(Roma)
Una lettura
animata di alcuni passi della favola, ha contraddistinto la
presentazione di Nuvoletta e
l'orto stregato di Zuccalà, di Lia Sellitto, psicoterapeuta, docente
di Counselling Sipi-Scuola (Società Italiana di Psicoterapia Integrata);
che lavora in ambito clinico e da molti anni, nel campo della
formazione, con insegnanti e genitori. Il volume, dopo Mercogliano (Av)
e Montevergine, dove è stato presentato il 13 nell’ambito delle
manifestazioni del Maggio dei Monumenti sta facendo tappa in questi
giorni in diversi luoghi dello stivale.
La presentazione della fiaba di Sellitto è affidata
niente meno che a Lia Levi,
scrittrice e giornalista, e, per chi ancora non la conoscesse, autrice
di moltissimi libri, per i quali ha anche ricevuto premi e
riconoscimenti. Di famiglia piemontese, è tuttavia approdata a Roma
giovanissima ed è qui che ancora vive e lavora; ha diretto il mensile di
cultura ebraica “Shalom”, arrivando solo in età matura alla stesura del
suo primo libro, “Una bambina e
basta”, che ha un carattere fortemente autobiografico.
Da questo momento la sua attività letteraria si è
sviluppata su due binari: quello delle opere destinate ad un pubblico
adulto e quelle più educativi per i giovanissimi. Nelle sue fiabe
“moderne”, la protagonista é sempre una bambina, anche quando parla
attraverso la voce della nonna. Da questo punto di vista, Lia Levi puó
essere di certo considerata un'esponente della letteratura femminile
e/femminista, laddove i valori che le sono più cari sono certamente
quelli legati alla resistenza e la libertá. Non é un caso, dunque, che
abbia scelto la fiaba di Sellitto da presentare.
L´aspetto più interessante del libro é certamente
rappresentato dalle figure femminili. Donne sono l´autrice, Lia Sellitto,
la presentatrice, Lia Levi, e la disegnatrice Bianca Pacilio, dal tratto
sicuro e coloratissimo che dona con i suoi pastelli una dimensione
“antica” e giocosa alla fiaba. Ma femminili sono anche i personaggi
principali, modelli assolutamente diversi l´una dall´altra. Proviamo a
ripercorrerle. La madre, sembra avvicinarsi all´idea di matrigna della
tradizione fiabesca. Più che per azioni crudeli, per atteggiamenti
materni “pedagogicamente” sbagliati, come quello di colpevolizzare
sempre qualcuno: le nuvole (al posto della nebbia), la zingara (che ha
lasciato la figlia in fasce), i figli (perché “strani”...) eccetera. In
un certo senso si tratta di una madre non cresciuta, il paradigma dell´incapacitá
di accettare l´altro da sé (“gioca” crudelmente a disconoscere la figlia
solo perché ha la pelle piú scura della sua…). Insomma la madre é il
luogo da cui fuggire, a lei fa difetto quella particolare qualitá che
consiste nel mettersi nei panni di un´altra persona (Nuvoletta, Mephite
2007, pag 20). La nonna: capovolge l´idea di suocera, giacché sembra lei
la vittima della nuora e non viceversa. Corallina accoglie e para i
colpi delle spigolature famigliari. Nuvoletta, la protagonista, gioca
bene da sola, é indipendente e fantasiosa, teme le facce delle zucche
disegnate da lei stessa e si addormenta ascoltando le fiabe del fratello
maggiore. Nuvoletta non ha una etá definita, e trova nelle zucche
riparo, un ventre materno accogliente in cui ripararsi. Non é un caso
che la madre le proibisca puntualmente di rifugiarsi nell´orto.
Nuvoletta dunque coltiva in sé profonde insicurezze e si presuppone sia
prigioniera delle sue paure (non é un caso che l´immagine scelta per la
copertina sia proprio Nuvoletta in una espressione di terrore).
Rossolino incarna il genere opposto a Nuvoletta, un maschietto che
comprende le paure della sorella ma non puó farci granché: lui ha i suoi
aquiloni e le sue traiettorie non erano cose adatte alle femminucce
(Nuvoletta, Mephite 2007, pag 20).
Infine il personaggio-mito della Zingara che (pur se
senza nome) sembra essere la chiave di lettura di tutto il racconto. La
Zingara si difende (di fronte ai due fratellini Rosso e Nuvola) dalle
accuse infamanti diffuse erroneamente secondo cui gli zingari
abbandonino i loro figli. Gli zingari amano la pace, ma soprattutto la
LIBERTA´, incarnato dal loro modo di girovagare. L´agnizione della
zingara riconduce Nuvoletta alla giusta interpretazione dei fatti, alla
giusta valutazione delle parole menzognere della madre, allo sconfitta
delle sue parole.
Nei personaggi femminili si viene cosí a fondere il
bene e il male, l´errore e la veritá.
(Delt@
Anno VI N. 108 del 14 Maggio
2008)
Angelica Alemanno
INTERVISTA
A LIA SELLITTO
26 maggio 2008
Negli
anni settanta giravano Le Edizioni dalla Parte delle Bambine, dove le
protagoniste femminili (un esempio per tutte Rosa Confetto)
trovavano la propria identità attraverso azioni personali, la messa in
discussione diretta del proprio “mondo”, delle proprie “paure”. Il
superamento avveniva attraverso una presa di posizione coraggiosa,
criticando “le regole” della società. La critica non era sterile ma
sempre “creativa”, ovvero atta proporre una alternativa. Nel suo libro
la protagonista compie il cambiamento attraverso una “spiegazione”
esterna, un suggerimento. Lei crede che questo cambiamento di
prospettiva coincida con un cambiamento generazionale del modo in cui le
donne si trovano a condizionare il proprio destino? Lei crede che la
mediazione sia un nuovo strumento di emancipazione femminile? Il cambiamento non avviene attraverso spiegazioni o
suggerimenti, quasi mai . L’identità si struttura attraverso esperienze
emotive e relazionali, sono quelle che danno forza al cambiamento. La
protagonista è alla ricerca di un senso, di un significato e lo stimolo
esterno fa solo“precipitare”qualcosa già presente in lei a livello
pre-conscio. Certo, la società si è trasformata anche grazie al
contributo di analisi e di approfondimento su di sé e sulla realtà,
operato dalle donne. Noi siamo in un’interazione continua, siamo
condizionate e a nostra volta condizioniamo. Questo significa che i
modelli di comportamento, ma non solo, i modi di sentire originano e
strutturano realtà diverse. La soggettività è un valore se coniugato con
l’alterità.
Leggendo il Suo libro, siamo rimasti un po´ spiazzati dal titolo che
rimanda ad una realtà immaginaria (“l´orto stregato di Zuccalà”) non
così pregnante rispetto al contenuto ne´ all´intreccio del suo racconto.
Come nasce il titolo? Ha ragione, sembra così ma non lo è. L’orto è una “summa”,
è il mondo interiore di Nuvoletta, è lì che lei riesce a fantasticare,
ad esprimersi, a dare affetto, abbracciando le zucche; l’orto la tiene
al riparo, ma può trasformarsi anche e dar vita a mostri. Quando la
madre, scioccamente e irresponsabilmente, fa un gioco crudele insinuando
dubbi, a Nuvoletta succede qualcosa di molto spaventoso: prova paura ma
anche rabbia e non può “accedervi” non può darvi parola, perché le manca
quella“relazione”-fondamentale- con una madre capace di accogliere e
contenere. Così la bambina proietta le sue emozioni e l’orto questo
diventa “stregato” spaventoso,” è il vissuto della protagonista, non è
la realtà, è la sua verità.
Nel libro, ha effettuato per i nomi dei personaggi scelte
sofisticate. Addirittura usa per ogni personaggio nomi differenti (Nuvoletta=Nuvola,
Adalgisa=Signora Cucuzza, Rossolino=Rosso Malandrino=“Lin”). Un altro
nome proviene dal regno del mare (Corallina, la nonna) oppure “Mattio”
(l´unico uomo, il padre, che compare solo alla nascita di Nuvoletta).
Quale ispirazione ha mosso una scelta stilistica così´forte? Non
teme che questa scelta potrebbe disorientare i bambini, cui é rivolto il
libro? E come mai la zingara (portatrice del valore della libertá) non
ha nome? Mi piaceva. Ho immaginato di essere io stessa a chiamare i
personaggi, in modo affettuoso, con diminutivi. Mi sono divertita a dare
il cognome “Cucuzza”ad Adalgisa, e anche i bambini si divertono molto
quando sentono questo nome. Ogni nome non è casuale, “Rossolino” per
esempio, io avevo i capelli rossi da bambina, ero notata e considerata
terribile a causa di essi, mi piaceva molto esplorare e sognare come il
personaggio Rossolino, ma mi sentivo sola. “Nuvoletta”come nome è evanescente, è l’opposto della sua
struttura corporea, ma gli adulti sono spesso inconsapevoli. I bambini leggono e ascoltano la storia con piacere, non
si sono confusi. Il nome della nonna,Corallina, in una storia scritta prima
di Nuvola, spiegavo che, per il colore della pelle e la forma del
corpo”sembrava ricavata da un unico pezzo di corallo rosa”. Adalgisa mi suggeriva l’altezzosità ma anche il gelo, il
cognome Cucuzza a una così, un vero schiaffo. E’ vero non ci sono uomini in questa storia, l’unico,
Màttio è dotato di fantasia, ma scappa, non si sa che fine faccia,
preferisce star lontano, è un po’ bambino, non si prende troppe
responsabilità, ma c’è Rossolino,- non dimentichiamolo- l’uomo di casa”
che ha caratteristiche diverse, sognatore ma responsabile. Così la
famiglia “la tira avanti” la nonna e lui, fratello “genitoriale” che si
prende cura di sua sorella e di se stesso. La zingara ce l’ha il nome, si chiama “Zara”, ma lo dice
quando usa le parole sue, non prima. In questo caso la zingara è portatrice di verità, rimette
le cose a posto, disvela.
Ci sembra che alcune volte lei abbia un rapporto
ambivalente con i suoi personaggi, sembra quasi voler leggere le loro
intenzioni oltre le loro azioni, quasi a volerli “spiegare”. Le faccio
un esempio: “suo fratello, che un po´ sbuffando, ma solo per darsi
arie da grande, la faceva avvicinare a sé e la rassicurava” (Nuvoletta,
Mephite 2007, pag 24).
Non penso di avere un rapporto ambivalente con i miei personaggi, sono
consapevole di amarne alcuni, meno altri. Nel caso di Rossolino mi
piaceva non fargli fare il fratello “genitoriale” a tutto spiano,
caricandolo di un peso molto grande, per cui gli concedo di sbuffare
anche un po’ con sua sorella “Nuvola” come lui la chiama. Dandosi arie
da grande, cerca di prendere un po’ “distanza”, di non essere
completamente assorbito da sua sorella. Del resto dovrebbero essere gli
adulti, i genitori a farsi carico dei piccoli, non viceversa!
Quanto la sua professione di psicoterapeuta influisce
nella costruzione della psicologia dei personaggi?
Credo molto, ma in modo spontaneo. La mia formazione più che ventennale con
il Modello Strutturale Integrato è un modello antropologico che mi
orienta nella vita e mi guida. (Nella mia scuola di formazione, la
S.I.P.I., Società italiana di Psicoterapia Integrata, che ha sede a
Casoria(Na), ho costruito rapporti d’ affetto, basati sull’ impegno,
stima reciproca e condivisione. Abbiamo a cuore i destini umani delle
persone che incontriamo nel nostro lavoro di psicoterapeuti. Riteniamo
che “l’identità e la relazione”, “la libertà e la responsabilità”,
“l’intersoggettività” siano valori fondanti, e sono alla base del nostro
lavoro. E ritenere che il linguaggio fantastico colga la realtà in modo
più profondo rispetto al linguaggio razionale, è stata determinante
nella decisione di “esprimermi” attraverso una “favola”. Di questa
teorizzazione ringrazio il mio maestro, il Dottor Ariano che a Casoria (Na)
utilizzando il Modello Strutturale Integrato da lui messo a punto, ha
ridato dignità a uomini e donne che hanno vissuto in manicomio 20 o
anche 30 anni e ora lì, hanno “riconquistato la vita”). Perciò “la
relazione” in cui l’altro/a è visto/a e rispettato, aiutato a crescere,
è il mio pane quotidiano, non poteva non passare nella scrittura, è
parte di me.
Lei ritiene che un bambino-lettore sia in grado di leggere
le intenzioni oltre le azioni? Le sue sono buone domande, puntuali e attente, mi hanno
costretto a riflettere e a ripensare, e la risposta gliela dò partendo
dall’ultimo incontro in una scuola, in un paese del Salernitano. Ho
chiesto alla classe perché Màttio, secondo loro, stesse sui monti,
lontano da casa, così a lungo. Mi ha risposto secco un ragazzo: “per
stare lontano dalla moglie”.
I ragazzi, ma anche bambini di sei
anni, mi hanno sorpreso e stupito, andando al di là di quello che io
stessa ho creduto di vedere nella storia, con loro ipotesi e
suggerimenti. Sui temi che li riguardano sono in gamba. Io non ho
pensato a un libro rivolto essenzialmente ai bambini, sono partita dalla
storia che cominciava a vivere dentro di me, dalle immagini, ho dato
voce alla mia parte “ bambina”, perciò- penso- i bambini l’hanno
accettata, amata, si sono anche spaventati all’idea di una mamma come
Adalgisa. I bambini sono più capaci di emozioni e fantasie, sono ancora
“vivi” e partecipano con intensità, perciò ci siamo incontrati. Mi
piacerebbe che genitori, insegnanti, insomma gli adulti, si lasciassero
prendere emotivamente e fantasticamente dalla storia, sarebbe utile a
loro e a tutti quelli/e che entrano in contatto con loro .
Quanto il suo libro é rivolto alle bambine piuttosto che
ai bambini? Bambini o bambine? Beh, ho notato che in modi diversi
entrambi si sono sentiti coinvolti, sono stati colpiti dalle
“relazioni”: il fratello che ha cura della sorella e l’accontenta, la
nonna che li ama e cucina per loro ma li veglia e li sostiene. La Figura
della mamma, questa tipo di donna e di mamma esce male, anche di padre.
Ma la speranza sono loro, Nuvola e Rosso, insieme, e anche ognuno per
conto proprio, se sostenuti da un affetto che dà struttura e non
indebolisce, potranno andare lontano, lo spero per loro, per tutte le
bambine che non hanno parole, per i bambini sensibili e fantasiosi come
Rosso, che possano incontrare persone giuste, in casa e fuori di casa. Quale valore di genere (la parità dei diritti, la dignità di scelta delle
donne, il diritto a ricoprire ruoli di potere eccetera) crede sia
necessario veicolare attraverso la letteratura infantile So che valori, come la parità dei diritti e altri, sono
presenti in me fin da bambina, grazie a mio padre; la dignità delle
scelte delle donne, quella la sentivo ma non avevo le parole, il
movimento delle donne, le letture, le battaglie collettive mi hanno
aiutato. Ma poi occorre un percorso individuale, non credo a testi per
bambini, didascalici, in cui “mettere” o “veicolare” valori di genere in
modo intenzionale. E’ dentro di noi, nelle nostre emozioni, che devono
trovar posto le idee, dobbiamo crescere individualmente e
collettivamente. “Il diritto a ricoprire ruoli di potere”, detto così non
mi piace, direi piuttosto che l’“affermazione di sé”, del proprio
valore, è “sano”, dare valore alla soggettività è sacrosanto, battersi
per il riconoscimento di tutti e due, un dovere. Se questo appartiene
all’esperienza di chi scrive va bene, è un patrimonio personale, poi, va
“tradotto” in letteratura.
(Delt@
Anno VI, N. 125 del 3
Giugno 2008)
Angelica Alemanno |