Il Poeta-regista e la meravigliosa soprano

 

Editoria

 

 

Dacia Maraini, Albero Moravia, Pier Paolo Pasolini e Maria Callas erano un quartetto piuttosto collaudato a condividere tempo e spazo insieme: “Abbiamo fatto due viaggi in Africa, di un mese ogni volta, e uno nello Yemen. La Callas era abituata agli alberghi di lusso ma si adattava anche agli ostelli, come è successo quando ci siamo mossi all'interno dell'Africa con la Land Rover (Intervista di Annalisa Serpilli comparsa sul Sole 24 ore l´11 settembre 2007). Ed é proprio da quella Land Lover che parte il racconto di Dacia Maraini Il Poeta-regista e la meravigliosa soprano (supplemento del Corriere della Sera del 26 luglio, € 2,99). Il semplice ricordo lascia spazio alla felice tessitura di un vero e proprio racconto dove l´io narrante si cela timidamente dietro una “ragazza dagli occhi cilestrini”, confidenziale epiteto che non lascia spazio ad ambiguitá e di cui scopriremo solo alla fine la paternitá. La limpidezza del ricordo bene contrasta con l´opacitá della terra bruciata africana.

Pasolini concluderá il Frammento alla morte con queste parole: “Africa! Unica mia alternativa”. In effetti l’Africa era per il poeta-regista il naturale controcanto dell’Occidente: nera, mitica e preindustriale, essa si opponeva alla civiltà bianca, razionalistica e borghese, e fu proprio durante questi viaggi che Pasolini elaboró la sua Poetica sull´Africa e la sua interpretazione di Medea. Cosí Moravia descrive un documentario di Pasolini sull´Africa: “per niente esotica e perciò tanto più misteriosa del mistero proprio dell'esistenza, coi suoi vasti paesaggi da preistoria, i suoi miseri villaggi abitati da un'umanità contadina e primitiva. Pasolini 'sente' l'Africa nera con la stessa simpatia poetica e originale con la quale a suo tempo ha sentito le borgate e il sottoproletariato romano".

Umori, sensazioni, stupori, scoperte. Tutto stratifica lungo il percorso narrativo di questo breve racconto inedito di Maraini, lasciandoci intravedere le autentiche movenze dei protagonisti (gli stivali di Pasolini sulla terra bruciata, gli ampi occhiali di Maria Callas) cosí come raramente ci é dato sapere. Assaporiamo appena, grazie alla discrezione signorile e delicatissima della nostra autrice, le intime dinamiche sentimentali, gli sguardi fugaci, quell´incontro irripetibile tra alcuni dei piú grandi del panorama culturale del novecento. Maraini, una di loro, ci concede poi di procedere oltre l´evento umano del viaggio, sorvolando con lo sguardo elefanti, coccodrilli, zanzare, grilli e termiti. Ed é lí, di fronte ad alla visione “sorprendente e primordiale” della natura africana, che lo sguardo attento della narratrice si corrompe in emozione assoluta, sorprendendosi in lacrime. Ed é forse quello stesso rapimento, quello che accompagnó Maraini dopo la prima volta di fronte alla Divina; era a Parigi, la Tosca, qualche tempo prima del viaggio in Africa. Non avrebbe mai pensato, allora, che avrebbe condiviso con quella “pantera” una piccola stanza e due lettini di ferro smaltato.

In effetti l´occhio femminile di una Maraini giovanissima, é l´unico sopravvissuto in grado di poter traghettare fino ai nostri giorni la testimonianza di un tempo gravido di esperienze intense vissute da chi, primo fra tutti Pasolini, riuscí a tradurre in arte il senso profondo dell´Africa. Maraini, attraverso parole fresche e puntuali nella rievocazione, ci accompagna persino dentro la casa della madre di Pasolini, mostrandoci una donna fortissima nella sua ferrea volontá di madre friulana, di “maestra” conscia di non avere rivali. E´un piacere lasciarsi portare per mano laddove forse, ognuno di noi, avrebbe voluto essere, nel modo in cui molti avrebbero voluto raccontare.

I quattro personaggi, Moravia, Pasolini, Callas e Maraini, sembrano davvero usciti dalla fiabadella vita, ognuno con il proprio fardello simbolico che riconosciamo giá come parte integrante della “nostra” stessa storia: il vecchio mentore, scrittore di fama saggio ma brontolone, l´eroe trascinante, puro e intoccabile, la diva timida, capace di stupire per la sua carica di intima umiltá, la “giovane scrittrice”, un angelo viaggiatore testimone privilegiato di un mondo che le trascorrerá splendido e tragico sotto gli occhi. Scompaiono nello spazio di una pennellata ogni stereotipo: scompare l´autore taciturno (Moravia sará l´unico a parlare in teatro!), l´intellettuale trasgressivo e la diva capricciosa. Scompare l´apparente algido distacco dell´autrice per lasciare il posto a tratti di pura emozione.

Non c´é traccia di vanto in questo privilegio, solo la naturalezza di un’esperienza vissuta nella strabiliante consapevolezza di possedere quel magico strumento di trasporto che é la scrittura, che brilla tra le nostre dita come facevano i gioielli nelle mani di Callas.

Angelica Alemanno