettuali organici”. Piccoli vizi,
perdonati dal Partito comunista con un atto di clemenza che avrebbe
garantito al Pci la fedeltà dei peccatori pentiti. C’era pure, però, al tempo stesso, un’altra
intellighenzia italiana, di origini politiche diverse, ma di identica
ispirazione liberale, che aveva combattuto il regime e avversato il
fascismo più nero, rifiutandosi ora di lasciarsi sedurre da un comunismo
non esattamente compatibile con il futuro di un Paese democratico.
Profeti disarmati, appunto,
se non per un piccolo quotidiano,
Risorgimento Liberale, che fino alle elezioni del 1948, resistendo
alle forze che lo stringevano d’assedio, servì a rappresentare, in modo
libero e anticonformista e prima dell’affermarsi dello strapotere dei
partiti di massa, tutti gli antifascisti e anticomunisti italiani. Storia di un giornale libero, intenzionato a
denunciare fatti e misfatti di alcuni compagni, primo nucleo di una
sinistra terzista, protagonista e testimone di un contenzioso culturale
e politico che spezzò con un colpo netto la famiglia antifascista.
Storie di uomini eroici e di giornalisti di valore decisi a scoprire
sepolcri imbiancati e a smascherare i delitti del gigante comunista e la
sua ideologia decrepita. Storia di una ferita profonda, di una sinistra
divisa tra un dopoguerra in abito democratico e un passato in camicia
nera; di una lotta intestina tra due sinistre ex alleate contro il
nemico nazifascista; di una guerra tra consanguinei, sospesa tra la
denuncia e la rimozione del dissenso: profeti disarmati contro profeti
armati e imbavagliati. Tutti appartenenti al gruppo antifascista, lo
stesso che, armi in pugno, aveva preso parte alla Resistenza, unito nel
Comitato di liberazione nazionale. Un filo rosso si snoda attraverso le parole di
Mirella Serri, mentre dilaga la guerra fredda e si consuma la scissione
del Psi, legando fatti e luoghi lontani nel tempo e nello spazio, tra
pericolose denunce, liste di proscrizione, agguati, soprusi, oscuri
delitti di folla, illegalismi a macchia d’olio, violenze dirette e
indirette da parte dei militanti con le bandiere rosse, giornali
bruciati sulla pubblica piazza. Era la guerra civile permanente, il
dramma della lotta intestina contrabbandata come difesa
dell’antifascismo e, soprattutto, il germe di una politica in cui il
conflitto tra le due anime della sinistra rappresentava uno spartiacque
destinato a segnare la storia successiva e ad agire immutato per
decenni.
(Delt@
Anno VI, N 249 del 15 Dicembre 2008)
Claudia Frattini |